Giovanni Cantoni, Cristianità n. 105 (1984)
I risultati delle elezioni amministrative del 20 novembre 1983, soprattutto a Napoli, se accostati a quelli di un recente sondaggio sociologico e, quindi, letti alla luce di adeguate categorie storico-politiche, rivelano con sufficiente chiarezza che l’alternativa, per chi non si riconosce nel regime socialcomunistico in via di instaurazione, è tra il cardinale Ruffo e Masaniello. Le responsabilità delle autorità sociali e la doverosità del loro intervento di orientamento e di guida.
Confermato da precisi comportamenti socio-politici
Il «partito del rifiuto» cresce ed è cattolico
1. Il «proletariato»
Nella introduzione ai suoi Panorami della storia, Arnold J. Toynbee illustra una categoria che mi pare particolarmente degna di attenzione e passibile di uso politico a conferma della contiguità fra storia e politica e dell’ampia, pure se parziale, fungibilità delle loro acquisizioni -, anche indipendentemente dallo schema di «sfida e risposta» (1), che egli propone come chiave di lettura degli avvenimenti che si svolgono nel tempo e nello spazio per opera dell’uomo. Si tratta, nel caso, della nozione di «proletariato», in una accezione assolutamente non coincidente con quella invalsa nella mitologia del materialismo storico di filiazione marxistica.
«La parola “proletariato” – scrive dunque Arnold J. Toynbee – viene usata […] a significare qualsiasi elemento o gruppo sociale che in qualche modo sia “in” ma non “di” una data società a qualunque epoca data della sua storia. Cioè, è usata nel senso della parola latina proletarius, da cui deriva. Nella terminologia legale romana, proletarii erano i cittadini che a fianco del loro nome nel censo non avevano alcuna voce se non la figliolanza (proles). La seguente definizione ne vien data nella Compendiosa Doctrina per Litteras di Nonius Marcellinus: “Proletarii dicti sunt plebei qui nihil rei publicae exhibeant sed tantum prolem sufficiant”. (Si chiamano proletari quei plebei che non hanno alcun patrimonio da denunciare allo Stato all’infuori della loro prole.) [Citato da Bruns, C.C., in Fontes Iuris Romani Antiqui, ed. 7 (Tübingen 1909, Mohr), Pars Posterior, p. 65.] Dire che i “proletari” non dànno alla comunità altro contributo che quello della prole è un eufemismo per dire che la comunità non dà loro nessuna remunerazione per qualsiasi altro contributo essi possano dare (volontariamente o no) al bene comune. In altre parole, un “proletariato” è un elemento o gruppo di una comunità, che in quella comunità non ha però nessuna “posta” all’infuori del fatto della sua esistenza fisica. E in questo senso lato che la parola “proletariato” viene usata […], e non già nel senso specializzato di una popolazione lavorativa urbana che impiega la moderna tecnica economica occidentale detta “industrialismo” ed è impiegata sotto il moderno sistema economico occidentale detto “capitalismo”. Questo senso ristretto della parola, oggi corrente, fu messo in circolazione da Karl Marx, quale uno dei termini tecnici che egli coniava per esprimere i risultati dello studio da lui compiuto sulla storia. Più d’una di queste accezioni marxiste è divenuta corrente anche fra persone che ripudiano i dogmi marxisti» (2).
Lo stesso studioso distingue poi, molto opportunamente, tra un «proletariato interno» e un «proletariato esterno» – rappresentati, nel caso del mondo greco-romano, rispettivamente dai cristiani e dai barbari – (3), e nota che «si possono considerare “il proletariato interno” e il “proletariato esterno” di una civiltà declinante sia come vittime che come parassiti della “minoranza dominante”, a seconda del punto di vista dal quale ci poniamo» (4).
2. Il dissenso politico e la sua quantificazione napoletana
La ricchezza della categoria offerta e illustrata dallo storico inglese, ove metodicamente applicata alla civiltà occidentale declinante, se non alla civiltà mondiale declinante, anche solo a prima vista si lascia indovinare come enorme. Mi sono indotto a evocare tale categoria in quanto mi si è venuta ripresentando con sempre maggiore insistenza – e con caratteri di necessarietà o almeno di grande utilità – allo scopo di classificare il dissenso politico, e il suo spessore sociale, così come emerge con straordinaria chiarezza dallo svolgersi della nostra vita nazionale.
L’ultima espressione significativa del fenomeno mi sembra ravvisabile nei risultati della più recente tornata elettorale amministrativa, avendo particolare attenzione al caso napoletano, che, in considerazione di innumerevoli premesse storiche, mi pare meriti più attenzione come manifestazione vessillare del Mezzogiorno d’Italia che non come «eccezione» atta a confermare una «regola» diversa e contrastante (5).
Dunque, a Napoli, nonostante la gamma di opzioni offerte al corpo elettorale dalla «minoranza dominante»; nonostante la «quarta sponda» a essa fornita dal Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale (6); nonostante gli sforzi da essa
1. Comune di Napoli, elezioni del 20 novembre 1983: il «rifiuto»
2. Comune di Napoli, elezioni del 20 novembre 1983: il «voto integrale»
profusi per raccogliere consensi – compresa la «contorsione» prodotta da quanti, pure candidati, invitavano a non votare, completando la immagine del cane che si morsica la coda! -, nonostante tutto questo il dissenso, espresso attraverso le schede nulle, quelle bianche e soprattutto con la pratica dell’astensione, ha rivelato uno spessore di tutto rilievo. Infatti, il 23,5% degli aventi diritto al voto non ha ritenuto di trovare espressione adeguata nelle possibilità «lessicali» offerte dalla scheda elettorale. Né, si badi, si tratta di un fenomeno interpretabile come manifestazione di «ritardo partecipativo»: esso, infatti, ha chiare caratteristiche di riflusso e di rifiuto, dal momento che, rispetto a consultazioni elettorali precedenti – istituzionalmente sia omogenee che eterogenee all’ultima -, è in chiaro aumento: avendo riguardo solamente all’astensionismo, esso è passato dal 15% in occasione delle elezioni comunali dell’8 giugno 1980, al 16% in occasione delle elezioni politiche del 26 giugno 1983, per giungere all’attuale 20,3% (7).
Stando così le cose, quindi, e avendo attenzione al «voto integrale» – cioè facendo riferimento al numero degli elettori e non semplicemente a quello dei votanti -, il «partito del rifiuto», espressione sui generis del rifiuto della società verso la classe politica che ne pretende la rappresentanza, è, con il suo 23,5% del corpo elettorale, il maggiore «movimento» politico di Napoli, seguito a distanza dal Partito Comunista Italiano con il 20,6%, e quindi dalle altre forze partitiche ufficiali, nazionali e locali!
3. La qualità del dissenso e i suoi caratteri economici e religiosi
Verificata la esistenza e la corposità del «proletariato interno» alla nostra società e, soprattutto, alla sua organizzazione statuale, la rilevanza del fenomeno suscita fondato interesse per il problema relativo alla qualità di questo dissenso, cioè alla sua cultura, in tutte le sue espressioni. Non avendo certo capacità né ad affrontarlo né a risolverlo, mi limito a un accostamento che trova verifica immediata anche nel luogo comune, che solitamente accosta il Mezzogiorno del nostro paese, e Napoli in particolare, alla economia sommersa: «Come ormai dimostrato da una mole impressionante di studi – scrive Antonio Martino -, una delle ragioni per cui il nostro Paese ha potuto, fino ad oggi, sopravvivere ad una crisi finanziaria senza precedenti, è che si è andata sviluppando una prospera e dinamica economia sommersa, che dà lavoro, secondo alcune stime, a diversi milioni di persone» (8).
Ma lascio subito il campo economico per venire a un settore di non minore interesse, per dire il meno. Secondo una indagine condotta dall’Eurisko, un istituto particolarmente specializzato in sondaggi di carattere sociologico culturale e politico, e diretto dal professore Gabriele Calvi, della università di Pavia, «solo il 36,51 dei [cattolici] praticanti vota Dc, mentre il 20,8 vota per altri partiti (in particolare il 6,55 socialista, il 4,29 comunista, il 3,10 missino, il 2,86 repubblicano, l’1,85 liberale, l’1,55 socialdemocratico, lo 0,24 radicale). Il 42,69 per cento è incerto, non sa per chi votare o vota scheda bianca» (9).
4. Tra il cardinale Ruffo e Masaniello
Credo che, a questo punto e senza forzare i dati, si possano fare considerazioni per qualche verso conclusive.
Nella società italiana degli anni Ottanta, caratterizzata da una civiltà declinante e assediata da un «proletariato esterno» comunistico, che conta una cospicua quinta colonna all’interno dei nostri contini, esiste e cresce con evidenza un «proletariato interno» non rappresentato politicamente e tetragono alle seduzioni e alle suggestioni della «minoranza dominante»: e questo «proletariato interno» non è principalmente costituito da frange anarcoidi non assorbite dal corpo sociale e non addomesticate dalla sua organizzazione statuale, ma si rivela coincidente ampiamente, se non totalmente, con il disorientato popolo cattolico praticante.
Non vado oltre perché mi pare di avere fornito sufficienti elementi di meditazione per ogni autorità sociale, sia essa religiosa che politica, e, comunque, per ogni ricercatore di consenso sociale. Quale il destino di questa potenziale fecondità sociale? Coraggiosa rinascita politica oppure dolorosa sterilità? Intelligente azione contro-rivoluzionaria oppure opposizione passiva, punteggiata da tumulti e da rivolte? Arruolamento sotto le bandiere del cardinale Ruffo o adesione agli incitamenti di Masaniello? La risposta storica sta nella capacità concludente e operativa dei «meditanti» cui facevo riferimento, mossa da autentica umana e cristiana commiserazione per la «folla» (10), per la «plebe», per il «proletariato» vero nomine che è in Italia.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. ARNOLD J. TOYNBEE, Panorami della storia. Introduzione, trad. it., Mondadori, Milano 1954, pp. 40-41.
(2) Ibid., p. 66, nota 1.
(3) Ibidem.
(4) Ibid., p. 84, nota 2.
(5) Su Napoli e sul Mezzogiorno come espressione non solamente di una «altra Italia», ma addirittura di una «altra Europa», cfr. i notevoli spunti offerti da GIUSEPPE GALASSO, L’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Mondadori, Milano 1982.
(6) Questa la funzione del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale rispetto al governo Craxi, cioè all’esecutivo della «minoranza dominante», secondo il missino on. Franchi. Cfr. la dichiarazione riportata, tra l’altro, in Il Gazzettino, 23-10-1983.
(7) I dati sono quelli fomiti dall’ufficio elettorale del ministero dell’Interno. L’incremento dell’astensione non è ovunque così vistoso, ma è comunque generale: infatti, la media nazionale dei non votanti in occasione delle elezioni regionali e comunali svoltesi il 20 novembre 1983 è passata dal 12,2% al 14,4%, comprendendovi anche i dati, «agli antipodi» rispetto a quelli napoletani, di Trento e di Bolzano.
(8) ANTONIO MARTINO, Elogio paradossale (ma non troppo) dell’evasore, in il Giornale, 13-10-1983. Di non poco interesse è anche la frase seguente, che riporto a uso di chi vuole pensare: «Se l’evasione fiscale scomparisse, l’economia sommersa la seguirebbe»: la «persecuzione fiscale» non avrà intenzioni più lontane di quelle consuetamente confessate, oppure anche denunciate da chi a essa si oppone?
(9) L’identikit dei partiti di oggi, intervista al professore Gabriele Calvi raccolta da Mario Traina, in Avvenire, 21-12-1983.
(10) Cfr. Mc. 6, 34.