Giovanni Cantoni, Cristianità n. 84 (1982)
Dal «progetto socialista» al «programma socialista», dall’«alternanza» con «polo» laico all’«alternativa» con i comunisti: la via per trasformare l’Italia in un paese comunista dal volto socialista.
Confermato dal convegno di Rimini
Il «programma socialista» contro il popolo italiano
La vita politica nazionale – ma, con ogni evidenza, non solamente quella – si sta facendo ogni giorno più affannosa e caratterizzata da colpi di scena, mentre, all’orizzonte, l’ipotesi di una fine anticipata della legislatura appare sempre meno peregrina.
In questa situazione, tetragono a qualsiasi accadimento circostante – italiano oppure internazionale – e con la sicurezza di chi ha l’avallo dei superiori e la consapevolezza di dovere compiere una missione, il Partito Socialista Italiano si appresta a «governare il cambiamento», allo scopo sostanzialmente riprendendo, mutatis mutandis, la linea tracciata dopo la consultazione elettorale del 3 giugno 1979, e integrandola opportunamente sulla base delle necessità rese evidenti dall’esame del comportamento del corpo sociale da allora a oggi (1).
Proprio lo slogan «governare il cambiamento» è stato il motivo dominante della conferenza programmatica di Rimini, svoltasi nella nota località balneare adriatica dal 31 marzo al 4 aprile scorso, e che ha segnato il passaggio dal «progetto socialista» al «programma socialista», dagli orientamenti dottrinali a quelli pratici.
In tale sede ha fatto bella mostra di sé e si è espressa gran parte della classe dirigente del socialismo italiano sedicente riformistico, sono state esposte moltissime idee, sono stati enunciati innumerevoli propositi, ma, soprattutto, sono emerse due linee operative particolarmente rilevanti, una di carattere più propriamente politico e l’altra tesa a una ulteriore degradazione delle istituzioni e, quindi, del costume.
Comincio dalla esposizione dell’azione progettata in campo immediatamente politico, alla cui origine sta, chiaramente, la verificata incapacità della Rivoluzione di incrementare in modo rilevante il proprio consenso, sia direttamente che attraverso élite proditorie: il che la spinge a ricercare la via per incrementare il proprio potere politico nonostante la stagnazione o il riflusso del sostegno elettorale. Tale via viene individuata dal personale dirigente del socialismo italiano in «una convenzione costituzionale», consistente in «interventi di microingegneria studiati in modo da investire entrambi i circuiti fondamentali del sistema: quello che lega il parlamento al governo e quello che congiunge il governo al presidente della repubblica» (2). Si tratta, in sostanza, di «un patto esplicito tra le forze politiche che: (a) le vincoli a concludere gli accordi di coalizione e a designare i leader delle alleanze in sede preelettorale, così da porre i cittadini dinanzi a chiare alternative di governo; (b) obblighi il presidente della Repubblica a nominare presidente del Consiglio (ma a questo punto sarà meglio chiamarlo primo ministro) il leader dell’alleanza maggioritaria e a sciogliere le camere ove sorgano difficoltà insormontabili nell’esecuzione del programma» (3).
La «convenzione costituzionale», essendo «un patto esplicito tra le forze politiche», si rivela essere semplicemente «un “patto di legislatura” stipulato tra le forze politiche ed il capo dello stato che induca le prime a presentarsi al corpo elettorale con una ipotesi completa di programma e di governo di legislatura» (4).
Allo scopo è assolutamente necessario «favorire l’aggregazione delle forze politiche minori. I provvedimenti per perseguire nel modo migliore questo obiettivo» comportano, tra l’altro, la eliminazione de «la disparità delle circoscrizioni» (5), cioè un ridisegnare la mappa elettorale.
Ecco dunque, a grandi linee, la sostanza della operazione politica che il Partito Socialista Italiano ha il compito di svolgere o, almeno, di guidare: «Questo significa “governare il cambiamento”»: adeguare «le forme politiche al compimento di governare democraticamente la complessità sociale […], impegnando lo Stato a garantire nuove e più avanzate regole del gioco che siano tali da tutelare gli interessi e i valori permanenti della società in una fase di intensa e inevitabilmente tumultuosa trasformazione della struttura economica e sociale» (6).
Infatti, «Attraversare la fase che qualcuno ha definito della terza rivoluzione industriale esige stabilità e autorevolezza degli esecutivi non meno che responsabilizzazione delle strutture sociali» (7).
A questo punto della sua esposizione l’esponente socialista che sto citando aiuta a capire meglio lo scopo della operazione di microingegneria costituzionale, con i suoi corollari elettorali, affermando che di tali esigenze «sono consapevoli i compagni francesi, che fanno della stabilita politica loro garantita dalle istituzioni della quinta repubblica il fondamento non secondario del loro ambizioso programma di governo» (8).
Dunque, per realizzare in Italia un programma di governo non meno «ambizioso» di quello francese – anche solo tenendo presente la attuale consistenza elettorale di chi se lo propone – è necessaria una grande riforma, ridotta però, forse perché il tempo incalza, a una «convenzione costituzionale», dietro la quale sta il già noto «patto di legislatura». Come si vede, un’operazione che deve irrobustire l’esecutivo, sottraendolo alle pendolarità e ai soprassalti del corpo elettorale; e funzionale allo scopo è anche un ridisegnare la mappa elettorale.
Niente di diverso, per altro, è stato fatto in Francia, dove sono stati creati «167 nuovi cantoni […] perché fossero meglio rappresentate le zone più urbanizzate, ma con la speranza di vederli attribuiti alla sinistra» (9), e dove, negli ambienti vicini al primo ministro Pierre Mauroy, dopo le recenti elezioni amministrative, si è ritenuto di potere precisare che «I risultati delle cantonali non avranno conseguenze sul ritmo e la natura del cambiamento», fornendo la seguente spiegazione della indifferenza del governo alle indicazioni dell’elettorato: «il governo ha scelto la via del rigore e beneficia della durata che le elezioni presidenziali e legislative del maggio e del giugno 1981 gli hanno conferito. Non è quindi il caso di accelerare o di fare una pausa nel ritmo delle riforme» (10).
Quindi, tornando a noi, il Partito Socialista Italiano punta alla realizzazione di una condizione politica che permetta a esso di tradurre in pratica il suo programma, senza dovere più tenere conto eccessivo delle indicazioni del corpo sociale: microingegneria costituzionale, dunque, e «polo» o «coalizione laica», che assicuri l’«alternanza» e, in prospettiva, l’«alternativa».
Mentre, da un canto, il Partito Socialista persegue un irrigidimento e un rafforzamento dell’esecutivo che permetta lo sfruttamento integrale od ottimale del potere politico, indipendentemente dalla sua rappresentatività sociale, esso si propone, d’altra parte, di proseguire anche l’opera di demoralizzazione del corpo sociale. È questa la seconda linea operativa chiaramente emersa a Rimini, e a lungo termine, è strumento di acquisizione di elettorato, difficile da convincere ma più facile da rendere complice attraverso la permissività delle istituzioni.
A questo scopo sono stati elaborati i Punti programmatici delle donne socialiste, un documento presentato in sede congressuale e che, tra l’altro, recita: «1) Modifica della legge sullo scioglimento del matrimonio per quanto riguarda […] il tempo intercorrente tra la separazione e il divorzio […].
«2) Modifica della legge sull’aborto per quanto riguarda: l’obiezione di coscienza e l’autodeterminazione delle minorenni.
«[…].
«6) Misure legislative anche nel campo della legislazione fiscale a favore delle “famiglie di fatto”, quando la convivenza è stabile, duratura e notoria;
«a) possibilità di detrazione dall’IRPEF di una somma per il convivente pari a quella prevista per il coniuge;
«b) equiparazione del convivente al coniuge per il regime fiscale in caso di successione testamentaria;
«c) equiparazione del convivente al coniuge nella impresa familiare […];
«d) equiparazione del convivente al coniuge per quanto riguarda la pensione di reversibilità;
«e) equiparazione del convivente al coniuge per la conservazione del contratto di locazione in caso di separazione o morte» (11).
«Il documento approvato dalle donne nel corso della conferenza di Rimini, ripropone le grandi questioni insolute nell’ambito del diritto di famiglia […]. Sono sul tappeto i tempi del divorzio (le donne socialiste ritengono che cinque anni, per ottenerlo dopo una separazione di fatto, siamo troppi, e che ne basterebbero due) e la normativa sull’aborto (con riferimento soprattutto all’obiezione di coscienza) ma anche le molteplici questioni connesse al riconoscimento delle famiglie di fatto, alla convivenza, al regime dell’impresa famigliare, alle norme testamentarie, all’erogazione delle pensioni e via dicendo» (12).
Credo che ogni commento risulti chiaramente superfluo.
Ai propositi socialisti di incrementare il proprio elettorato con complici acquisiti attraverso una ulteriore istituzionalizzazione del permissivismo – dal momento che è difficile immaginare che si dilati il consenso a propositi e a realizzazioni sempre più immorali e traumatizzanti, senza la necessità di dare copertura ideologica e giuridica alla propria degradazione – e di moltiplicare il potere sostenuto da tali complici con artifici costituzionali ed elettorali, si accompagna, con sempre maggiore rilievo, un altro procedimento di demoralizzazione, consistente nel proseguire sulla via della «questione morale» aperta con il «caso P2» e, quindi, continuata con quello Cirillo – Semerari – camorra. Anche quest’ultimo «caso», come il precedente, porta sostegno cospicuo alla tesi secondo cui «la politica è una cosa sporca», dilatando il qualunquismo, incrementando l’«Aventino di massa» e favorendo l’aumento del potere politico della sinistra, anche se basato su non eccezionali quote del corpo elettorale.
Detto tutto questo, rimangono, fra altri, almeno due quesiti. Il primo riguarda la funzione dei comunisti nella operazione affidata in prima persona al Partito Socialista stesso: credo che, nel breve periodo, essa consista in una azione di copertura rispetto agli «eccessi» del socialismo francese e di quello greco, e in questo senso suona la dichiarazione del presidente del gruppo parlamentare del Partito Socialista francese, Pierre Joxe, secondo cui «L’Italia è forse il paese che ci sorprende di più, perché vi troviamo che i comunisti sono più vicini a noi dei socialisti» (13). A lungo o, forse, a medio termine, è decisamente rivelatore quanto si ricava dalla formulazione socialista di un «obiettivo […] più ambizioso: recuperare tutto quanto c’è di vivo e di progressivo nella tradizione democratica e socialista del nostro paese, ivi compresa la componente nazionale, figlia della nostra stessa cultura del comunismo italiano, entrato oggi sul terreno ideale prima ancora che su quello politico, in irrimediabile crisi; una operazione culturale che io definirei culturalmente egemonica»
Il secondo quesito, cui facevo riferimento, riguarda, sempre a breve, le prospettive di riforma economica. A questo proposito l’on. Berlinguer, che guida la forza politica che potrebbe meglio incalzare il Partito Socialista al potere, assicura, dopo l’incontro con Francois Mitterrand e con Lionel Jospin, che «In Italia i problemi si pongono in una prospettiva diversa. Da noi il settore pubblico è già allargato e non c’è bisogno di suoi ulteriori ampliamenti. C’è invece un bisogno di renderlo più efficiente […]» (15), confermando lo stato di avanzata socialistizzazione del nostro paese e dando via libera alla «razionalizzazione» e alla «modernizzazione» economica di cui si fa paladino il Partito Socialista Italiano. Quanto alla meta finale, ce ne assicura Jospin stesso: «Noi vogliamo arrivare a rompere, attraverso un’azione progressiva, con il capitalismo, non soltanto gestirlo meglio. In questo senso l’idea di una “terza via” ci interessa» (16).
Dunque, ancora una volta, la Rivoluzione ha parlato chiaro e parla chiaro, sia circa i fini che circa i mezzi.
In occasione del congresso socialista di Palermo del 1981, l’on. Craxi ha donato all’on. Berlinguer un ritratto di Garibaldi, ricamato su stoffa dalle donne di Romagna dopo la campagna del 1859 (17). Che fosse la caparra della futura «alternativa»?
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. il mio «Grande Riforma» e «alleanza riformatrice», in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979.
(2) FEDERICO MANCINI, Porre le istruzioni per una democrazia che governi, in Avanti!, 2-4-1982.
(3) Ibidem.
(4) ENZO CHELI, Il rapporto parlamento-governo: le riforme possibili e utili, ibidem.
(5) ALBERTO SPREAFICO, Quale riforma elettorale e quale «diritto dei partiti», ibidem.
(6) LUIGI COVATTA, Una nuova fase nella vita del PSI in continuità con la nostra storia, in Avanti!, 1-4-1982.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) Corriere della Sera, 23-3-1982. Procedimento analogo è stato sperimentato, e con successo, in un piccolo paese del Mediterraneo, il 12 dicembre 1981: «In quel giorno, a Malta, ci furono le elezioni per il nuovo Parlamento: elezioni dalle quali (fatto unico nella storia elettorale di Malta e di tutti i paesi del mondo libero!) è uscito vincente chi ha avuto meno voti. Il Partito Nazionalista, infatti, che ha ottenuto il 51% dei voti validi, non ha conquistato la maggioranza dei seggi; ma solo 31 su 65; mentre, il Partito Socialista, con il 49% dei suffragi, ha conquistato 34 seggi. Questo fenomeno, mai avverato, è dovuto al fatto che, alla vigilia delle elezioni, per ordine di Mintoff è stata cambiata la mappa elettorale: villaggi e quartieri sono stati staccati dai loro naturali collegi ed attaccati ad altri alquanto lontani» (UN SACERDOTE MALTESE, Mintoff e la Segretaria di Stato, in Chiesa viva, anno XI, n. 117, marzo 1982, p. 14). Riesce assolutamente comprensibile, quindi, la struggente dichiarazione dei democristiani salvadoregni, che hanno affermato: «Con la legge francese avremmo cinquanta deputati, lasciandone dieci all’opposizione. Invece andiamo all’assemblea in minoranza…»! (Corriere della Sera, 1-4-1982).
(10) Corriere della Sera, 23-3-1982. Il rigore di Mitterrand, nonostante le chiare indicazioni del corpo elettorale – cospicua riduzione delle astensioni, cioè mobilitazione spontanea antisocialista, e corrispondente incremento delle forze politiche di centro-destra – richiama quello di Salvador Allende. Alle spalle di Allende però, come sappiamo, c’erano Cuba e il Piano Z: servata distantia fra il Cile e la Francia, è troppo immaginare, alle spalle di Mitterrand, l’URSS? Commentando la situazione francese ed europea, Louis Salleron nota: «Di fronte alla abdicazione dell’Europa sul piano internazionale e alla abdicazione della Francia in tutti i campi, l’URSS deve soltanto registrare il proprio trionfo. Vorrà consacrarlo con un tocco finale militare? Tutto è possibile» (Le communisme à visage socialiste, in Itinéraires, n. 258, dicembre 1981, p. 19).
(11) Avanti!, 4/5-4-1982.
(12) Ibidem.
(13) Rinascita, anno 39, n. 11, 19-3-1982, p. 16.
(14) GAETANO ARFÈ, Turati ebbe ragione nel ’19 e nel ’21 perché iniziò ad averla a Genova, in Avanti!, 1-4-1982.
(15) Corriere della Sera, 1-4-1982.
(16) Paese Sera, 13-4-1982.
(17) Cfr. il Giornale nuovo, 25-4-1981.