Giovanni Cantoni, Cristianità n. 278 (1998)
Articolo anticipato, senza note e con il titolo redazionale Ma il Polo guarda al futuro, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVII, n. 145, 23-6-1998, p. 17.
Una frequentazione anche moderatamente critica dei mass media permette l’identificazione, nella cronaca politica e soprattutto nel commentario che l’accompagna, di Leitmotiv, fra i quali spicca la segnalazione pressoché quotidiana di difficoltà interne allo schieramento di centrodestra, il Polo per le Libertà, difficoltà che vengono esaltate con ogni cura dagli stessi mass media — e non solo da quelli ufficialmente o ufficiosamente allineati sul versante opposto — e presentate come dirompenti e d’imminente esplosione.
Mi guardo bene dal pensare e, quindi, dall’affermare irenicamente che in quest’area non esistano difficoltà, anche se la frequentazione della base di questo schieramento, cioè dell’elettorato del Polo per le Libertà, m’indurrebbe a minimizzarle. Infatti, quando in tale schieramento mi è dato di riscontrarle, sono con ogni evidenza massmediaticamente promosse e alimentate piuttosto che sorgive — se non come espressione della litigiosità propria dell’ethos municipalistico italico —, comunque meno virulente di quanto si sarebbe indotti a immaginare. Anzi, si direbbe che la logica compattatrice del regime elettorale maggioritario, introdotto nel 1993, sia più chiara all’elettorato che non agli eletti e, talora, agli intellettuali che si vogliono nostalgicamente “organici” allo schieramento in questione.
Comunque, d’importazione o native, tali difficoltà hanno una certa corposità. Quindi mi propongo di mettere in risalto l’ambiguo fondamento di qualcuna di esse, e forse non delle minori.
1. Forza Italia “e” o “è” la Democrazia Cristiana?
a. “Leader”, partito e popolo
Il 19 maggio 1998, in un’intervista a il Resto del Carlino, raccolta da Itti Drioli (1), don Gianni Baget Bozzo parla di sé e, confrontandosi con Giuliano Ferrara, afferma: “Io penso al popolo, lui invece non lo sente. Io scelgo un partito, non solo il leader. Lui solo il leader”. Non conosco Giuliano Ferrara, conosco don Baget Bozzo. E trovo la frase insieme chiarificatrice e mistificante, quindi ultimamente ambigua. Chiarificatrice perché è vero che lui sceglie un partito, mistificante perché lascia intendere che popolo e partito coincidano. Che non sia così, quanto non sia così, appare chiaro quando si prenda in considerazione la tesi, tutta sua, che sta alla base della scelta del 18 aprile 1998 come data emblematica per concludere in piazza Duomo, a Milano, il primo congresso di Forza Italia. Tale scelta intende istituire una continuità ideale fra FI e la Democrazia Cristiana, fra l’on. Silvio Berlusconi e Alcide De Gasperi. Nel presupposto che il 18 aprile 1948 sia la data della vittoria della DC sul Fronte Popolare socialcomunista. Ma il quadro è almeno più complesso. Infatti il 18 aprile, mentre il popolo italiano, cattolico e no — anche se, all’epoca, ancora maggioritariamente cattolico — prendeva una non equivoca posizione nella scelta di civiltà fra mondo libero e mondo socialcomunista, il partito democristiano — con la complicità di ambienti ecclesiastici progressisti — “scippava”, per così dire, tale vittoria al mondo cattolico e dava inizio alla propria collaborazione con i più avanzati agenti del secolarismo, quindi alla realizzazione del processo di secolarizzazione nel paese più significativo della Cristianità (2).
b. Il 18 aprile 1948, i suoi veri protagonisti e la loro sorte attuale
Quindi, contro la lettura semplificata e semplicistica che vorrebbe articolare il quadro politico in leader e partito-popolo, va affermato che tale articolazione comporta il leader, il partito e il popolo, benché quest’ultimo, in una democrazia rappresentativa, sia protagonista di un momento — quello elettorale —, gli altri due elementi abbiano una potenziale permanenza sulla scena molto superiore, il partito in tesi più dello stesso leader. Così, oggi, l’analogia fra il 18 aprile 1948 e il 27 marzo 1994, per non essere pura forzatura propagandistica e artificiale ricostruzione dei fatti, deve rispettare i caratteri del primo termine di essa; così l’on. Silvio Berlusconi può per certo e fondatamente evocare il 18 aprile 1948, ma, per perfezionare tale richiamo, deve scegliere — con una scelta evidentemente emblematica —, come leader del popolo elettoralmente vincente, fra il professor Luigi Gedda e Alcide De Gasperi, fra l’autentica guida delle forze trionfanti e il capo degli scippatori della vittoria, operanti grazie alla collaborazione del “palo” ecclesiastico progressista, e non accreditare in alcun modo l’equazione “Forza Italia è la Dc”, enunciata da don Baget Bozzo. Che prosegue: “Solo i Dc basisti se ne sono andati con l’Ulivo, gli altri stanno con noi, così come i socialisti”, dimenticando che — a parte i residui del centrodestra della DC raccolti nel Centro Cristiano Democratico e nei Cristiani Democratici Uniti —, accanto ai democristiani basisti, o “cattolici democratici” che dir si voglia, e accanto ai cattolici divenuti democristiani a partire dal 1948, vi sono i cattolici che hanno votato per la DC cedendo al ricatto dell’anticomunismo e all’appello della gerarchia ecclesiastica; e che, se dopo Tangentopoli i primi sono passati all’Ulivo e i secondi a FI, i terzi sono andati a ingrossare le file almeno elettorali del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale, in qualche modo costituendo una delle ragioni profonde della sua trasformazione in Alleanza Nazionale, a fronte dell’impossibilità di mettere tanto vino nuovo in otri tanto vecchi. E non si tratta di qualche voto, identificabile solamente con raffinate ricerche sui flussi elettorali, ma dei suffragi che hanno fatto passare il soggetto a destra nello schieramento politico italiano, per esempio, dal 5,4% del MSI-DN nel 1992 al 13,5% di AN nel 1994, con un incremento in valore assoluto di oltre 3 milioni di suffragi.
Infatti, nella tornata elettorale politica del 1992 la DC ha avuto 11.637.569 voti, pari al 29,7%; il MSI-DN 2.107.272, pari al 5,4%; e il PSI 5.343.808, pari al 13,6%. Nella tornata elettorale, sempre politica, del 1994 il Partito Polare Italiano ha avuto 4.268.940 voti, pari al 11,1%; FI 8.119.287, pari al 21%; AN 5.202.698, pari al 13,5%; il PSI 841.739, pari al 2,2% (3). Quindi, grosso modo, il PPI ha “ereditato” circa 4 milioni di voti democristiani, FI altri 4 milioni e circa 3 milioni AN: stando così le cose, quanto all’eredità democristiana elettorale e non ideologica, cioè quanto ai cattolici non democristiani votanti per la DC, il titolo ereditario di FI è certamente cospicuo — tanto più affiancato ai 4 milioni di voti di eredità socialista — ma assolutamente non universale. O qualcuno crede di poter sostenere che l’incremento di AN è frutto di voti “prestati” alla destra dal Partito Comunista Italiano come caparra in vista dell’”asse Fini-D’Alema”?
Quindi, stando così le cose, la scelta emblematica per l’on. Berlusconi è di certo facilitata dalla presenza in FI — ma analoga è la situazione in AN —, accanto a tanti ex, anche di tanti, tanti neo, forse “nostalgici”, ma certo non della DC o del PSI, ma “nostalgici dell’avvenire”, secondo una bella formula di Gonzague de Reynold (4). Si tratta di una scelta molto importante, decisiva per il prossimo futuro prima che per il segno con cui passerà alla storia il leader di FI. Al quale non posso che augurare di saper provare una delle più significative qualità di un leader, quella di saper scegliere i propri consiglieri, ché, se in gioventù non vi è niente di peggio dei “cattivi maestri”, nella maturità questa iattura è rappresentata appunto dai “cattivi consiglieri”.
2. Il presunto “asse Fini-D’Alema”
Quando un consigliere è “cattivo consigliere”? Ovviamente quando consiglia cose cattive. Ma non basta: quando privilegia la tesi, la propria tesi, rispetto al bene del consigliato. Molto esplicitamente, da tempo don Baget Bozzo viene denunciando un presunto “asse Fini-D’Alema”, che sarebbe rivelato fra l’altro dalla disponibilità manifestata dal presidente di AN a chiudere in fretta il secolo XX, a consegnarlo alla storia, cioè a passare sotto silenzio i dati catastali di una tragedia senza precedenti nella storia stessa raccolti ne Il libro nero sul comunismo. Crimini, terrore, repressione (5) — uno dei passaggi della querelle è stata la distribuzione di quest’opera a Verona, in occasione della Conferenza Programmatica di AN — in cambio di una legittimazione da parte dei Democratici di Sinistra. Anche a questo proposito non mancano le forzature, coperte da un teorema apparentemente intelligente, “troppo intelligente”, che mi sembra però nascondere altro.
a. “I comunisti sono sempre uguali”
In primo luogo, l’insistenza nel ribadire la tesi secondo cui “i comunisti sono sempre uguali” — una tesi semplicistica piuttosto che semplice — ignora vistosamente i fatti, cioè l’implosione del sistema imperiale socialcomunista, e ha i caratteri della violenza propagandistica, di quel viol des foules teorizzato da Serghej Ciacotin alla fine degli anni 1930 (6). Infatti, si serve di un enorme dolore prodotto nel passato e della permanenza di tale dolore in chi ne è stato vittima e in chi ne ha acquisito consapevolezza culturale per accreditare simpliciter la permanenza di questo passato piuttosto che, correttamente, delle sue conseguenze: è possibile parlare di “comunisti uguali” in pendenza o in assenza del focolaio internazionale della Rivoluzione socialcomunista? Anche nel caso si possa parlare di “comunisti uguali” — dal punto di vista dottrinale oppure da quello della psicologia dei singoli o di gruppo? — è “uguale” anche la loro situazione? È identica la loro situazione anche in Italia con o senza i sottomarini nucleari operativi o in arrugginimento e in attesa di smantellamento nei porti del Mare di Barents? Ancora: è identica la loro situazione anche in Italia con o senza quello che Gianni Cervetti chiama l’“oro di Mosca” (7)? Oppure qualcuno soffre di incubi notturni e aspetta ancora l’arrivo dell’Armata Rossa?
b. Anticomunismo grossolano per coprire volgare filosocialismo?
In secondo luogo, è certo che i comunisti ci sono ancora: infatti, né si sono suicidati in massa, né sono stati allontanati manu militari da nessuna posizione di potere; anzi, in molti luoghi nel mondo sono rimasti o tornati al potere, talvolta semplicemente con una nomenklatura di seconda generazione (8). E si sono trasformati in quel “partito radicale di massa” (9), della cui espressione “ante marcia” è stato elemento significativo, nell’Italia degli anni 1970 e 1980, il PSI, che ha contribuito, talora in posizione di guida, a introdurre nell’ordinamento giuridico nel 1970 il divorzio e nel 1978 l’aborto — per tacere dello statuto dei lavoratori nel 1970, del “nuovo diritto di famiglia” nel 1975, dell’”equo canone” e dell’abolizione dei manicomi nel 1978 e della riforma sanitaria nel 1980 —, e che dagli anni 1980 è stato guidato dall’on. Bettino Craxi, pendente la militanza nelle sue file di don Baget Bozzo. Non intendo imputare il rifiuto di ammettere se non la metamorfosi dei comunisti almeno la loro diversa situazione a insensibilità alle tematiche morali ferite dal radicalismo di massa. Piuttosto, rilevo come ammettere tale metamorfosi significhi allargare lo sguardo interpretativo del presente ad anni precedenti, significhi integrare la mezza verità enunciata a Milano, sabato 30 maggio, dal capo del Governo, on. Romano Prodi, secondo cui egli non può essere ritenuto personalmente responsabile di un debito pubblico pari al 121% del PIL, il Prodotto Interno Lordo (10), dicendo anche l’altra metà della verità e cioè indicando nominatim chi, singolo o famiglia ideologica, ha lavorato alla metodica costruzione di quel debito pubblico e chiarendo, una volta per tutte, che non si tratta di un’eredità né fascista, né borbonica, né medioevale. Insomma, significa dare almeno inizio all’applicazione di quanto suggerito dall’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi nel 1991, secondo cui “il crollo del comunismo mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo” (11). Perciò, anche il socialismo liberale e anche il cattolicesimo liberale. Non sarà questa casamatta — novello bidone di benzina colmo del “divieto di fare domande” — piuttosto che il popolo di FI, per tacere di tutto il popolo italiano, l’oggetto dell’appassionata difesa da parte di don Baget Bozzo, realizzata talora con tratti di “entusiasmo” che richiamano il significato inglese, “mistico”, del termine? Non sarà che qualcuno sta tentando di servirsi dell’on. Berlusconi per “vendicare” l’emarginazione dell’on. Craxi, per ricostruire con forzature intellettuali e con gesti politici mirati una storia non sempre particolarmente edificante, nonché la memoria del tutt’altro che ortodosso mondo cattolico-liberale, per nulla coincidente con il mondo cattolico nella sua generalità, con il suo amore per la libertà e, politicamente, per le libertà?
3. Contenzioso artificiale e dialogo domestico
Per parte mia spero sinceramente di sbagliare. Lo spero perché io, che non mi sono mai iscritto al PSI per “appoggiare il socialismo liberale” — così dichiara per sé don Baget Bozzo —, trovo assolutamente infondata la coincidenza fra partito e popolo; m’interesso come sono capace del popolo in quanto prossimo; e sono profondamente convinto che il popolo italiano abbia oggi più che mai bisogno del Polo per le Libertà, e il Polo per le Libertà del popolo italiano, magari nella prospettiva di un’Assemblea Costituente.
Grazie a Dio l’on. Berlusconi non è un minore e “fidanzato d’Italia” — come lo definisce sempre don Baget Bozzo —, ha quindi l’”età” e le qualità per non necessitare di mediatori di sorta per divenirne il legittimo consorte. Perciò altrettanto legittimamente spero che, un giorno o l’altro — e, nei miei auspici, il prima possibile — nel Polo per le Libertà, insieme eletti ed elettori, venga correttamente identificata ogni fonte di irrealismo, di fantasmi, di fantasie e di “voci”, particolarmente pericolose quando travestite da inoppugnabili, “troppo intelligenti” teoremi politici, quindi qualificata e denunciata come causa di contenzioso artificiale piuttosto che di fecondo dialogo domestico. Dialogo che sia espressione vitale di un Polo per le Libertà unito e diverso, che sappia rappresentare adeguatamente l’unità e la diversità del popolo italiano contro ogni tentativo di aperta o di subdola omologazione nonché perseguire, attraverso le strutture limitate e forti dei partiti postpartitocratici (12), uno Stato altrettanto limitato e forte, limitato dal senso comune e dalla morale e capace di resistere con intelligenza e con energia ai tifoni mondialisti e globalizzatori.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. Baget Bozzo: “Io e Silvio, il fidanzato d’Italia”, intervista a cura di Itti Drioli, in il Resto del Carlino, 19-5-1998. Tutte le citazioni senza riferimento sono tratte da questo testo.
(2) Cfr. Marco Invernizzi, Democrazia Cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), in Cristianità, anno XXVI, n. 277, maggio 1998, pp. 19-23.
(3) Cfr. Maria Serena Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 427-428.
(4) Cfr. Gonzague de Reynold, Préface à “soi”, in Hommage à Gonzague de Reynold, Éditions de la Librairie de l’Université, Friburgo 1941, pp. 14-20 (p. 18).
(5) Cfr. Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek e Jean-Louis Margolin, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore, repressione, trad. it., Mondadori, Milano 1998.
(6) Cfr. Serghej Ciacotin, Tecnica della propaganda politica, trad. it., Sugar, Milano 1964; la prima ed. è comparsa a Parigi nel 1939, presso Gallimard, con il titolo Le viol des foules.
(7) Cfr. Gianni Cervetti, L’oro di Mosca. La testimonianza di un protagonista, Baldini & Castoldi, Milano 1993.
(8) Cfr. i miei “Il ritorno dei comunisti”, in Cristianità, anno XXIV, n. 249, gennaio 1996, pp. 22-24; e Metamorfosi del socialcomunismo: dal relativismo totalitario al relativismo democratico, ibid., anno XXV, n. 261-262, gennaio-febbraio 1997, pp. 15-21; e M. Invernizzi, “Dal PCI al PDS”: le tappe e i contenuti di una metamorfosi rivoluzionaria, ibid., anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 5-9.
(9) Cfr. il mio “Fermiamo il partito radicale di massa”, intervista a cura di Angelo Cerruti, in Cristianità, anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 10-12.
(10) Cfr, per esempio, La Stampa, 31-5-1998: “Non l’ho costruito io questo 121 per cento di debito rispetto al pil”.
(11) Sinodo dei Vescovi. Assemblea speciale per l’Europa, Dichiarazione Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato, del 13-12-1991, 1, 1.
(12) Cfr. il mio Riflessioni in tema di partito dopo il crollo delle ideologie. Verso una politica limitata e forte, in Cristianità, anno XXIV, n. 258, ottobre 1996, pp. 3-6.