Le persecuzioni toccano, ormai, un terzo del pianeta
di Silvia Scaranari
«Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana, la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata», aveva affermato Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata della Pace del 2011, e Papa Francesco ha ribadito il principio il 6 marzo 2021 durante il suo viaggio in Iraq quando a Ur, nella Piana dei Caldei, ha affermato: «di fronte al terrorismo non si può tacere, la libertà di religione e di coscienza per tutti sono un diritto».
Nella situazione reale del nostro mondo questo principio non è riconosciuto in ampie aree del pianeta. Nonostante il 28 maggio del 2019 le Nazioni Unite, su iniziale proposta della Polonia, abbiano indetto una giornata per commemorare le vittime delle persecuzioni religiose, da celebrare ogni anno il 22 agosto, la libertà religiosa resta un problema molto serio almeno per un terzo dei paesi del mondo. Questo è quanto emerge del XV Rapporto sulla libertà religiosa curato dalla Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), presentato martedì 20 aprile a Roma in modalità online in una conferenza stampa presieduta da Alessandro Monteduro, Direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre-Italia.
5 miliardi e 200 milioni di nostri fratelli oggi vivono in Paesi (tra cui Cina, India, Pakistan, Mozambico, Corea del Nord…) che non garantiscono la libertà religiosa. In 62 Paesi sui 196 analizzati (31,6%) si registrano discriminazioni o aperte persecuzioni con un netto peggioramento del quadro complessivo negli ultimi due anni.
Il rapporto rappresenta una delle voci più autorevoli del mondo sulla condizione di rispetto o, al contrario, di violazione della libertà religiosa. Iniziato nel 1999, oggi viene pubblicato ogni due anni e vede un’attenta indagine condotta in 196 Paesi del nostro pianeta. La pandemia, se ha impedito la partecipazione fisica dei giornalisti alla conferenza stampa di ACS, ha favorito le testimonianze dirette di persone che, per le proprie vicende, sono assurte a simboli di sofferenza e di lotta a favore della libertà religiosa, come Asia Bibi, in collegamento dal Canada, dove risiede dopo la liberazione dalla lunga prigionia a cui l’aveva costretta l’accusa per blasfemia rivoltale nel suo Paese d’origine, il Pakistan, o mons. Laurent B. Dabiré, vescovo di Dori e presidente della Conferenza episcopale del Burkina Faso.
Le vicende di Aasiyah Naurīn Bibi sono ben note: nata nel 1971, contadina cattolica, sposata e madre di 5 figli, viene accusata dalle compagne di aver offeso Maometto in una discussione sul lavoro. Subito arrestata, è incarcerata, picchiata, stuprata, segregata per circa un anno fino a quando, l’11 novembre 2010, il giudice Naveed Iqbal emette la sentenza di condanna a morte. La famiglia fa ricorso all’Alta Corte di Lahore ed inizia il tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale in suo favore, tentativo che si concluderà con successo il 31 ottobre 2018 grazie anche al supporto di ACS, che proprio per lei il 24 febbraio aveva illuminato il Colosseo di rosso.
Nella sua testimonianza Asia Bibi mette l’accento sul perdurare in Pakistan dei rapimenti di giovani donne cristiane, spesso delle bambine, costrette a subire violenza da parte dei loro rapitori per essere poi sottoposte a matrimoni e conversioni forzate. Le fa eco il professor Shahid Mobeen, fondatore dell’Associazione Pakistani cristiani in Italia, che aggiunge come, pur nel quadro leggermente migliorato degli ultimissimi anni, persistano due grandi problemi: il reato di blasfemia e il graduale isolamento in cui sta ricadendo il Paese con il ritiro delle forze armate internazionali. Il Pakistan tornerà ad essere una lontana provincia islamista, dove i giovani saranno sempre più avviati all’integralismo violento da un piano di educazione nazionale unico, che trasmette un islam ultra radicale.
La conferenza stampa era stata aperta da un intervento del card. Mauro Piacenza, Presidente Internazionale di ACS, che aveva sottolineato come la possibilità di manifestare il proprio credo, come singoli e come comunità, è alla base della libertà umana e risponde al rispetto che ognuno deve all’altro. La violenza non è mai giustificabile, neanche quando vuole vendicare gravi offese. Quando la Chiesa rivendica il diritto primario della libertà religiosa, lo fa per tutti, non solo per i cattolici. Testimone di questo arduo impegno mons. Laurent B. Dabiré, il cui lavoro è proprio quello di tentare la riappacificazione delle diverse comunità che, un tempo, godevano di una serena convivenza ed oggi sono, invece, vittime della violenza jihadista. Sono personalmente testimone di una lunga conversazione, una dozzina di anni fa, con un giovane sacerdote del Burkina Faso, in visita a Torino, che raccontava la fortuna del suo Paese, dove si viveva in collaborazione ed amicizia e non erano infrequenti matrimoni misti e unioni fra famiglie anche appartenenti a fedi diverse. Oggi, invece, il Burkina è entrato, con il Mali e la Niger, nel triangolo del terrorismo jihadista, sempre più violento, che vuole creare una fascia, dall’Africa occidentale fino all’Etiopia e alla Somalia, per controllare dall’Atlantico al Mar Rosso il commercio, il contrabbando, la situazione politica e creare una realtà sociale improntata all’islam più radicale. La volontà espansiva del jihadismo è dimostrata dalle recenti incursioni in Benin e in Costa d’Avorio, e si spera che l’operazione Takuba, voluta dalla Francia per l’intero Sahel, a cui collabora anche l’Italia, dia i suoi frutti impedendo la ricostituzione del “califfato” fallito in Medio Oriente. Sulla stessa linea è intervenuto Monteduro, sottolineando come «violazioni della libertà religiosa si sono verificate nel 42% delle nazioni africane. Il Rapporto descrive il consolidamento di un network islamista transnazionale il cui scopo è creare un califfato transcontinentale».
Non preoccupa solo l’islam, ma anche il nazionalismo, che, unito a tendenze etnico-religiose (vedi induismo e buddhismo in India, Thailandia, Myanmar…), vuole soffocare le minoranze religiose accusandole talvolta di complottare contro l’unità dello Stato.
Anche i regimi autoritari generano persecuzioni religiose, come in Corea del Nord e in Cina, utilizzando i sempre più sofisticati strumenti tecnologici digitali per il controllo della popolazione. In Cina il programma “Occhi taglienti” ha introdotto 626 milioni di telecamere, che dialogano con gli smartphone dei cittadini. Accanto a questo sistema di controllo è in via sperimentale, in alcune aree (primo fra tutti lo Xinjiang, con i musulmani uiguri), il sistema del “credito sociale”, con cui i cittadini accumulano un tesoretto in base alle loro azioni nei confronti del regime comunista. Tra le azioni catalogate come cattive ci sono visitare troppo frequentemente i luoghi di culto o non aiutare la polizia a identificare i dissidenti religiosi, come ad esempio i membri del Falun Gong. Un punteggio troppo basso può impedire agli individui di acquistare biglietti ferroviari o aerei, oppure di iscrivere i loro figli nelle scuole desiderate. Il 9 febbraio 2021 l’Amministrazione statale per gli affari religiosi (SARA) ha inaugurato un database chiamato «Misure amministrative per il personale religioso», che si applicherà a tutti i gruppi di fede e conterrà informazioni relative a membri del clero, monaci, sacerdoti e vescovi. I leaders religiosi «avranno l’obbligo di “sostenere la leadership del Partito comunista cinese”, “appoggiare il sistema socialista”, “opporsi alle attività religiose illegali e all’estremismo religioso, nonché all’infiltrazione di forze straniere che usano la religione”».
Questi pochi spunti – per la situazione di ogni singolo stato si rimanda alla lettura del Rapporto – rendono chiaro quanto affrontare il tema della libertà religiosa sia importante e rispondono alla domanda sul perché ACS dal 1999 continua a pubblicare il Rapporto. Come ha detto il Presidente di ACS-Italia, Alfredo Mantovano, il rapporto «non è una consuetudine da rispettare», ma è prima di tutto «un dovere» verso i circa 2 miliardi di persone che soffrono persecuzioni per la loro fede, senza contare gli altri che patiscono discriminazioni.
Aiuto alla Chiesa che Soffre Internazionale, Libertà religiosa nel mondo 2021, aprile 2021,
Giovedì, 22 aprile 2021