Intervista con il dottor Anatolij Korjagin
In occasione di una conferenza sugli abusi della psichiatria in Unione Sovietica — tenuta il 21 novembre 1989 a Sciaffusa, in Svizzera, presso la clinica psichiatrica Breitenau — ho avuto modo di conoscere il relatore, lo psichiatra russo Anatolij Korjagin, e di apprezzarne la competenza scientifica e l’informazione relativamente agli accadimenti nel suo paese d’origine. Poiché l’interesse per tali accadimenti non accenna minimamente a diminuire, nella seconda metà di aprile del 1990 lo incontro di nuovo a Zollikon, nei pressi di Zurigo, dove vive dal maggio del 1987, per porgli alcuni quesiti.
Il dottor Anatolij Korjagin è nato in Siberia nel 1938 e si è laureato in medicina nel 1963, a Krasnojarsk. Nei seguenti diciassette anni ha lavorato come psichiatra in diversi ospedali sovietici. Posto di fronte agli abusi della psichiatria, incomincia a collaborare con un gruppo di dissidenti che si occupa di tali abusi praticati a fini politici. Per questa sua attività, nel 1981 viene condannato a una pena di quattordici anni fra confino e detenzione, che sconta in prigioni e in campi di concentramento fino a quando, nel 1987, viene espulso dall’Unione Sovietica sotto le pressioni dell’opinione pubblica internazionale e di associazioni psichiatriche occidentali, anche sulla base del fatto che nel 1983 — in un significativo momento di tensione fra l’AMP, l’Associazione Mondiale di Psichiatria e l’associazione ufficiale degli psichiatri sovietici — era stato nominato membro onorario della stessa AMP. E appunto dal maggio del 1987 Anatolij Korjagin vive in Svizzera e continua a occuparsi degli abusi in genere in campo medico, con particolare riferimento a quelli nel settore psichiatrico, perpetrati in Unione Sovietica.
D. Negli ultimi tempi i mass media occidentali non si sono più occupati della repressione di dissidenti in ospedali psichiatrici sovietici, togliendo a essa anche quello spazio — già non straordinario e certo sproporzionato alla sua gravità — che le hanno dedicato negli anni scorsi: la perestrojka messa in opera da Mikhail Gorbaciov ha portato a mutamenti sostanziali in questo campo?
R. Oggi si parla, spesso e dovunque, di riforme realizzate in tutti i settori della vita socio-politica ed economica dell’Unione Sovietica. Qualcuno ha certamente sentito parlare della nuova disposizione per l’assistenza ai pazienti affetti da malattie psichiche, in vigore dal 1° marzo 1988.
Ecco cosa è scritto, alla lettera, al punto 9 di questa disposizione: “La persona che compia atti tali da dare motivi sufficienti per supporre in lei l’esistenza di un disturbo psichico accentuato e che in tal modo turbi l’ordine pubblico, oppure violi le norme della convivenza socialista e che inoltre rappresenti un pericolo diretto per sé e per gli altri, può essere sottoposta alla visita preliminare senza il suo consenso, quello dei suoi parenti o dei suoi rappresentanti legali”.
Si deve notare che, anzitutto, viene contemplato il turbamento dell’“ordine pubblico” e delle “norme della convivenza socialista”, e solo in secondo luogo il pericolo per sé e per gli altri. E spetta al tribunale la decisione di procedere al trattamento obbligatorio negli ospedali psichiatrici con regimi diversi, dove vengono sottoposte a tale trattamento persone malate di mente che abbiano commesso delitti in stato di infermità mentale, oppure che si siano ammalate mentre scontavano una pena.
D. Una perizia psichiatrica non garantisce una decisione corretta?
R. La perizia medico-legale è ordinata dal giudice istruttore, “se ha motivi sufficienti per supporre una malattia psichica dell’imputato” oppure dall’amministrazione del penitenziario o del campo di concentramento dove si trova il condannato. In Unione Sovietica non solo gli psichiatri, ma anche i giuristi si occupano della questione della pericolosità sociale del malato di mente. Inoltre, la valutazione di questo fenomeno è diversa nei due gruppi professionali: i medici la valutano come una minaccia per la salute e per la vita del paziente stesso e del prossimo, i giuristi allargano questo concetto prendendo in considerazione anche il pericolo potenziale della trasgressione della legge e il pericolo per i fondamenti stessi della società. Visto che nei rapporti sociali sovietici vige il primato dello Stato sul singolo e il sistema giuridico sovietico è il primo tutore del regime vigente nel paese, è perfettamente chiaro il motivo per cui, nelle direttive speciali del ministero della Sanità dell’Unione Sovietica, in caso di accertamento di pericolosità sociale si raccomandi di tener conto non solo del quadro clinico-psicopatologico, ma anche delle caratteristiche socio-psicologiche del paziente.
D. Ma “leggi psichiatriche” sono indubbiamente necessarie anche a difesa dei pazienti.
R. In uno Stato dispotico a regime totalitario, qual è l’Unione Sovietica, le leggi servono da sempre non alla regolamentazione della vita della società, ma sono una delle principali leve di comando per determinare il comportamento dei cittadini. Ogni cittadino sovietico è sempre stato definito apertamente come proprietà dello Stato ed è stato considerato non come fine, ma come mezzo per il conseguimento dei fini dei detentori del potere. Dal punto di vista del pragmatismo statale il malato mentale è visto come un peso per la società, che non solo non produce nulla, ma perfino consuma senza risarcimento risorse materiali dello Stato ed è, inoltre, potenzialmente pericoloso. Per questo lo Stato sovietico non ha mai ritenuto ragionevole promulgare disposizioni di legge che garantissero la protezione materiale e giuridica di questo tipo di pazienti.
D. Qual era la situazione dei pazienti psichiatrici nell’Unione Sovietica prima della disposizione del 1988?
R. La persona che soffriva di una malattia psichica era privata automaticamente di tutti i diritti ed era completamente in balia dell’arbitrio degli psichiatri. Praticamente qualsiasi persona poteva essere sottoposta a visita psichiatrica con il pretesto più assurdo e la diagnosi poteva privarla dei propri diritti. Proprio la mancanza di qualsiasi diritto e di garanzie giuridiche ha favorito l’organizzazione nel paese di un sistema repressivo psichiatrico. I detentori del potere e il KGB, la polizia segreta, avendo la possibilità di esercitare pressioni sugli psichiatri, sono riusciti a ottenere l’isolamento di dissidenti perfettamente sani di mente in ospedali psichiatrici, dove psichiatri privi di scrupoli li sottoponevano a torture con la somministrazione di psicofarmaci utilizzati normalmente nella cura di disturbi di tipo schizofrenico, con l’uso di violenza fisica e di pesante pressione morale.
D. Quando è iniziata la repressione dei dissidenti per mezzo della psichiatria?
R. Questo tipo di repressione ha avuto inizio negli anni del governo di Nikita Kruscev, e ha raggiunto il massimo sviluppo nell’era di Leonid Breznev. Negli anni Settanta e nella prima metà degli anni Ottanta ogni persona, in carcere perché indiziata in base a uno degli articoli del codice penale riguardanti le cosiddette “attività antisovietiche”, veniva sottoposta a perizia psichiatrico-forense e, in un caso su due o su tre, veniva diagnosticata una malattia psichica, il che comportava il ricovero in ospedale psichiatrico anche per molti anni e, in certi casi, più di una volta.
Chiunque osava prendere pubblicamente posizione contro le repressioni psichiatriche veniva perseguitato con particolare durezza dal KGB. Negli anni dal 1979 al 1981 tutti e sei i membri della commissione non ufficiale d’inchiesta sugli abusi politici della psichiatria furono messi in prigione.
D. La nuova disposizione ha migliorato la posizione del paziente psichiatrico?
R. Gli stessi giuristi sovietici fanno oggetto della critica più severa questa disposizione, dichiarando che essa non assicura in alcun modo garanzie legali ai pazienti. Infatti, benché nella disposizione sia riconosciuto al paziente il diritto di presentare ricorso contro le azioni degli psichiatri, la decisione relativa al ricovero spetta, come in passato, soltanto al medico, che addirittura può non essere uno psichiatra.
La grave manchevolezza della nuova disposizione, con le sue limitate garanzie legali, ha le sue cause: alla sua elaborazione hanno partecipato forze della società sovietica come gli organi ufficiali della magistratura e dell’establishment psichiatrico.
D. Come ha reagito in passato l’establishment psichiatrico sovietico alle critiche provenienti anche dall’estero?
R. Le autorità sovietiche e gli esponenti della psichiatria ufficiale hanno negato categoricamente i fatti più scandalosi di abuso politico della psichiatria. Nel 1983 l’associazione ufficiale degli psichiatri sovietici fu costretta a uscire dall’AMP per evitare l’onta di un’espulsione.
D. Lei ha parlato di abuso sistematico della psichiatria per la repressione dei dissidenti: non si potrebbe pensare a errori individuali, all’inesperienza dei medici coinvolti o alla difficoltà di porre una diagnosi?
R. La sistematicità degli abusi è facilmente dimostrata dai fatti seguenti:
1. Sono sempre stati psichiatri particolarmente esperti a visitare i dissidenti, nell’Istituto Serbskij addirittura professori universitari.
2. È inimmaginabile l’alta percentuale di “casi di malattia” fra i dissidenti: solo alcuni di essi non sono sottoposti a perizia medico-legale; negli anni Sessanta e Settanta un dissidente su tre viene ricoverato in ospedale psichiatrico.
3. La diagnosi di “sindrome delirante” è posta in quasi tutti i casi delle vittime della psichiatria repressiva.
4. Casi di diagnosi “collettiva”: nel 1987, a proposito di quattro armeni aderenti al movimento Hare Krishna viene fatta una diagnosi collettiva, nel corso dello stesso procedimento, di schizofrenia; i coniugi Kutjavin sono ricoverati insieme e insieme dimessi.
5. Alle vittime della psichiatria repressiva medici e collaboratori del KGB offrono la dimissione in cambio della rinuncia all’impegno sociale precedente.
6. Pazienti “pentiti” della psichiatria repressiva vengono utilizzati per interventi alla radio e alla televisione.
7. Lo stesso “errore” nei confronti di dissidenti viene ripetuto nel corso degli anni da parte di più psichiatri.
8. Vengono fatte diagnosi “a distanza”, senza alcun contatto con il paziente.
D. L’associazione ufficiale degli psichiatri sovietici è stata riammessa nell’AMP in occasione dell’ultimo congresso di questo organismo internazionale, tenutosi ad Atene dal 12 al 19 ottobre 1989. Qual era l’interesse a ottenere questa riammissione?
R. I dirigenti dell’associazione ufficiale degli psichiatri sovietici avevano capito che, se fossero stati accettati, questo fatto li avrebbe automaticamente riabilitati agli occhi dell’opinione pubblica internazionale e che avrebbero potuto vantare, agli occhi dei detentori del potere, una sufficiente stima nei loro confronti da parte dei colleghi occidentali: il tutto assicurava a ciascuno di loro la conservazione delle precedenti cariche, ma anche la salvaguardia dalla critica e dalla responsabilità penale. Se non fossero stati accettati, essi avrebbero potuto perdere le loro cariche a insindacabile giudizio degli stessi detentori del potere e sarebbero diventati anche più facilmente vulnerabili agli attacchi esterni.
D. Quindi, la riammissione dell’associazione ufficiale degli psichiatri sovietici nell’AMP costituisce una specie di condono per la vecchia dirigenza psichiatrica, che così può rimanere al suo posto?
R. In caso di cambio della guardia ai vertici della psichiatria ufficiale sovietica vi sarebbero cambiamenti molto veloci e profondi in questo ramo della medicina. In Unione Sovietica è stata fondata la NPA, l’Associazione Psichiatrica Indipendente, che persegue un sostanziale rinnovamento della psichiatria nel paese. Per statuto non possono farne parte psichiatri che siano stati coinvolti in abusi della psichiatria. Proprio questa associazione potrebbe diventare una specie di “filtro” per selezionare gli psichiatri rispettabili da quelli criminali. Così, grazie a una nuova dirigenza, si rinnoverebbe anche la psichiatria ufficiale.
Ma al congresso di Atene gli psichiatri occidentali hanno reso un cattivo servizio alla psichiatria in Unione Sovietica. Infatti, insieme alla NPA è stata affiliata anche l’associazione ufficiale degli psichiatri sovietici.
D. Ma l’associazione ufficiale degli psichiatri sovietici è stata riammessa a condizione che, fra un anno, una commissione controlli l’esistenza di eventuali abusi e, nel caso ne riscontrasse, questa volta potrebbe essere decisa quell’espulsione che tale associazione ha evitato nel 1983 ritirandosi spontaneamente dall’AMP. Questa condizione non è sufficiente a garantire la cessazione degli abusi?
R. Tutti sanno quanto è sempre difficile controllare se, da parte sovietica, vengono rispettate le condizioni imposte! Tanto più difficile sarà smascherare gli psichiatri ufficiali sovietici, raffinati mentitori, negli abusi che continuano ad aver luogo, anche ammettendo che questa richiesta da parte dell’AMP venga fatta valere ancora fra un anno. Non meno difficile sarà convocare un’assemblea generale straordinaria. E assolutamente impossibile sarà, nel corso di qualsiasi votazione, raccogliere i due terzi dei voti dell’assemblea generale contro la psichiatria ufficiale sovietica. Chi la potrà espellere fra un anno? Certamente non quelli che oggi l’hanno riammessa.
Tuttavia è stato positivo il fatto che al congresso i rappresentanti della psichiatria ufficiale sovietica siano stati costretti a riconoscere pubblicamente il sistema di abusi della psichiatra a scopi politici, benché, anche in questo caso, l’iniziativa non sia partita dai delegati all’assemblea generale dell’AMP. Questa ammissione è la pietra miliare che ci indica la via per proseguire nella lotta contro il male, già smascherato, non sconfitto, ma, al contrario, oggi ancora sostenuto.
D. Quindi, esiste anche una responsabilità degli psichiatri occidentali relativamente agli abusi della psichiatria in Unione Sovietica?
R. Se le altre associazioni riconoscono la psichiatria ufficiale sovietica come di pari valore, in tal modo minimizzano la gravità delle sue colpe per gli abusi professionali fino a renderle inesistenti e, quindi, riconoscono un “diritto” della psichiatria a svolgere funzioni punitive su incarico dello Stato.
D. Non è possibile che l’”apertura” verso gli psichiatri ufficiali sovietici possa avere effetti positivi?
R. Chiaramente, in genere, la collaborazione migliora le prospettive; ma, prescindendo dal fatto che ogni progresso scientifico viene sfruttato dagli psichiatri sgherri, chi di noi vorrebbe risolvere problemi insieme, per esempio, a un ladro oppure a un assassino? E i misfatti commessi dalla psichiatria ufficiale sovietica non devono più essere provati a nessuno. Inoltre, oggi si è aperta la possibilità di collaborare con psichiatri sovietici direttamente o attraverso la NPA, alla quale — come ho già detto — per statuto non può aderire nessuno che abbia avuto a che fare con gli abusi della psichiatria. Quanto ai vantaggi che possono derivare dalla collaborazione con psichiatri criminali, ci si può chiedere quale vantaggio può compensare le sofferenze da essi inflitte alle loro vittime.
a cura di
Ermanno Pavesi