
di Maria Grazia Beltrame
Il termine «Sessantotto» fa riferimento non solo all’anno 1968 ma a un periodo molto più lungo, di almeno due decadi, dagli anni 1960 sino alla fine degli anni 1970 e, in alcuni Paesi come l’Italia, sino agli inizi degli anni 1980, arrivando a includere i cosiddetti «anni di piombo», che rappresentarono il periodo più violento, quello del terrorismo. Si trattò di una vera e propria rivoluzione, che coinvolse le giovani generazioni attratte dall’utopia di trasformare radicalmente la società e la politica. Si realizzò in tempi e in modi diversi nei vari Paesi, trasformando comportamenti e mentalità. Il Sessantotto è un fenomeno politico-culturale, che parte dagli eventi della protesta studentesca, come il «Maggio parigino», ma ha profonde radici ideologiche nel mondo occidentale.
Le rivoluzioni del 1968-1969
Secondo lo storico britannico Arthur Marwick (1936-2006) gli eventi che portarono a cambiamenti «epocali», prima nella società americana e poi nel resto del mondo negli anni 1960, furono gli assassinii di John Fitzgerald Kennedy (1917-1963) e di Martin Luther King (1929-1968) e la guerra nel Vietnam (1955-1975): essi contribuirono a infervorare gli attivisti dei vari movimenti di protesta studenteschi e operai in diversi Paesi.
Negli Stati Uniti, il movimento per i diritti civili guidato da King e il partito chiamato Black Panthers — fondato nel 1966 in California —, dopo l’assassinio del leader nero, diedero il via a centinaia di rivolte. In quell’anno, per esempio a Chicago, numerose furono le proteste di studenti, intellettuali e reduci contro la guerra in Indocina. Le università furono teatro di scontri, a partire da quella di Berkeley in California nel 1964 sino alla Columbia di New York nel 1968.
In Francia, le rivolte del maggio partirono dagli studenti della Sorbona e di Nanterre e finirono per coinvolgere anche il movimento operaio, sì che il presidente Charles De Gaulle (1890-1970) fu costretto a indire nuove elezioni.
In Germania, il movimento studentesco, di ispirazione marxista, si opponeva contemporaneamente all’intervento americano in Vietnam e al sistema capitalistico. Rudi Dutschke (1940-1979) fu il leader di un moto a sfondo socialista-anarchico rivoluzionario.
Anche in Italia durante il cosiddetto «autunno caldo», quello del 1969, il movimento studentesco si unì a quello operaio sindacalizzato in numerose manifestazioni di piazza che portarono poi alla lotta politica violenta, che vedrà, alla fine della decade successiva, l’escalation del terrorismo. La protesta non era animata solo dal pacifismo, dalla liberazione sessuale, dall’apologia del consumo di droghe, portata avanti dai gruppi hippy e femministi in tutto il mondo occidentale, ma si univa all’antifascismo e all’antimilitarismo tipici delle sinistre: fu una lotta di classe contro la borghesia, sfociata in guerriglia violenta e assassina negli «anni di piombo».
Queste ribellioni si diffusero anche «oltrecortina», nei Paesi del blocco sovietico, ma furono rapidamente represse nel sangue dai governi, come avvenne in Cecoslovacchia quando a Praga, nell’agosto 1968, intervennero direttamente i carri armati del Patto di Varsavia.
A una prima analisi gli eventi di quegli anni sembrerebbero animati da un desiderio di maggior giustizia e libertà, avvenuti in nome della democrazia, contro l’ineguaglianza, la guerra e l’autoritarismo del «sistema». Ma, in realtà, a questi eventi seguì una vera rivoluzione culturale, con conseguenze a lungo termine per la maggioranza della gente comune.
La Rivoluzione globale
Infatti, i moti del Sessantotto furono una ribellione non solo contro le autorità istituzionali, governi e sistemi di potere, ma una rivoluzione «interna» contro lo stesso principio di autorità. Se in superficie i manifestanti prendevano di mira le istituzioni, chiedendo maggior libertà, giustizia e democrazia, in realtà le loro idee colpivano al cuore l’autorità nella famiglia e nella persona stessa. Il Sessantotto rappresentò uno stadio della Rivoluzione ulteriore a quello comunista, fu una Rivoluzione in interiore homine, parte di un più ampio processo di sradicamento morale e sociale che rifiutava i valori naturali e tradizionali. Dopo la Rivoluzione «protestante», quella «francese» e quella comunista, questa nuova fase attaccava i fondamenti: il senso religioso, l’autorità morale e quella familiare; fu in sostanza una ribellione contro l’ordine naturale voluto da Dio e contro ciò che rimaneva della civiltà cristiana, che promuoveva invece il secolarismo e il relativismo, nonché uno stile di vita individualistico ed edonistico.
Riepilogo: i fattori-chiave del Sessantotto
I Cambiamenti economici e sociali del dopoguerra
I decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale videro una rapida crescita economica in molte parti del mondo, specialmente in Europa occidentale, negli Stati Uniti e in Giappone; essa portò a un miglioramento degli standard di vita, ma anche a profondi cambiamenti sociali. Con la modernizzazione delle società e l’estensione dell’accesso all’istruzione superiore, emerse una nuova classe media, specialmente nelle aree urbane. Le università divennero spazi in cui gli studenti, molti dei quali erano i primi nelle loro famiglie a frequentarle, mettevano in discussione lo status quo e criticavano l’autorità.
L’opposizione all’autoritarismo, sia nei Paesi comunisti che in quelli capitalisti.
Nel blocco orientale, in particolare in Cecoslovacchia, in Polonia e in Iugoslavia, il malcontento crebbe per la mancanza di libertà individuali e per il rigido controllo sociale esercitato dai governi comunisti. La «Primavera di Praga» del 1968 fu l’emblema di questo desiderio di riforma. Tuttavia, l’Unione Sovietica considerò queste riforme una minaccia al suo controllo e rapidamente schiacciò il movimento libertario con una invasione militare. Ciononostante, in Occidente, i governi democratici venivano definiti dai contestatori come autoritari.
La guerra nel Vietnam e l’anti-imperialismo
La guerra nel Vietnam svolse un ruolo cruciale nel galvanizzare le proteste in tutto il mondo. Verso la fine degli anni 1960, quella guerra era diventata sempre più impopolare negli Stati Uniti a causa del crescente numero di morti, della leva obbligatoria e della copertura di atrocità come il massacro di My Lai avvenuto il 16 marzo 1968. La guerra diventò simbolo dell’imperialismo americano, poiché gli Stati Uniti stavano intervenendo in un Paese lontano con l’intento di combattere il comunismo, ma a molti sembrava solo uno sforzo per mantenere il loro predominio geopolitico.
Il movimento globale per i diritti civili
Il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti ebbe un impatto profondo a livello globale, ispirando ovunque movimenti per la giustizia sociale e per l’uguaglianza razziale, nonché accelerando la decolonizzazione. Mentre gli afro-americani chiedevano pari diritti, la loro lotta ebbe risonanza in altri gruppi emarginati in tutto il mondo, dalle popolazioni indigene dell’America Latina ai rimanenti popoli colonizzati in Africa e in Asia.
Cultura giovanile e divario generazionale
Gli anni 1960, come detto, hanno visto l’emergere di una contro-cultura giovanile che metteva in discussione le norme e le autorità tradizionali. Il baby boom del secondo dopoguerra portò a una generazione più benestante e più istruita, ma anche più critica verso le istituzioni. I giovani di allora furono influenzati da filosofie come l’esistenzialismo, il marxismo e il pacifismo, che proclamavano la pace e il libero amore. Musica, arte e letteratura, allo stesso tempo, promuovevano e riflettevano questo cambiamento culturale. La musica rock, in particolare artisti come Bob Dylan e Jimi Hendrix (1942-1970), complessi come i Beatles formarono la cosiddetta «Beat generation» e fecero da sfondo alla protesta, mentre film e letteratura criticavano sempre di più il materialismo, il conformismo e la guerra. Il divario generazionale fu un elemento-chiave: molti giovani consideravano i loro genitori, troppo conformisti e complici di un sistema sociale ritenuto ingiusto e oppressivo. «Vietato vietare» fu uno degli slogan del Maggio francese.
Marxismo e Nuova Sinistra
Molti dei movimenti studenteschi e operai furono fortemente influenzati dalle idee marxiste, in particolare dalla critica al capitalismo e dalla prospettiva di un cambiamento rivoluzionario. La Nuova Sinistra, The New Left, l’ampio movimento emerso negli anni 1960, si distinse dai tradizionali partiti di sinistra e dai movimenti comunisti in quanto enfatizzava questioni sociali come i diritti civili, l’uguaglianza di genere e l’opposizione all’imperialismo americano.
Il nuovo punto di riferimento della Nuova Sinistra furono i filosofi della Scuola di Francoforte, fra cui Theodor Wiesegrund Adorno (1903-1969), Herbert Marcuse (1898-1979), Max Horkheimer (1895-1973) ed Erich Fromm (1900-1980). Tutti costoro volevano rinnovare il marxismo ed elaborare una nuova tattica rivoluzionaria. Il movimento degli studenti era visto come lo strumento di liberazione da una realtà oppressiva, la famiglia, e il soggetto edificatore di una nuova società, fluida e in costante cambiamento secondo i desideri del momento. La nuova utopia doveva raggiungere la liberazione dell’eros, per una società aperta fatta di uomini autenticamente liberi.
Femminismo e uguaglianza di genere
La fine degli anni 1960 vide anche l’ascesa del femminismo «di seconda generazione». Negli Stati Uniti, il movimento acquistò slancio con l’attivista Betty Friedan (1921-2006). Le donne iniziarono a organizzarsi per rivendicare l’accesso alla contraccezione e all’aborto e contro la discriminazione nella società. Anche questa fu una ribellione che, negando le norme, i valori e i vincoli interiorizzati imposti dalla società, dalla cultura e dalla famiglia, colpiva l’individuo stesso.
Conseguenze odierne
Uno dei lasciti più significativi delle rivoluzioni del 1968-1969 è l’affermazione dell’individualismo, in particolare l’enfasi sulla spontaneità espressiva e sull’auto-determinazione.
La rivoluzione sessuale ha cambiato radicalmente il modo in cui la società vede la sessualità e le relazioni. La cultura di massa ha integrato le prospettive delle femministe, in particolare nei media. Il mondo del cinema, della televisione e della musica mette in primo piano personaggi e narrazioni femminili forti e indipendenti. L’idea che gli individui debbano avere il controllo sulle proprie identità e sui comportamenti sessuali è diventata una caratteristica distintiva della cultura di massa moderna. Questo ha portato a una maggiore accettazione dei diversi orientamenti sessuali e stili di vita. I movimenti per i diritti LGBTQ+ hanno favorito un significativo cambiamento culturale e la normalizzazione di strutture relazionali diverse da quelle consuete: matrimoni tra persone dello stesso sesso, relazioni aperte e «fluidità di genere».
L’attivismo politico rimane centrale nei movimenti di protesta moderni, da Black Lives Matter — movimento internazionale, attivo dal 2013, che combatte la discriminazione razziale — all’attivismo ambientalistico. Una delle eredità culturali-chiave delle rivolte del 1968 è considerare la contestazione anche violenta come mezzo legittimo di impegno politico.
Il sentimento di crescente sfiducia verso le istituzioni tradizionali e le autorità dal Sessantotto in poi si è profondamente radicato nella cultura di massa ed è soprattutto visibile nel declino della religione istituzionale in molte parti del mondo. Nelle società occidentali, la frequenza alle chiese e l’affiliazione religiosa sono diminuite significativamente, anche grazie ai cambiamenti culturali iniziati negli anni 1960.
Martedì, 4 febbraio 2025
Per approfondire
Enzo Peserico, Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, Sugarco Edizioni, Milano 2008.
Marco Invernizzi e Paolo Martinucci (a cura di), Dal Centrismo al Sessantotto, Ares, Milano 2007.
Alfredo Mantovano, I Rolling Stones da “demoni” ad “angeli” della rivoluzione, in Cristianità, anno X, n. 88-89, agosto-settembre 1982, pp. 11-15.
Salvatore Calasso, Alle origini del Sessantotto. La Beat Generation, in Cristianità, anno XLVI, n. 391, maggio-giugno 2018, pp. 37-64.