Dio non cerca ottimi esegeti, ma persone che Lo amino sopra ogni cosa e si donino, come Lui, ai loro fratelli
di Michele Brambilla
Introducendo l’Angelus del 31 ottobre, Papa Francesco si concentra sulla domanda che, nel Vangelo del giorno, un fariseo rivolge a Gesù: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» (Mc 12,28). «Gesù», osserva il Pontefice, «risponde citando la Scrittura e afferma che il primo comandamento è amare Dio; da questo poi, per naturale conseguenza, deriva il secondo: amare il prossimo come sé stessi». La cosa sorprendente è che, «udita questa risposta, lo scriba non soltanto la riconosce giusta ma nel farlo, nel riconoscerla giusta, ripete quasi le stesse parole dette da Gesù». Perché?
Perché «questa ripetizione è un insegnamento, per noi tutti che ascoltiamo. Perché la Parola del Signore non può essere ricevuta come una qualsiasi notizia di cronaca. La Parola del Signore va ripetuta, fatta propria, custodita. La tradizione monastica, dei monaci, usa un termine audace ma molto concreto. Dice così: la Parola di Dio va “ruminata”», come fanno le mucche con il loro cibo. La Scrittura è il nostro nutrimento spirituale e bisogna assimilarla senza distorcerla. Proprio per questo, pensando a tanta esegesi biblica contemporanea, il Papa ammonisce: «Cari fratelli e sorelle, il Signore non cerca tanto degli abili commentatori delle Scritture, cerca cuori docili che, accogliendo la sua Parola, si lasciano cambiare dentro. Ecco perché è così importante familiarizzare con il Vangelo, averlo sempre a portata di mano». Non è solo un consiglio per il cattolico medio, che nella sua giornata dovrebbe trovare spazio anche per un “Vangelino” tascabile, ma è un’indicazione fondamentale per i teologi: lasciarsi plasmare dal dettato della Bibbia così come esso si presenta, correggendo con l’umiltà l’orgoglio intellettuale. «Quando lo facciamo, Gesù, Parola del Padre, ci entra nel cuore, diventa intimo a noi e noi portiamo frutto in Lui. Prendiamo ad esempio il Vangelo di oggi: non basta leggerlo e capire che bisogna amare Dio e il prossimo. È necessario che questo comandamento, che è il “grande comandamento”, risuoni in noi, venga assimilato, diventi voce della nostra coscienza. Allora non rimane lettera morta, nel cassetto del cuore, perché lo Spirito Santo fa germogliare in noi il seme di quella Parola», trasformandoci in “traduzioni viventi” della Scrittura.
«Oggi, dunque, prendiamo esempio da questo scriba», dice il Papa: «ripetiamo le parole di Gesù, facciamole risuonare in noi: “Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza e il prossimo come me stesso”. E chiediamoci: questo comandamento, orienta davvero la mia vita? Questo comandamento trova riscontro nelle mie giornate? Ci farà bene stasera, prima di addormentarci, fare l’esame di coscienza su questa Parola, vedere se oggi abbiamo amato il Signore e abbiamo donato un po’ di bene a chi ci è capitato di incontrare». Sarà un passo in più verso la santità, che giusto domani (1 novembre) contempleremo nella solennità di Tutti i Santi: «che ogni incontro sia dare un po’ di bene, un po’ di amore, che viene da questa Parola. La Vergine Maria, nella quale la Parola di Dio si è fatta carne, ci insegni ad accogliere nel cuore le parole vive del Vangelo».
Lunedì, 1 novembre 2021