Giovanni Cantoni, Cristianità n. 391 (2018)
Intervento pronunciato a Rimini nell’ambito del XX Meeting per l’Amicizia fra i Popoli il 22-8-2000 a presentazione dell’opera della storica francese Régine Pernoud (1908-1998), Luce del Medioevo (nuova ed. it. accresciuta a cura di Marco Respinti, Prefazione di don Luigi Negri, contributi di Massimo Introvigne e Marco Tangheroni, Gribaudi, Milano 2000), già pubblicato nel sito web <https://www.meetingrimini.org/default.asp?id=673&m=partecipanti&value=412>, consultato il 21-6-2018. Sono redazionali le uniformazioni testuali e di punteggiatura, i modi delle citazioni, le inserzioni fra parentesi quadre, le note e il titolo ricavato dal testo che, non riveduto dall’autore, conserva lo stile proprio del parlato.
Il «piccolo Medioevo», che trascrive il «grande Medioevo»
Mi limiterò a proporvi qualche spunto di lettura del testo: allo scopo, mi piace partire dalla considerazione di Léo Moulin [1906-1996, sociologo belga], che in uno dei frammenti raccolti da Vittorio Messori in Pensare la storia afferma: «Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza: a instillargli l’imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia […] a convincerli di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo» (1). «Io — continua Moulin — (agnostico ma storico che cerca di essere oggettivo), vi dico che dovete reagire in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se talvolta del vero c’è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è venuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?» (2). Se fosse vera quella vergognosa menzogna dei «secoli bui», perché ispirati dalla fede del Vangelo, «[…] perché allora tutto ciò che ci resta di quei tempi è di così fascinosa bellezza e sapienza? Anche nella storia vale la legge di causa ed effetto…» (3).
È proprio questo il punto da cui voglio partire: «anche nella storia vale la legge di causa ed effetto». Come abbiamo potuto giudicare il «socialismo reale» da ciò che ha prodotto, così possiamo giudicare il «cristianesimo reale», quello incarnato, dai fatti. I fatti principali sono: la santità e l’arte, e i termini, che mi piace ricordare, nascono da uno dei padri dell’apologetica moderna, lo scrittore, uomo politico e diplomatico francese François-René de Chateaubriand [1768-1848], che parla dell’arte e dei santi come risultato della fede (4). Ma devo aggiungere, Régine Pernoud alla mano, che non vi sono solo i santi e l’arte — e non è poco! —, ma anche delle esperienze di convivenza umana protratte per secoli. Non si tratta soltanto di esaminare gli aspetti finali di una presenza incarnata del cristianesimo nella storia, ma di esaminare anche le sue mediazioni, e una mediazione è la civiltà cristiana romano-germanica, detta impropriamente e maliziosamente «Medioevo». Maliziosamente, perché l’intenzione è quella di intridere a tal punto di tempo una realtà storica, da farla diventare qualcosa di assolutamente insignificante e irripetibile.
Eppure, «Medioevo» ci dice di un tempo storico, di una realtà caratterizzata e presente, di una realtà schiacciata tra l’antichità pagana e la modernità neo-pagana. Noi sappiamo che il santo è un signore che sa di essere stato creato, di avere un Dio Padre Creatore e un Dio Figlio Redentore alle proprie spalle, di avere un Dio Provvidente che lo osserva in tutto il suo itinerario esistenziale, di essere accompagnato da un Dio, Spirito Santo, che si incarna nella Chiesa e lo segue nel tempo, di essere atteso alla fine della sua vita da un Dio tanto giusto quanto misericordioso. Ebbene, se questa condizione noi la trasferissimo da un singolo a una comunità, troveremmo una civiltà santa. Le civiltà non vanno in Paradiso, però le civiltà sono le condizioni per andare in Paradiso; condizioni, non cause. Papa Pio XII [1939-1958, venerabile] usava questa espressione decisiva, anche esistenzialmente: «dalla forma data alla società dipende la salvezza delle anime» (5).
Se il nostro vicino di casa crede in Dio è più facile credere in Dio; se quello che abita di sopra crede in Dio è più facile credere in Dio: mi vengono meno dubbi e ho invece più tempo per l’approfondimento. Non sto sempre sull’uscio in attesa di sapere se ha ragione il portinaio testimone di Geova o ha ragione il ragionier Rossi Hare-Krishna; sono circondato da «strutture di plausibilità» (6), per usare il linguaggio dei sociologi.
Il termine «Medioevo» nasce con una cattiva intenzione: intridere di temporalità e limitare all’interno un quadro, definito — per usare il gergo crociano — una parentesi di barbarie nello sviluppo della civiltà (7). Invece, niente di tutto questo: il quadro si dilata e accanto a questo «piccolo Medioevo» storico vi è un «Medioevo grande» teologico, il tempo intermedio fra la prima e la seconda venuta di nostro Signore. Quello è il «grande Medioevo». Quando «un piccolo Medioevo», cioè un tempo storico, si ispira a quel grande Medioevo, siamo realmente in un’epoca santa.
Il libro Luce del Medioevo è proprio la descrizione, la fotografia d’epoca, il quadro di gruppo, di un tempo storico, il «piccolo Medioevo», che trascrive il «grande Medioevo», il tempo fra la prima e la seconda venuta di nostro Signore (8). Quindi è un testo di agiografia sociale. I santi sono dei soggetti a cui ne capitano di tutti i colori e che superano le difficoltà grazie a Dio, ma anche mettendoci del loro, ovvero portando la loro croce. Accanto all’agiografia individuale vi è anche questa minore, ma non meno importante, agiografia sociale, che deve diventare per noi una componente della nostra attenzione alla dottrina sociale della Chiesa. Quali sono le fonti della dottrina sociale della Chiesa? Nei vecchi libri di filosofia sociale si diceva che la dottrina sociale della Chiesa si ricava ex revelatione, ovvero da ciò che il Padreterno ha detto nella Scrittura, ex ratione, dalle osservazioni che razionalmente gli uomini fanno sulla realtà, e poi ex experientia (9).
Ebbene un testo di agiografia sociale ci descrive una esperienza storica: non si tratta di rifare il Medioevo, ma di rifare degli uomini credenti. Nessuno ha preparato il progetto del Medioevo: quando se lo sono trovato fatto, si sono meravigliati, quasi spettatori di ciò che loro stessi avevano creato.
Giovanni Cantoni
Note:
1) Léo Moulin cit. in Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, Prefazione del cardinal Giacomo Biffi (1928-2015), Sugarco, Milano 2006, p. 23.
2) Ibid., p. 24.
3) Ibidem.
4) Cfr. François-René de Chateaubriand, Genio del cristianesimo, trad. it., Einaudi, Torino 2014.
5) «Dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale dell’errore e della depravazione» (Pio XII, Radiomessaggio per la Pentecoste del 1941 nel 50° anniversario della «Rerum novarum», del 1°-6-1941).
6) Cfr., per esempio, dei sociologi statunitensi Peter Ludwig Berger (1929-2017) e Thomas Luckmann (1927-2016), La realtà come costruzione sociale, trad. it., il Mulino, Bologna 1969.
7) Cfr. per esempio, del filosofo liberale e neoidealista abruzzese Benedetto Croce (1866-1952), La fine della civiltà, in Quaderni della «Critica», vol. II, n. 6, novembre 1946, pp. 1-7.
8) Nello stesso anno, l’anno giubilare 2000, Cantoni usava la medesima metafora: «Dunque, dopo un lungo autunno e dopo un inverno particolarmente rigido, è finito il cosiddetto Medioevo. «“Medioevo” è termine usato per descrivere l’“età oscura” fra Antichità e Modernità, fra due paganesimi, anche se di ben diversa qualità sono il paganesimo del precursore e quello dell’apostata; quindi, “Medioevo” è termine polemico per squalificare una cristianità egemone, una società divenuta cristiana e le sue scelte. Ma chi tale termine ha escogitato, non si è forse reso conto che si può dire in due modi: infatti, “Medioevo” non è solo il piccolo tempo storico in cui una società si richiama esplicitamente al mistero di Dio nel suo svelamento o Rivelazione cristiana, ma è anche il grande tempo storico, il “tempo della Chiesa”, il “tempo di mezzo” fra la prima e la seconda venuta del Signore Gesù. Ebbene, se una civiltà cristiana è venuta meno, se un “piccolo Medioevo” è finito, il “grande Medioevo”, il tempo della Chiesa, dura: infatti, la Chiesa nel tempo opera — evangelizzando e amministrando i sacramenti — affinché ogni società umana accolga il Signore Gesù e il suo messaggio e li faccia giudice e parte della propria cultura, dando così inizio a nuove espressioni della sua regalità sociale, a nuovi “piccoli Medioevi”, “mortali”, cioè destinati a finire, come tutte le epoche storiche, benché, eventualmente, “produttori” di santi e di “santità sociale”, cioè di abbassamenti ai minimi storici compatibili con la condizione umana post peccatum, della conflittualità esterna e interna all’essere umano» (Giovanni Cantoni, «Cum Petro», «Sub Petro», verso la civiltà cristiana nel terzo millennio, in Cristianità, anno XVIII, n. 300, luglio-agosto 2000, p. 4, ora in Idem, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco, Milano 2008, pp. 53-54). In nota, per quanto riguarda la diversità fra il paganesimo del precursore e quello dell’apostata, Cantoni rimanda al pensatore contro-rivoluzionario cattolico colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994), Tra poche parole, trad. it., a cura e con Introduzione di Franco Volpi (1952-2009), Adelphi, Milano 2007, p. 57. E sul «Medioevo» come «tempo della Chiesa» rimanda allo specialista francese Jacques Le Goff (1924-2014), Tempo della Chiesa e tempo del mercante, e altri saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo, trad. it., Einaudi, Torino 2000.
9) Cfr. per esempio José Antonio Ibarbia Goenaga S.J. (1903-1975), Philosophia socialis, C.I.S.I.C. Institutum Sociologiae Pastoralis, Roma 1964.