Mons. Angelo Amato S.D.B., Cristianità n. 341-342 (2007)
A Roma, dal 23 al 26 aprile 2007, presso l’Istituto Maria Santissima Bambina, organizzato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, si è tenuto il XIII Seminario Mondiale dei Cappellani Cattolici e Membri delle Cappellanie dell’Aviazione Civile sul tema Dialogo nelle Cappellanie d’Aeroporto per una risposta al terrorismo. Il 23 S. E. mons. Angelo Amato S.D.B., segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha svolto un intervento dal titolo Il problema del male. Riflessioni filosofiche e teologiche. Ne pubblichiamo il testo con l’autorizzazione dell’autore. Gl’interventi redazionali sono relativi esclusivamente alle note, uniformate secondo gli standard della rivista.
1. Una mappa fenomenologica
Il male lo conosciamo a sufficienza, così come conosciamo il bene (1). Il male è dentro di noi e intorno a noi. Fenomenologicamente parlando, il male comprende le catastrofi naturali (tsunami, terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni), le patologie degli esseri viventi (malattie, handicap, incidenti, morte), le deficienze morali (peccato, vizio, tentazioni), i disordini sociali (ingiustizia, violenza, oppressione, guerra), le carenze e le deviazioni del pensiero (ignoranza, errore).
Del resto, leggendo i giornali — o utilizzando internet o la tv o la radio — ogni giorno noi assistiamo a un film perverso sul male, che viene “girato” in ogni parte del mondo con sceneggiature sempre nuove e crudeli, come constatiamo dalle mille provocazioni del terrorismo internazionale.
Come esempio di questa onda maligna che ci assale quotidianamente, prendo un giorno preciso (giovedì, 19 aprile 2007, quattro giorni fa) e un giornale italiano conosciuto anche all’estero (il Corriere della Sera). Quel giorno ricorreva il secondo anniversario dell’elezione a pontefice di Benedetto XVI.
Ma il titolo d’apertura del giornale era il seguente: Assalto ai cristiani in Turchia, tre sgozzati in una casa editrice che pubblica la Bibbia. Si tratta di veri e propri martiri, perché sono stati barbaramente torturati e uccisi in odium fidei, in quanto cristiani. Sempre in prima pagina ci sono altri due titoli odiosi: Bimba di 9 mesi uccisa dai rottweiler dei genitori e Matrimoni e decapitazioni. Quest’ultimo titolo fa riferimento a un fotografo di matrimoni, che in Iraq viene costretto a filmare le crudeli decapitazioni dei prigionieri. Nelle pagine degli “esteri”, domina, a pagina 19, la notizia di una Strage al mercato, duecento morti in Iraq: un’autobomba esplode in una piazza di Bagdad uccidendo operai, commercianti e clienti che affollavano il mercato. Qualche pagina più avanti, un altro titolo sconvolgente parla di una bambina “violentata a nove anni dopo la recita della scuola” da un branco di minorenni in età compresa tra gli 11 e i 14 anni. Sempre sulla stessa pagina 28 ci sono due fotografie di Cho Seung Hui, lo studente di origine coreana, autore due giorni prima al Virginia Tech (USA) della più grande strage avvenuta in un campus universitario: aveva ucciso a sangue freddo 32 studenti, prima di suicidarsi. Ancora a pagina 28 c’è la notizia di un imprenditore, ucciso a colpi di pistola alla periferia di Bologna. Nella cronaca di Roma, poi, si parla di un operaio morto in cantiere; di un pullman che investe, uccidendolo, un militare; dell’arresto di quattro rapinatori.
A questa razione giornaliera di male c’è da aggiungere il male che resta quasi invisibile, ma che esiste nelle sedi più impensate e che, paradossalmente, viene presentato come bene, come espressione del “progresso” dell’umanità. Si pensi, ad esempio, alle cliniche abortistiche, autentici mattatoi di esseri umani in boccio; ai laboratori dove si fabbrica, ad esempio, la Ru 486, la “pillola anticoncezionale del giorno dopo” o dove si manipolano gli embrioni umani, come fossero semplice materiale biologico; ai parlamenti delle nazioni cosiddette “civili”, dove si promulgano leggi contrarie alla natura dell’essere umano, come l’approvazione di matrimoni tra persone dello stesso sesso o l’eutanasia.
Oltre all’abominevole terrorismo dei kamikaze, che occupa quotidianamente la nostra cineteca mediatica, c’è il cosiddetto “terrorismo dal volto umano” (2), anch’esso quotidiano e altrettanto ripugnante, che viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale, manipolando ad arte il linguaggio tradizionale, con espressioni che nascondono la tragica realtà dei fatti. Ad esempio, l’aborto viene chiamato interruzione volontaria della gravidanza e non uccisione di un essere umano indifeso; la clinica abortiva viene indicata con una espressione innocua, anzi attraente: centro di salute riproduttiva; l’eutanasia viene chiamata più blandamente morte con dignità.
C’è poi un vero e proprio culto sacrilego del male presente nelle cosiddette sette sataniche: “Comunemente per “satanismo” si intende il culto di Satana, che può essere inteso sia come divinità malefica a se stante, sia come avversario del Dio cristiano” (3).
Il satanista è colui che sceglie di venerare e servire il demonio, il principe del male e il tentatore al male. I desideri del satanista sono quelle richieste che il Dio buono non può esaudire. Gli atteggiamenti satanici consistono nella inosservanza dei precetti cristiani, eseguiti all’incontrario, “commettendo, per oltraggiare più gravemente Cristo, i peccati che egli ha espressamente maledetti: la contaminazione del culto e l’orgia carnale” (4). Per i satanisti ciò che i cristiani chiamano bene è male e questo capovolgimento dei valori si manifesta nel fatto che essi provano piacere nel commettere gesti sacrileghi e azioni delittuose, operando anche omicidi rituali di persone innocenti.
Di fronte a questa fenomenologia l’uomo ha sempre esercitato la sua ragione, per capire il significato e l’origine del male e per trovare soluzioni atte a limitarne la forza devastatrice per le singole persone e per le comunità.
In concreto, il male lancia all’uomo una triplice sfida. Anzitutto una sfida esistenziale-pratica, provocandolo a prendere posizione con un atteggiamento o di rassegnazione passiva e di fatalismo, o di ribellione, o di disprezzo stoico, o di resistenza fiduciosa per vincere il male o attenuarne gli effetti.
Si dà poi una sfida teorica, in quanto il male induce la ragione a ricercarne le spiegazioni. È questo, ad esempio, il problema della teodicea, che si propone di conciliare l’esistenza del male con quella della presenza di un Dio creatore, infinitamente buono e onnipotente.
Infine, il mysterium iniquitatis solleva il problema della salvezza finale dell’uomo. Le religioni — soprattutto il cristianesimo — assegnano un posto rilevante a questa problematica.
2. Considerazioni filosofiche
Jean-Louis Bruguès qualche anno fa diceva: “Tutti i grandi filosofi si sono occupati della difficilissima questione del “male radicale” per analizzarne i rapporti con la natura (Kant [Immanuel (1724-1804)]), con la libertà (Schelling [Friedrich Wilhelm (1775-1854]), con la storia (Hegel [Georg Wilhelm Friedrich (1770-1831)]). Tuttavia, fatta eccezione per E[mmanuel]. Lévinas [1905-1995], V[ladimir]. Jankélévitch [1903-1985] e alcuni moralisti, il problema è oggi ignorato dalle varie filosofie contemporanee. Come se il male non esistesse più!” (5).
Eppure — secondo Paul Ricoeur — ancora oggi l’onnipresenza del male in tutte le sue articolazioni costituisce una “sfida alla filosofia e alla teologia” (6).
Non ci soffermiamo sulle interpretazioni mitiche del passato, che, secondo lo stesso Ricoeur, sarebbero di quattro tipi (7).
L’origine del male risalirebbe alla creazione stessa, per cui il male è il caos con il quale l’atto creatore deve lottare.
L’origine del male sarebbe da ricercarsi nell’uomo stesso, che così si trova inserito in una storia di perdizione e di salvezza mediante una qualche iniziativa divina.
Per la tragedia greca, la causa del male sarebbero gli dei, che tentano l’uomo, inducendolo in inganno, perciò non ci sarebbe salvezza o liberazione dal male, ma solo accettazione del “fato” tragico.
Per il mito dell’anima esiliata, l’uomo sarebbe una infelice mescolanza di terra e di psiche smarrita in questo mondo, per cui la liberazione consisterebbe nel ritorno al mondo originario, dopo essersi liberato dal peso della materia e del corpo.
Accenniamo, invece, ad alcune soluzioni filosofiche moderne.
Di fronte al pessimismo di Pierre Bayle (1647-1706), che aveva accusato la bontà di Dio per il male del mondo, Gottfried Leibniz [1646-1716], nel suo Essais de théodicée sur la bonté de l’homme et l’origine du mal (1710), cercò di dimostrare che l’esistenza del male non era incompatibile con l’esistenza di un Dio infinitamente buono e onnipotente.
La sua ipotesi poggia su due argomenti: l’idea greca, secondo la quale il male non sarebbe che la privazione di un bene o, meglio ancora, il limite metafisico, la finitezza costitutiva degli esseri; e l’idea di un dio super-ingegnere, che ha creato il migliore dei mondi possibili.
Esiste, quindi il male metafisico, che però è solo un limite. C’è, poi, il male fisico, che è spiegabile, però, con la ipotesi del migliore dei mondi possibili; e c’è, infine, il male morale, permesso da Dio in quanto abuso della libertà umana.
Ad ogni modo, di fronte al male di ogni genere, l’uomo può consolarsi con l’idea che nel mondo c’è suprema armonia e che ci sono ragioni sufficienti che la sua intelligenza non riuscirà mai a cogliere. Questa visione leibniziana è falsamente ottimistica e genera fatalismo e passività. Sottovaluta, inoltre, la libertà umana e il male morale da essa provocato.
Per Teilhard de Chardin [1881-1955], considerata la sua visione evoluzionistica del mondo, il male sarebbe una inevitabile necessità statistica, una specie di scoria dell’evoluzione del creato, che procederebbe per gradi verso il suo compimento definitivo. Anche in questa visione viene sottovalutata la libertà umana e il dramma del male morale. Nessuna evoluzione può, infatti, giustificare i conflitti, le guerre, le ingiustizie, le oppressioni. Il male non è un sottoprodotto della bontà dell’evoluzione, ma resta il risultato delle libere scelte dell’uomo. E in nessun modo esso contribuisce a migliorare la creazione.
Per il marxismo classico e postmoderno, alla radice di tutte le forme del male ci sarebbe la situazione storica d’ingiustizia, per cui tutti i mali avrebbero una origine economico-sociale. Superata la distinzione delle classi, eliminate la religione e la proprietà privata — e quindi eliminate le cause dei mali — inizierebbe la vera storia dell’uomo riconciliato con la natura e con i suoi simili. La liberazione dal male non dipenderebbe dalla conversione del cuore al bene ma dalla lotta collettiva. Anche qui il male viene sganciato dalla libertà personale dell’uomo e viene interpretato alla luce di strutture universali e impersonali. Inoltre non è sostenibile l’interpretazione del male in puri termini economici.
La riflessione filosofica contemporanea considera la reale possibilità del superamento del male. La secolarizzazione ha portato al massimo la convinzione che l’uomo possa vincere il male con le sue conoscenze scientifiche, le sue conquiste tecniche e con la cooperazione internazionale globalizzata.
Ma l’uomo è anche consapevole che la causa di molti mali consiste nell’abuso che egli fa, singolarmente e collettivamente, della sua libertà. Ogni generazione, poi, sembra voler essere anch’essa protagonista del male, ripercorrendo le stesse strade che nel passato sono state disastrose. Infatti, nonostante il progresso in tutti i campi, nonostante le straordinarie conquiste della scienza, esistono ancora comportamenti “stabili” del male: guerre, odi, uccisioni, tradimenti, abusi, ingiustizie, conflitti.
Il risultato è che il male appare come una patologia strutturale dell’umanità, la sua macchia nera, il suo punto debole.
Di fronte al male la ragione sembra, quindi, impotente e i suoi giudizi risultano deficitari.
3. Interpretazioni religiose
Anche le religioni hanno cercato di rispondere al perché del male, narrando il suo sorgere e proponendo la liberazione immediata o promessa da esso.
Senza inoltrarci nell’arcipelago delle varie scuole e tradizioni indù e buddhiste, diciamo solo, che, nell’induismo, ad esempio, il male è conseguenza dell’azione disordinata dell’uomo. Il male attualmente sperimentato (karma, destino), sottoforma di malattia, povertà, infelicità, è spiegato come punizione per il male compiuto nel passato. Una condotta di vita virtuosa, però, che asseconda il dharma può condurre alla rottura della catena della reincarnazione (samsara) e alla liberazione-fusione nel brahman (l’Io cosmico).
Nel buddhismo l’esistenza dell’uomo è caratterizzata dalla sofferenza: nascita, malattia, vecchiaia, morte. Causa di questi mali è il desiderio. La proposta buddhista consiste nell’annientamento del desiderio, fonte di ogni sofferenza, mediante un atteggiamento d’indifferenza. In tal modo, con un’articolata prassi ascetica, si raggiunge il nirvana.
Nell’islam il male consiste nella disobbedienza alla volontà divina e alla sua legge. Il musulmano deve evitare le azioni interdette e osservare i precetti — di ordine alimentare, igienico, rituale o propriamente “morale” — ordinati o solo raccomandati da Dio nel Corano.
Nell’ebraismo il male viene pensato come peccato, come infedeltà all’alleanza con Dio, mediante azioni e omissioni — di ordine morale o rituale — che contrastano con la legge divina. I Salmi, ad esempio, celebrano l’armonia tra il retto comportamento morale e la prosperità dell’individuo. In Giobbe, però, è il giusto che soffre. Qui, la soluzione non si ottiene nell’elaborazione di una nuova teoria sulla giusta retribuzione, bensì nel confermare a Dio la propria fiducia e nell’affidarsi in ultima istanza alla sua volontà provvidente.
4. La prospettiva cristiana
Nella prospettiva cristiana, che accoglie anche la rivelazione divina dell’Antico Testamento, il male pone il problema della giustificazione della sua presenza con la realtà della bontà e dell’onnipotenza di Dio. In ogni caso, il male dipende dalla libertà dell’uomo, dalla sua responsabilità e dalla sua consapevole trasgressione della legge divina. Il peccato è, quindi, la causa prima del male. Nei primi secoli cristiani la Chiesa respinse la dottrina manichea, che aveva immaginato un principio malvagio contrapposto al Dio buono.
Una sintesi della concezione cristiana del male l’abbiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che articola il suo insegnamento in tre punti.
Anzitutto si afferma che Dio ha creato un mondo ordinato e buono: “Scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà (“E Dio vide che era cosa buona […] cosa molto buona”: Gn 1, 4.10.12.18.21.31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto all’uomo, come un’eredità a lui destinata e affidata. La Chiesa, a più riprese, ha dovuto difendere la bontà della creazione, compresa quella del mondo materiale” (CCC 299).
In secondo luogo, il Catechismo riafferma la responsabilità dell’uomo e la sua cooperazione al compimento del suo disegno: “Dio dà agli uomini anche il potere di partecipare liberamente alla sua provvidenza, affidando loro la responsabilità di “soggiogare” la terra e di dominarla. In tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause intelligenti e libere per completare l’opera della creazione, perfezionandone l’armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo. Cooperatori spesso inconsapevoli della volontà divina, gli uomini possono entrare deliberatamente nel piano divino con le loro azioni, le loro preghiere, ma anche con le loro sofferenze. Allora diventano in pienezza “collaboratori di Dio” (1 Cor 3, 9) e del suo Regno” (CCC 307).
Dio, cioè, come causa prima, opera nelle cause seconde e per mezzo di esse: “Lungi dallo sminuire la dignità della creatura, questa verità la accresce. Infatti la creatura, tratta dal nulla dalla potenza, dalla sapienza e dalla bontà di Dio, niente può se è separata dalla propria origine, perché “la creatura senza il Creatore svanisce”; ancor meno può raggiungere il suo fine ultimo senza l’aiuto della grazia” (CCC 308).
Il Catechismo pone poi la domanda cruciale dello scandalo del male che contrasta con l’onnipotenza e la bontà di Dio: “Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura di tutte le sue creature, perché esiste il male? A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna risposta immediata potrà bastare. È l’insieme della fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l’amore paziente di Dio che viene incontro all’uomo con le sue alleanze, con l’incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con la convocazione della Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c’è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male“ (CCC 309).
Ma il Catechismo si chiede ancora, sul perché Dio non abbia creato un mondo perfetto senza alcun male. E risponde offrendo la visione cristiana dell’esistenza del male fisico e del male morale.
A proposito del male fisico si insegna: “Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore. Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo “in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione” (CCC 310).
A proposito, poi, del male morale si afferma: “Gli angeli e gli uomini, creature intelligenti e libere, devono camminare verso il loro destino ultimo per una libera scelta e un amore di preferenza. Essi possono, quindi, deviare. In realtà, hanno peccato. È così che nel mondo è entrato il male morale, incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male morale. Però, rispettando la libertà della sua creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene” (CCC 311).
Chiarisce quest’ultima affermazione dicendo: “Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l’uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene” (CCC 312).
Per confermare questa verità, si ricorre anche alla testimonianza dei santi: “Così santa Caterina da Siena dice a “coloro che si scandalizzano” e si ribellano davanti a ciò che loro capita: “Tutto viene dall’amore, tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo, Dio non fa niente se non a questo fine”.
“E san Tommaso Moro, poco prima del martirio, consola la figlia: “Non accade nulla che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio”.
“E Giuliana di Norwich: “Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene […]. Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene”” (CCC 313).
In conclusione, l’insegnamento della Chiesa sulla presenza del male richiede da noi la fede in Dio, Signore del mondo e della storia, accompagnata dalla convinzione che le vie della sua provvidenza spesso ci rimangono sconosciute: “Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio “a faccia a faccia” (1 Cor 13, 12), conosceremo pienamente le vie lungo le quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel Sabato definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra” (CCC 314).
5. I discepoli, annunciatori del bene ed esorcisti del male
Il Santo Padre Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazaret (8), ha affrontato due volte il tema del male, offrendoci una straordinaria pagina di lettura attualizzante della Scrittura e dell’insegnamento di Gesù al riguardo.
Parlando della chiamata dei Dodici, il Papa rileva che Gesù istituisce i Dodici con una duplice destinazione: per stare con lui e per mandarli: “Devono stare con Lui per conoscerlo; per giungere a quella conoscenza di Lui che non poteva dischiudersi alla “gente”, che Lo vedeva solo dall’esterno e Lo considerava un profeta, un grande della storia delle religioni, ma non poteva percepire la sua unicità (cfr. Mt 16, 13ss). I Dodici devono stare con Lui per conoscere Gesù nel suo essere uno con il Padre e poter così diventare testimoni del suo mistero. Devono essere stati con Lui — come dirà Pietro prima dell’elezione di Mattia — “per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi” (cfr. At 1, 8.21). Verrebbe da dire: dalla comunanza esteriore devono arrivare alla comunione interiore con Gesù” (9).
“”Diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità” ([Mt] 10, 1). Il primo incarico è quello di predicare: donare agli uomini la luce della Parola, il messaggio di Gesù. Gli apostoli sono innanzitutto evangelisti” (10).
Lo stare con Gesù prepara i discepoli alla missione, perché essere con Gesù comporta la dinamica della missione. E la finalità di questa missione è l’annuncio del Vangelo e il potere di scacciare i demoni: “Diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità” (Mt. 10, 1).
Il primo incarico è quello di donare agli uomini l’annuncio della Parola di Gesù. Gli apostoli sono tutti evangelisti. E il loro annuncio, oltre che illuminazione delle menti con la verità di Dio, è anche una lotta contro il male: “Poiché il mondo è dominato dalle potenze del male, quest’annuncio è allo stesso tempo una lotta contro queste potenze.”I messaggeri di Gesù mirano, al suo seguito, ad un’esorcizzazione del mondo, alla fondazione di una nuova forma di vita nello Spirito Santo, che liberi dall’ossessione diabolica” (Pesch, Das Markusevangelium I, p. 205). Di fatto, il mondo antico — come ha mostrato soprattutto Henri de Lubac [gesuita, cardinale (1896-1991)] — ha vissuto l’irruzione della fede cristiana come liberazione dalla paura dei demoni, una paura che nonostante lo scetticismo e l’illuminismo dominava tutto; e lo stesso accade anche oggi ovunque il cristianesimo prende il posto delle antiche religioni tribali e, trasformando i loro elementi positivi, li assume in sé. Si sente tutto l’impeto di quest’irruzione nelle parole di Paolo, quando dice: “Nessuno è Dio se non uno solo. E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per Lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per Lui” (1 Cor 8, 4ss). In queste parole c’è un potere liberatorio — il grande esorcismo che purifica il mondo. Per quanti dèi possano fluttuare nel mondo — Dio è uno solo e uno solo è il Signore. Se apparteniamo a Lui, tutto il resto non ha più potere, perde lo splendore della divinità” (11).
“Esorcizzare” per Benedetto XVI significa collocare il mondo nella luce della retta ratio che proviene dall’eterna Ragione creatrice e risanatrice: “San Paolo, nella Lettera agli Efesini, ha descritto una volta, da un’altra prospettiva, questo carattere esorcistico del cristianesimo, dicendo: “Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza! Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6, 10-12). Heinrich Schlier [1900-1978] ha spiegato così questa rappresentazione della lotta del cristiano, che oggi ci appare sorprendente o anche strana: “I nemici non sono questo o quell’altro e nemmeno io stesso, non sono carne e sangue […], il contrasto va più nel profondo. Si rivolge contro una quantità innumerevole di nemici che sono instancabilmente all’attacco, avversari non ben definibili che non hanno veri nomi, ma solo denominazioni collettive; sono anche a priori superiori all’uomo e questo per la loro posizione superiore, per la loro posizione “nei cieli” dell’esistenza, superiori anche per l’impenetrabilità e l’inattaccabilità della loro posizione. La loro posizione è, appunto, l’”atmosfera” dell’esistenza, un’atmosfera che essi stessi diffondono intorno a sé, essendo infine tutti ricolmi di una malvagità sostanziale e mortale” (p. 291)” (12).
Il Papa parla di un’atmosfera malvagia, che assomiglia molto a quanto abbiamo detto all’inizio a proposito della fenomenologia del male. Il male oggi non è solo azione di singoli o di gruppi ben individuabili, ma proviene da centrali oscure, da laboratori di opinioni false, da potenze anonime che martellano le nostre menti con messaggi falsi, giudicando ridicolo e retrogrado un comportamento conforme al Vangelo.
“E chi non vedrebbe che ci sono avvelenamenti mondiali del clima spirituale che minacciano l’umanità nella sua dignità, addirittura nella sua esistenza? La singola persona, anzi, le stesse comunità umane sembrano irrimediabilmente abbandonate all’azione di queste potenze. Il cristiano sa che, da solo, neppure lui può riuscire a dominare questa minaccia. Ma nella fede, nella comunione con l’unico vero Signore del mondo, gli è donata l’”armatura di Dio”, con cui — nella comunione dell’intero Corpo di Cristo — può opporsi a queste potenze, sapendo che il Signore ci restituisce nella fede l’aria depurata da respirare — il soffio del Creatore, il soffio dello Spirito Santo, nel quale soltanto il mondo può essere risanato” (13).
Oltre al compito di esorcizzare, i discepoli hanno anche la missione di guarire ogni sorta di malattie e infermità (cfr. Mt. 10, 1). Il cristianesimo ha anche una componente terapeutica, di guarigione del male fisico: “Il potere di scacciare i demoni e di liberare il mondo dalla loro oscura minaccia in vista dell’unico e vero Dio — questo potere esclude al contempo ogni concezione magica della guarigione, in cui si cerca di servirsi proprio di queste potenze misteriose. Le guarigioni magiche sono sempre legate anche all’arte di volgere il male contro il prossimo e di mettergli i “demoni” contro. Signoria di Dio, regno di Dio significa propriamente l’esautoramento di queste forze mediante il sopraggiungere dell’unico Dio, che è buono, il Bene in persona” (14).
6. La preghiera del cristiano: “Ma liberaci dal male”
La preghiera quotidiana del cristiano è l’invocazione al Padre misericordioso di essere liberati dal male e dal tentatore, che è il maligno. Come Gesù, anche il cristiano è soggetto alla tentazione, agli assalti quotidiani e alle persecuzioni a lungo termine del drago dell’Apocalisse (cap. 12-13), della “bestia” uscita dal mare, salita dagli abissi oscuri del male, con gli attributi del potere politico assoluto.
Per non essere ingoiati da questo moloch vorace e maligno, il cristiano deve pregare con tutte le sue forze: Signore, liberaci dal male.
A questo proposito, nel capitolo quinto del suo libro, il Papa annota: “Anche se l’impero romano e le sue ideologie non esistono più — quanto è ancora attuale tutto ciò! Anche oggi ci sono, da un lato, le potenze del mercato, del traffico di armi, di droghe e di uomini — potenze che gravano sul mondo e trascinano l’umanità in vincoli ai quali non ci si può sottrarre. Anche oggi c’è, dall’altro lato, l’ideologia del successo, del benessere, che ci dice: Dio è solo una finzione, ci fa solo perdere tempo e ci toglie la voglia di vivere. Non ti preoccupare di Lui! Cerca da solo di carpire dalla vita quanto puoi! Anche a queste tentazioni sembra impossibile sottrarsi. Il Padre nostro nella sua interezza, e questa domanda in particolare, vogliono dirci: solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso; allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell’evoluzione. Allora il “drago” ha vinto davvero. Finché egli non riesce a strapparti Dio, tu, nonostante tutte le sventure che ti minacciano, sei ancora rimasto intimamente sano. Così è giusto che la traduzione dica: liberaci dal male. Le sventure possono essere necessarie alla nostra purificazione, ma il male distrugge. Questo dunque chiediamo nel più profondo: che non ci venga strappata la fede che ci fa vedere Dio, che ci unisce a Cristo. Chiediamo che per i beni non perdiamo il Bene stesso; che anche nella perdita di beni non vada perso per noi il Bene, Dio; che non andiamo persi noi: liberaci dal male!” (15).
È opportuno qui il richiamo al commento al Padre nostro di san Cipriano, il vescovo martire, che dovette sostenere di persona la situazione descritta nell’Apocalisse: “Quando diciamo “liberaci dal male”, non resta niente che dovremmo ancora oltre ciò chiedere. Una volta ottenuta la protezione chiesta contro il male, noi siamo sicuri e custoditi contro tutto ciò che diavolo e mondo possono mettere in atto. Quale paura potrebbe ancora sorgere dal mondo per colui, il cui protettore nel mondo è Dio stesso?” (16).
È la fiducia che ha sostenuto i martiri e che san Paolo ha espresso con queste straordinarie parole: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? … Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 31-39).
Nella preghiera quindi oltre a confermare la nostra obbedienza alla sua divina volontà, noi chiediamo al Padre celeste anche di porre un limite alle tribolazioni e ai mali che devastano il mondo e la nostra vita.
Anzi nella liturgia romana, questa domanda viene ulteriormente ampliata e specificata: “Liberaci, o Signore, da tutti i mali, passati, presenti e futuri. Per l’intercessione […] di tutti i santi, concedi la pace ai nostri giorni, affinché, con l’aiuto della tua misericordia, viviamo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento”.
Conclude al riguardo il Santo Padre: “Si percepisce l’eco delle necessità in tempi turbolenti, si percepisce il grido per una redenzione completa. Questo “embolismo”, con cui nelle liturgie viene rafforzata l’ultima domanda del Padre nostro, mostra l’aspetto umano della Chiesa. Sì, noi possiamo, noi dobbiamo pregare il Signore anche di liberare il mondo, noi stessi e i molti uomini e popoli sofferenti dalle tribolazioni che rendono la vita quasi insopportabile” (17).
Purtroppo non possiamo chiudere le biblioteche del male del mondo né distruggere le sue cineteche, che si riproducono, come virus letali, in maniera esponenziale. Possiamo, però, chiedere a Dio, sommo Bene, di rafforzarci nella sua grazia e nella sua verità, mediante la formazione di una retta coscienza che cerca e ama il vero e il bene ed evita il male (18).
Perciò occorre un nutrimento spirituale adeguato: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Tale pane indica sia il pane necessario per la nostra esistenza terrena, sia il pane eucaristico. È nutrito da questo cibo celeste che il discepolo di Cristo può vincere lo strapotere delle potenze del male ed essere liberato dal Male.
+ Angelo Amato S.D.B.
Note:
(1) Per le considerazioni di questa relazione sono debitore ai seguenti scritti, alcuni dei quali citati esplicitamente: Associazione Teologica Italiana, Creazione e male del cosmo. Scandalo per l’uomo e sfida per il credente, a cura di don Gianfrancesco Colzani, Messaggero, Padova 1995; Gian Luigi Brena S.J. (a cura), “Mysterium iniquitatis”. Il problema del male, Gregoriana, Roma 2000; Tonino Cantelmi e Cristina Cacace, Il libro nero del Satanismo. Abusi, rituali, crimini, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2007; monsignor Michel Schooyans en collaboration avec Anne-Marie Libert, Le terrorisme à visage humain, François-Xavier de Guibert, Parigi 2006; Adriano Fabris, Male, in Giuseppe Barbaglio (1934-2007), Giampiero Bof e don Severino Dianich (a cura), Teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2002, pp. 893-906; Joseph Gevaert S.D.B., Male, in Dizionario Teologico Interdisciplinare, vol. II, Marietti, Torino 1977, pp. 434-442; don Paul Guilluy, Mal, in Centre interdisciplinaire des Facultés catholiques de Lille, Catholicisme. Hier, aujourd’hui, demain, tomo 8 (Lux Alma-Messiaen), Letouzey et Ané, Parigi 1979, coll. 220-231; Hermann Häring, Il male nel mondo. Potenza o impotenza di Dio?, trad. it., Queriniana, Brescia 2001; don Orazio Francesco Piazza (a cura), Padre nostro… Liberaci dal male. Teologi in dialogo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2000; Hans Jonas (1903-1993), Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Una voce ebraica, trad. it., Il Melangolo, Genova 1991; René Latourelle S.J., Male, in Idem e mons. Rino Fisichella (a cura), Dizionario di Teologia Fondamentale, Cittadella, Assisi 1990, pp. 661-669; Antonio Pieretti (a cura), Giobbe: il problema del male nel pensiero contemporaneo, Cittadella, Assisi 1996; Massimo Raveri (a cura), Del bene e del male. Tradizioni religiose a confronto, Marsilio, Venezia 1997; Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, ed. it. a cura di Ingrid Stampa e Elio Guerriero, Rizzoli, Milano 2007; Paul Ricoeur (1913-2005), Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, trad. it., Morcelliana, Brescia 1993; Rüdiger Safranski, Il male. La riflessione nella cultura occidentale dall’antichità a oggi, Longanesi, Milano 2006; Emilio Spedicato, La strana creatura del caos. Idee e figure del male nel pensiero della modernità, Claudiana, Torino 1987; e don Nello Venturini, Perché il male?, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2000.
(2) Cfr. monsignor M. Schooyans en collaboration avec A.-M. Libert, op. cit.
(3) T. Cantelmi e C. Cacace, op. cit., p. 48.
(4) Ibid., pp. 48-49.
(5) Jean-Louis Bruguès O.P., Dizionario di Morale Cattolica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1994, p. 219.
(6) P. Ricoeur, Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, cit.
(7) Cfr. Idem, Finitude et culpabilité, vol. II, La symbolique du mal, Aubier, Parigi 1963, p. 163.
(8) Cfr. J. Ratzinger-Benedetto XVI, op. cit.
(9) Ibid., pp. 206-207.
(10) Ibid., p. 207.
(11) Ibid. pp. 207-208; cfr. la citazione in Rudolf C. Pesch, Das Markusevangelium. Erster Teil, Herder, Freiburg i.B. 1976, p. 205; trad. it., Il Vangelo di Marco, Parte prima, Paideia, Brescia 1980, p. 344.
(12) J. Ratzinger-Benedetto XVI, op. cit.. pp. 209-210; cfr. la citazione in Heinrich Schlier, Der Brief an die Epheser. Ein Kommentar, Patmos, Düsseldorf 1958, p. 291; trad. it., Lettera agli Efesini, Paideia, Brescia 1973, p. 465.
(13) J. Ratzinger-Benedetto XVI, op. cit., p. 210.
(14) Ibid. p. 211.
(15) Ibid. pp. 198-199.
(16) Cipriano, De dom. or. 27, cit. in J. Ratzinger-Benedetto XVI, op. cit., p. 199.
(17) J. Ratzinger-Benedetto XVI, op. cit., p. 200.
(18) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, n. 359.