Storia e significato del presepe in una nazione che ha bisogno di riscoprire proprio da esso la gioia di mettere al mondo nuovi bambini
di Enzo Marangione
Il lungo inverno demografico che affligge l’Italia è il chiaro segno del suo declino morale, culturale e politico. Non nascono più bambini o ne nascono pochi. La denatalità pone un’ ipoteca sulle sorti dell’Italia, perché senza il ricambio generazionale non c’è futuro per la nostra società, perciò la nascita di un bambino è un segno di speranza che mitiga le nostre preoccupazioni.
Il bambino che Maria e Giuseppe deposero nella mangiatoia (praesepium), a sua volta, ha portato con sé il segno di una speranza più grande, perché indica l’orientamento delle nostre scelte di vita, indica la strada della nostra salvezza e il destino finale che ci attende.
Natale è meraviglia, stupore, sogno! E’ il giorno dell’anno che apre alla speranza in un futuro migliore, benché il consumismo ne distorca il significato e c’è perfino chi vorrebbe cancellarlo.
Il simbolismo del Natale per le sue caratteristiche di semplicità facilita la comprensione e la diffusione del messaggio cristiano. Le statuine stesse, collocate sul presepe, sono simboli che aiutano e rafforzano la devozione.
L’allestimento del presepe nelle famiglie richiama alla memoria il culto degli etruschi e dei latini degli antenati defunti, i “lari”.
Gli antenati, come anche le divinità protettrici della famiglia, venivano rappresentati in genere con statuette di terracotta chiamate sigilla, collocate e venerate in apposite nicchie.
Questa tradizione la fecero propria anche le prime comunità cristiane che le attribuirono un significato nuovo. La festa Sigillaria si svolgeva in prossimità del Natale durante la quale i familiari si scambiavano le statuine dei defuntidurante l’anno e invocavano la loro protezione con offerte varie di cibo.
Dal IV secolo in poi fino al XV, la tradizione del “presepe dei lari”, pur con significato diverso, sopravvisse nella cultura rurale fino a trasformarsi nel presepe che oggi conosciamo.
Secondo la tradizione è stato San Francesco a inventare il presepe a Greccio. In verità e più precisamente, come si legge nella Vita prima del suo biografo Tommaso da Celano, il Santo voleva ricreare l’atmosfera di incanto della natività e così vedere con i propri occhi i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie nostro Signore. Infatti nella grotta vennero introdotti solo il bue e l’asinello. nessuno dei presenti prese il posto della Madonna, di S. Giuseppe e del Bambino. Fu così che il racconto del presepe fu tramandato.
Il primo presepio, così come lo conosciamo oggi, di cui si ha notizia è quello realizzato da Arnolfo di Cambio fra il 1290 e il 1292, le cui statue lignee residue si trovano nel Museo di Santa Maria Maggiore a Roma.
Da allora, fino alla metà del 1400,gli artisti producevano statue in legno o terracotta che, all’interno delle chiese, sistemavano davanti a una pittura riproducente un paesaggio come sfondo alla scena della Natività.
Alla fine del Cinquecento, teatini, francescani, gesuiti e scolopi favorirono la diffusione del Presepeal fine d’alimentare ed incrementare sempre più la fede
La “rivoluzione presepiale” vera e propria avvenne a Napoli tra il ‘600 e il ‘700 secolo, quando il presepe esce progressivamente dalle chiese ed entra prima nelle case degli aristocratici e poi in quelle del popolo. Infatti, all’inizio sono i nobili napoletani che gareggiano nell’allestimento di sontuosi impianti scenografici presepiali nei loro palazzi.
Progressivamente il popolo si appropria dell’arte presepiale e introduce nel presepe la sua vita quotidiana con statuine che rappresentano una diversa umanità, fatta soprattutto di poveri, di umili e derelitti.
“Così il presepe, da sacra rappresentazione ecclesiastica e devozionale, divenne sempre più popolare, ricca di personaggi e dettagli, cui si associavano le diverse interpretazioni e significati che la pietà, la tradizione o la superstizione avevano saputo inventare nel corso dei secoli”. (G. Matino 2017)
Nell’allestire il presepe la religiosità popolare non segue la narrazione riportata dai 4 evangelisti, ma si ispira ai testi dei Vangeli apocrifi che narrano la vita dell’infanzia di Gesù, di Maria e Giuseppe.
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Fare il presepe è fare un vero e proprio percorso spirituale. Nel presepe ogni personaggio ha un suo ruolo e un posto preciso, un suo significato nell’annunciare al mondo la nascita del Redentore, venuto a illuminare il mondo.
La stella, che riempie di luce la grotta, rimanda a quella raccontata dal Vangelo di Giovanni: «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non hanno presa su di lei » (Gv 1,5), le tenebre nonpossono imprigionare la luce.
Per capire il presepe bisogna fare lo stesso percorso dei pastori, che rimasero pieni di stupore di fronte al miracolo di un Dio che si fa bambino, e mettersi nei panni dell’uomo della meraviglia per provare il suo stesso stato d’animo.
L’uomo della meraviglia è spettatore incantato dal prodigioso evento. Posizionato di fronte alla grotta, non ha nulla che lo identifichi: rappresenta l’umanità di tutti i tempi.
Il viaggio nel presepe parte dalle profezie che annunciano la nascita del Messia e che sono richiamate dalla presenza della zingara, confusa nel popolo.
Nei pressi della grotta c’è sempre un pastorello addormentato: Benino (dall’ebraico Beniamino, il prediletto) e un’osteria.
Benino sogna il sogno più bello della sua vita, sogna il futuro, sogna l’incontro con il Salvatore; l’osteria fa pensare a un luogo di sosta per il viaggio.
Il significato di Benino e dell’osteria lo ritroviamo ne La cantata dei pastori, commedia del 1698 scritta da Andrea Perucci, divenuta un’opera così popolare da essere rappresentata ancora oggi nel periodo natalizio.
La storia, tra sacro e profano, racconta di due napoletani, Razzullo, scrivano perseguitato dalla fame e dalla sfortuna, e Sarchiapone, un barbiere ricercato per omicidio. Entrambi, rifugiatisi in Galilea, diventano testimoni di tutto l’evento raccontato dal presepe e dei mille ostacoli posti sul percorso della sacra famiglia, perché Belfagor, il principe dei diavoli, vuole impedire la nascita del Salvatore. Ma l’arcangelo Gabriele protegge la madre fino alla nascita del bambino.
L’osteria rappresenta di sicuro l’alloggio che ospita i viandanti, ma anche la casa della perdizione, un luogo da non frequentare, come se il presepe ci volesse suggerire di stare lontani dalle strade che ci allontanano dalla luce.
Sul presepe non sono annullate le differenze sociali, razziali: ricchi e poveri non si fanno guerra, la pace diventa il motivo aggregante. La sfida del presepe è il senso della dignità ritrovata, del rispetto dovuto ai diritti di ogni uomo. Ricchi e poveri, mendicanti, affamati e indigenti, straccioni, tutti sul presepe a raccontare il vangelo della redenzione.
Nel presepe, segno della speranza, della gioia per l’incontro con il Signore, i personaggi raccontano il prodigio, ma anche il bisogno di prolungarlo in ogni mese dell’anno fatto di fatica e di sudore. E così il presepe rievoca le professioni e si trasforma in mercato.
Gli artigiani rappresentano tutti i mestieri, vecchi e nuovi. I venditori, secondo la tradizione, personificano i vari mesi dell’anno, in relazione alla loro attività lavorativa, esponendo i loro prodotti migliori.
Gli angeli, che il presepe raccoglie a schiera in pose diverse cantano la gloria al cielo e la pace agli uomini di cui Dio si compiace.
Due zampognari, un giovane e un anziano all’ingresso della grotta, suonano il percorso dell’esistenza umana e, nel festeggiare la nascita del Salvatore, ricordano che ogni età è buona per rendere grazie a Dio.
Sul presepe non possono mancare animali di ogni specie, domestici, esotici e selvatici, a evocare la profezia di Isaia che riconciliava nel Bambino divino la terra e tutti i suoi abitanti: Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue (Isaia 6 -7).
La lavandaia rimanda al proto Vangelo apocrifo di Giacomodove si narra che Giuseppe era andato a cercare una levatrice per aiutare Maria a partorire. I panni lavati e stesi ad asciugare dall’ostetrica-lavandaia sono sempre presenti nella rappresentazione del Natale orientale.
Nel vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo, protagonisti della scena dell’incanto sonoil bue e l’asinello: “Il terzo dì della nascita del Signore Maria uscì dalla grotta. Entrò nella stalla e depose il bambino nella mangiatoia. Un bue e un asino si prostrarono davanti a lui. Si adempì così ciò che era stato detto dal profeta Isaia: «Il bue ha conosciuto il suo padrone e l’asino il presepio del suo Signore». Il bue, animale di riflessione, ruminante per natura, è simbolo della spiritualità orientale; l’asino, bestia da soma e da fatica, richiama l’operosità dell’occidente.
L’Angelo con la tromba rappresenta la Gloria dello Spirito Santo
I Magi sono i sapienti che per il colore della pelle rappresentano i continenti allora conosciuti, sono anche il simbolo di mondi lontani dalla nostra fede e di quanti, ancora increduli di fronte al mistero dell’incarnazione, inconsapevolmente camminano verso la salvezza.
Al centro della scena presepiale non può che esservi il mistero dell’incarnazione con Gesù bambino, la Vergine e San Giuseppe.
Un invito a tramandare ai figli e ai nipoti il significato e il valore del presepe è venuto da Papa Francesco con la Lettera apostolica Admirabile signum (1 dicembre 2019): “Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi (n.10)”.
Venerdì, 23 dicembre 2023