Nel 1998 il Comune di Milano ha convocato gli Stati Generali della Città di Milano, che si sono svolti nei giorni 11, 12 e 13 giugno del medesimo anno presso il Nuovo Piccolo Teatro-Teatro Giorgio Strehler del capoluogo lombardo.
In tale contesto Alleanza Cattolica è stata invitata a fornire un contributo all’iniziativa sul tema del principio di sussidiarietà.
L’intervento preparato dal dottor Marco Invernizzi e dallavvocato Roberto Respinti, entrambi di Alleanza Cattolica è stato esposto dal dottor Invernizzi, che di Alleanza Cattolica è esponente nazionale e reggente regionale per il Lombardo-Veneto, il 27 maggio 1998 presso il Comune di Milano, Palazzo Marino-Sala Alessi.
Pubblicato con il titolo Il principio di sussidiarietà, a firma di Invernizzi e di Respinti nella raccolta degli interventi intitolata Milano, sistema di idee, culture e saperi. Contributi all’audizione, I sezione, seconda edizione, edita dal Comune di Milano, il testo viene integralmente trascritto da questa fonte.
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Ci sembra che uno dei principi ispiratori della convocazione degli Stati Generali della città di Milano sia il principio di sussidiarietà. Questo principio consiste in una forma di organizzazione della società e del rapporto fra quest’ultima e l’autorità pubblica che miri a sviluppare e favorire la maggiore espressione possibile di autogoverno della società, all’interno di regole generali fondate sul diritto naturale e sul senso comune.
Al fine di favorire una maggiore comprensione e diffusione di questo principio elementare e fondamentale della vita di una società, ci permettiamo di offrire come contributo di Alleanza Cattolica agli Stati Generali della città di Milano questo breve scritto. Esso rappresenta la riflessione di un organismo civico-culturale da decenni impegnato nella nostra città nella promozione della conoscenza della dottrina sociale della Chiesa.
Il principio di sussidiarieta’
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fondamento e articolazione
Il principio di sussidiarietà è un criterio anzitutto di carattere antropologico e quindi di organizzazione sociale.
L’uomo, infatti, è un “animale sociale” che tende naturalmente ad incontrare altri uomini, ad associarsi, a dar vita ad una societas; e come tale la società è appunto un insieme ordinato, ossia organizzato, di persone.
Peraltro questo insieme di persone può ordinarsi in diversi modi, e la società può pertanto essere strutturata secondo diversi modelli organizzativi.
D’altra parte la scelta dei principi, dei criteri, attorno ai quali organizzare la società, non può che discendere dalla concezione di fondo della realtà, e quindi della persona umana, da cui si muove.
Il principio di sussidiarietà si propone come uno dei criteri di organizzazione di una società che si ritiene composta da uomini intesi come persone libere, ossia responsabili del proprio destino e in grado di fare scelte di valore per la propria esistenza.
Peraltro nel cammino che ciascuno percorre nell’arco della propria esperienza umana, nello svolgimento delle proprie attività, facilmente si scopre non autosufficiente: per raggiungere i propri obiettivi necessita cioè dell’aiuto altrui, a partire da coloro che gli sono più vicini e via via fino a giungere a coloro che gli sono più distanti.
Lungo il proprio sviluppo fisico e morale, dall’infanzia alla maturità, la persona, crescendo, scopre e incontra naturalmente delle dimensioni sociali quali la famiglia, le amicizie, l’ambito educativo (scolastico e non), le realtà associative di carattere religioso, culturale, ricreativo, le realtà professionali, etc., tutte sinteticamente definibili quali corpi intermedi, i quali vanno a comporre e coincidono con la società stessa, descrivendone il volto ed i confini.
Dette realtà “intermedie” rappresentano gli spazi nei quali la personalità e l’azione del singolo uomo, incontrandosi con quella di altri uomini, possono trovare la propria espressione nell’ambito di una formazione sociale; i luoghi nei quali l’azione del singolo individuo non appartiene più alla sola sfera privata, ma acquista una dimensione e una valenza anche di carattere pubblico.
La società viene così concepita e organizzata secondo tale modello anche a livello politico e istituzionale: l’autorità civile è individuata via via in Comune, Provincia, Regione, Stato, Unione Europea, Comunità internazionale.
In sintesi il modello può essere descritto rappresentando la società come una struttura a cerchi concentrici, nella quale al centro si trova la persona e attorno ad essa di delineano via via sfere sempre più ampie di socialità, le quali muovono dal particolare verso l’universale.
In proposito risulta importante sottolineare che, al fine di porre le condizioni perché trovi effettiva espressione il criterio antropologico e sociale sopra indicato, che del principio di sussidiarietà ne costituisce il suo valore sostanziale, il fatto che una società sia organizzata per “sfere concentriche” è condizione necessaria, ma tuttavia non sufficiente: si intende cioè affermare che la semplice esistenza di una organizzazione sociale così strutturata non è di per sé garanzia di una concreta e sostanziale attuazione del principio di sussidiarietà.
Costituisce infatti elemento fondamentale e qualificante il principio di sussidiarietà il fatto che, all’interno della struttura come sopra descritta, la linea direzionale dell’iniziativa civica muova dal centro (dalla persona) verso la periferia (passando per le realtà sociali più vicine fino a giungere a quelle più distanti) e non mai viceversa.
Se ciò non avviene, paradossalmente proprio una organizzazione sociale così delineata potrebbe risultare facile strumento per un maggiore è più incisivo esercizio del potere dal vertice nei confronti della base; esercizio del potere che risulterebbe agevolato proprio dall’articolazione della società per sfere concentriche, la quale consentirebbe una più capillare azione della autorità politica all’interno della società civile, e conseguentemente la possibilità di un controllo sociale più efficace.
In tal modo, si porrebbero le condizioni per il perseguimento dell’obiettivo opposto a quello a cui invece tende la concezione che propone il principio di sussidiarietà quale criterio per garantire libertà e responsabilità alla società, innescando un pericoloso elemento per una presenza totalizzante dello Stato nella società.
Si pensi, ad esempio, al modello politico organizzativo federale, il quale di per sé si pone logicamente e intuitivamente come il modello che più facilmente potrebbe garantire l’attuazione del principio di sussidiarietà, distribuendo l’esercizio del potere dalle comunità locali più piccole fino alla più ampia statale: la storia, come nel caso della ex Iugoslavia, ha mostrato l’esistenza di un regime sostanzialmente ed ideologicamente totalitario anche in uno Stato organizzato su un modello istituzionale cosiddetto “federale”.
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definizione e formulazione del principio nel magistero sociale della chiesa cattolica
L’elaborazione della nozione del principio di sussidiarietà è patrimonio tipico della dottrina sociale della Chiesa e del Magistero cattolico, sebbene, successivamente, esso sia stato (in parte) ripreso anche nell’ambito della dottrina giuridica pubblicistica e, talora, in sede di elaborazione normativa giuridica (Trattato di Maastricht sull’Unione Europea).
La sua formulazione classica è quella contenuta nella enciclica Quadragesimo anno di Pio XI[1]: “È vero certamente che […] molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”.
Conformemente a tale principio il ruolo dello Stato nell’organizzazione sociale viene così indicato da Pio XII[2]: “Quale è, quindi, la vera nozione di Stato se non quella di un organismo morale fondato sull’ordine morale del mondo? Lo Stato non è una onnipotenza oppressiva di ogni legittima autonomia. La sua funzione, la sua magnifica funzione, è piuttosto di favorire, aiutare, promuovere l’intima coalizione, la cooperazione attiva – nel senso di una unità più alta – dei membri che, rispettando la loro subordinazione ai fini dello Stato, cooperano nel miglior modo possibile al bene della comunità, precisamente in quanto conservano e sviluppano il loro carattere particolare e naturale. Né l’individuo né la famiglia devono essere assorbiti dallo Stato”.
L’applicazione del principio di sussidiarietà nella sfera economica viene indicata da Giovanni XXIII, il quale, nell’enciclica Mater et magistra[3], dopo aver ripreso la definizione già contenuta nella Quadragesimo anno sopra riportata, aggiunge: “Ma deve sempre essere riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona; fra i quali è da ritenersi il diritto che le singole persone hanno di essere e di rimanere normalmente le prime responsabili del proprio mantenimento e di quello della propria famiglia; il che implica che nei sistemi economici sia consentito e facilitato il libero svolgimento delle attività produttive”.
Numerosi sono i pronunciamenti di Magistero nei quali il principio di sussidiarietà viene declinato come criterio fondamentale per una corretta impostazione dei rapporti tra società e Stato in ambito educativo.
Per tutti si può ricordare la chiara affermazione contenuta nella Familiaris consortio[4] in cui il regnante pontefice ricorda che in virtù del principio di sussidiarietà “lo Stato non può e né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono egualmente svolgere bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favorire e sollecitare al massimo l’iniziativa responsabile delle famiglie”.
A conferma del fatto che il principio di sussidiarietà non costituisce un elemento accidentale o secondario della dottrina sociale cristiana, ma che, viceversa, esso è un criterio antropologico e di filosofia sociale di centrale importanza, qualificante l’intera concezione dei rapporti fra la persona e la società in cui questa vive ed opera, si rileva la lucida formulazione che di esso è contenuta nella parte del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicato alla Comunità umana, ed in particolare al tema La persona e la società: “Certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più immediatamente rispondenti alla natura dell’uomo. Sono a lui necessarie. Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni d’elezione «a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all’interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale». Tale «socializzazione» esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti”.
“La socializzazione presenta anche dei pericoli. Un intervento troppo spinto dello Stato può minacciare la libertà e l’iniziativa personali. La dottrina della Chiesa ha elaborato il principio detto di sussidiarietà. Secondo tale principio «una società di ordine superiore non deve interferire, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune»[5].
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ruoli e compiti dell’autorità e della società civile.
La società organizzata attorno al principio di sussidiarietà attribuisce un preciso ruolo all’autorità pubblica.
In particolare i compiti della autorità politica possono essere così sinteticamente indicati:
° non ostacolare la persona nel libero perseguimento delle proprie aspirazioni e finalità, sia come singolo sia in quanto associato ad altri uomini; anzi, possibilmente, agevolarla;
° garantire le condizioni affinché l’esercizio autonomo delle attività da parte della società non resti una mera affermazione di principio, ma risulti concretamente possibile, a tal fine promuovendo attivamente l’azione dei singoli e delle formazioni sociali, attraverso l’adozione di norme e provvedimenti mirati al loro sostegno giuridico ed economico.
L’autorità politica ricopre pertanto un preciso ruolo di subsidium, ossia di “aiuto” alla società, da cui il termine sussidiarietà.
Lo Stato non svolge direttamente ed esclusivamente i compiti e le attività che possono e devono essere prerogativa della società civile; non si sostituisce ad essa, ma si limita a porre le premesse, le condizioni, affinché la società compia attività sociali autonomamente.
L’intervento statale non deve peraltro essere completamente escluso, bensì ricondotto entro i limiti e i confini dei compiti che gli sono propri.
L’azione dello Stato è definita dal suo ruolo suppletivo: lo Stato deve cioè intervenire solo nel caso in cui la realtà politico-sociale di livello immediatamente inferiore non possa o non riesca a svolgere fino in fondo il proprio ruolo, assolvendo compiutamente ai suoi compiti esclusivamente con le proprie forze.
La misura dell’intervento statale (l’ubi e il quantum) è quindi indicato dalla necessità dell’intervento medesimo: laddove esso non sia indispensabile, esso deve ritenersi illegittimo.
Nello schema così delineato il compito principale dello Stato è quello di assicurare il coordinamento delle varie attività svolte dalla società civile, allo scopo di ricondurle ad un fine generale e unitario (superiore rispetto al fine particolare che caratterizza ciascuna diversa iniziativa singolarmente considerata): la conservazione, la promozione e l’incremento del Bene comune della società intera.
Lo Stato può altresì presentarsi alla società come un soggetto che, al pari e sul medesimo piano dei soggetti “privati”, propone un’attività socialmente rilevante, purché ciò avvenga alle medesime condizioni e con gli stessi limiti e regole validi per i singoli cittadini, ossia come “attore fra gli attori” e non come l’unico attore della scena sociale, politica ed economica.
Condizione essenziale per una corretta comprensione ed attuazione del principio di sussidiarietà è la definizione del ruolo tipico che deve far capo alla società civile: sussidiarietà significa riconoscere e dare l’iniziativa alla società prima (e talvolta anziché) allo Stato, e non viceversa.
Non è sussidiarietà lasciare che la società intervenga in ambiti di volontariato, assistenza, caritativa al fine di coprire gli spazi che sono lasciati scoperti dallo Stato.
In tal modo l’intervento della società si presenterebbe come sussidiario rispetto allo Stato, mentre, sulla base del principio di sussidiarietà, i rapporti devono essere impostati nel senso esattamente opposto.
D’altra parte, in quanto la società preesiste rispetto allo Stato, questo deve presupporla rispetto a se stesso: i corpi intermedi non devono pertanto essere creati “dall’alto” da parte dell’autorità statale, bensì riconosciuti, ed eventualmente solo stimolati, nel loro sorgere spontaneo “dal basso”.
Risulta così chiara la netta distinzione corrente tra uno Stato impostato sussidiariamente ed uno Stato che attua un semplice decentramento dal proprio centro alla propria periferia, per mezzo delle proprie articolazioni istituzionali, nell’esercizio del potere normativo e\o amministrativo, la cui titolarità resta comunque esclusivamente in capo allo Stato stesso.
Necessario presupposto per un corretto inquadramento del ruolo della società civile è il preliminare riconoscimento che le attività da essa svolte possano avere un carattere pubblico, e non esclusivamente privato per il solo fatto che non provengono dallo Stato.
Occorre ciò partire dal concetto che pubblico non coincide con statale, riconoscendo che tanto lo Stato quanto la società possono parimenti svolgere attività sia di carattere pubblico che di carattere privato, con ciò tenendo fermo il criterio che tale qualifica potrà risultare, a seconda del tipo di attività svolta, dall’ambito di intervento, dal suo valore sociale, dalla sua ampiezza, dalle sue caratteristiche, dai suoi destinatari, etc., ma non dovrebbe certo essere definita a priori esclusivamente in funzione del soggetto (statale o meno) che mette in campo una certa attività o che presta un determinato servizio.
Quanto sopra indicato viene espresso con estrema chiarezza anche nei documenti del Magistero sociale della Chiesa, nei quali viene efficacemente sgombrato il campo da qualunque eventuale fraintendimento del principio di sussidiarietà in chiave di similitudine o avvicinamento alle tesi tipiche del liberalismo politico e/o del liberismo economico, i quali assegnano allo Stato un ruolo di mero arbitro esterno che, astenendosi da qualunque ruolo attivo, propugna un laissez-faire quanto mai contrario ai doveri che invece debbono incombere responsabilmente sul soggetto dal quale dipendono, in larga misura, le sorti del popolo che da esso è governato. Concezioni che si fondano su basi ideologiche e che, come tali, sono invece estranee al corpus dottrinale della Chiesa.
In tal senso, riprendendo il contenuto della enciclica Rerum Novarum[6], Pio XI afferma che “Quanto al potere civile, Leone XIII, superando arditamente i limiti segnati dal liberalismo, insegna coraggiosamente che esso non è puramente un guardiano dell’ordine e del diritto, ma deve adoperarsi in modo che “con tutto il complesso delle leggi e delle politiche istituzioni ordinando e amministrando lo Stato, ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità”[7].
Come ha recentemente ed efficacemente sintetizzato il card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, tra il “lasciar fare” teorizzato dal liberalismo ottocentesco ed il “fare direttamente” proprio di tutti gli statalismi, secondo l’insegnamento della Chiesa, l’ente pubblico deve avere come principio ispiratore del suo comportamento “l’aiutare a fare”[8].
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sussidiarieta’ e solidarieta’ per una società a misura d’uomo.
Si impone, in conclusione, una precisazione, sia di metodo che di contenuto.
Volendo mantenere un approccio al tema metodologicamente corretto e lontano dalle facili schematizzazioni (tipicamente ideologiche) con le quali viene spesso reso assoluto un principio, il quale resta magari valido se ricondotto entro il suo autentico significato e se mantenuto entro i confini del campo di applicazione che gli è proprio, ma che invece produce effetti aberranti se viene assunto quale principio descrittivo dell’intera realtà, e quindi utilizzato come unico criterio in grado di dare risposta ad ogni domanda.
Il principio di sussidiarietà costituisce un valido criterio di organizzazione sociale che deve necessariamente essere associato ad altri criteri, l’insieme dei quali contribuisce a delineare la nozione di bene comune di una società, del suo Stato (ossia del modo di organizzarsi della società secondo l’”abito” – il modello giuridico – che più gli è consono), e del popolo che è governato dall’autorità civile.
In tal senso la Congregazione per la dottrina della fede si esprime auspicando un’armonica formulazione del principio di solidarietà con il principio di sussidiarietà[9]: ”In virtù del primo, l’uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune della società, a tutti i livelli. Con ciò, la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di individualismo sociale o politico. In virtù del secondo, né lo Stato né alcuna società devono mai sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà. Con ciò, la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di collettivismo”.
Una visione realistica e fondata sul senso comune della “solidarietà” mostra infatti che l’intervento solidaristico, di muto soccorso, caritatevole, è oltreché più doveroso anche più efficacemente praticabile anzitutto verso le situazioni di bisogno a noi concettualmente e localmente più vicine, piuttosto che a quelle che, per vari motivi, risultano a noi più distanti; nei confronti di queste ultime è bene infatti che si produca anzitutto l’intervento di chi ad esse si trova (in ogni senso) più attiguo, e poi, eventualmente, e suppletivamente, da parte di altri soggetti.
Il concetto è stato bene espresso da Giovanni Paolo II in questi termini[10]: “Non è possibile aspettarsi dall’uomo un comportamento di solidarietà pienamente sviluppata verso lo Stato e la società internazionale se non è stata nutrita e praticata anche a livello dei gruppi e istituzioni intermedie. Anche questo è un aspetto del principio di sussidiarietà così centrale nell’atteggiamento sociale della Chiesa”.
Oggi più che mai nel governo della cosa pubblica, a livello nazionale come a livello locale e tanto più cittadino, occorre un recupero di una dimensione umana dell’esistenza, ossia conforme al fine e alla natura della vita dei cittadini.
Le modalità con le quali la comunità umana, piccola o vasta che sia, è organizzata a livello sociale e politico, nonché la misura del riconoscimento e quindi dello spazio e della rilevanza pubblica che concretamente vengono lasciati all’iniziativa della persona, “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”[11] sono il terreno sul quale l’autorità civile si gioca in gran parte le proprie chances di fronte alla società, in termini di esercizio del potere secondo canoni di bene comune, libertà e giustizia.
Promozione dei corpi intermedi, sussidiarietà, solidarietà possono costituire i cardini di una nuova politica per la nostra Regione e per la nostra città: “È urgente ricostruire, a misura della strada, del quartiere o del grande agglomerato, il tessuto sociale in cui l’uomo possa soddisfare le esigenze della sua personalità. Centri di interesse e di cultura devono essere creati o sviluppati a livello di comunità e di parrocchie, in quelle diverse forme di associazione, circoli ricreativi, luoghi di riunione, incontri spirituali comunitari in cui ciascuno, sottraendosi all’isolamento, ricreerà dei rapporti fraterni”[12].
Marco Invernizzi e Roberto Respinti
(Alleanza Cattolica)
[1] Cfr. Pio XI, Quadragesimo anno, 1931, n.80.
[2] Pio XII, 5 agosto 1950.
[3] Cfr. Giovanni XXIII, Mater et magistra, 1961, n.59.
[4] Cfr. Giovanni Paolo II, esortazione apostolica Familiaris consortio, 22.11.1981, n.45.
[5] Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, Libreria editrice vaticana, parte 3^, sez.1^, cap.II., art.1, nn.1882 e 1883; v. anche nn.1885 e 1894.
[6] Cfr. Leone XIII, enciclica Rerum novarum, 1891.
[7] Cfr. Pio XI, enciclica Quadragesimo anno, 1931, n. 25.
[8] Cfr. Giacomo Biffi, omelia pronunciata nella cattedrale del capoluogo emiliano il 1° Maggio 1998 e riprodotta integralmente dal quotidiano Avvenire del 4.05.1998 con il titolo A lezione di sussidiarietà.
[9] Cfr. Congregazione per dottrina della fede, istruzione Libertatis conscientia, 1984, n.73.
[10] Giovanni Paolo II ai giuristi cattolici italiani, 10 dicembre 1983, n.4, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria editrice vaticana, VI.2, 1306.
[11] Costituzione della Repubblica italiana, art.2.
[12] Paolo VI. Lettera apostolica Octogesima adveniens, 1971, n.11.