Giovanni Cantoni, Cristianità n. 96 (1983)
Il carattere strordinariamente malizioso del socialcomunismo ha provocato la sua condanna esplicita a opera di Pio XI, che ha così fatto eco ai suoi predecessori Pio IX e Leone XIII ed è stato seguito da Pio XII. Da qualche decennio, grosso modo dagli inizi degli anni Sessanta, tale condanna è caduta in un oblio inspiegabile e dannoso, al cui proposito si avanzano ipotesi inquietanti. La problematica sollevata dalla «memoria» di Karl Marx nel nuovo messale festivo francese mette in risalto la necessità di una esplicita reiterazione della condanna stessa, e ne fonda il caloroso auspicio.
Dopo un ennesimo episodio scandaloso
Il socialcomunismo «non si può passare sotto silenzio»!
Di recente, il Pontefice, rivolgendosi a vescovi portoghesi in visita ad limina, ricordava loro che «si impone […] la sollecitudine di “pascere” e di prevenire incursioni di lupi, anche travestiti, che “rapiscono e disperdono” il gregge» (1).
In–altra occasione, sempre indirizzandosi a vescovi portoghesi, il Santo Padre ricordava che «per noi, uomini della Chiesa, è sempre motivo di gioia contare su programmi umani, intendendo l’Uomo nella pienezza della sua verità e dignità; altrimenti ci si impone di fare quello che è alla nostra portata, perché essi lo siano sempre più; questo, senza timore e senza. abdicazioni, perché sempre motivati dall’amore che caccia il timore …”, ma non è disgiunto dal precetto: “Chi ama Dio, ami anche il fratello” (1 Gv. 4-18-21)» (2).
Ancora, a vescovi jugoslavi il Papa ribadiva che «i fedeli hanno il diritto e il bisogno di ricevere il messaggio di Cristo nella sua verità e nella sua integrità, in conformità al Magistero della Chiesa» (3).
Raccolgo questi spunti dottrinali dal Magistero ordinario del febbraio scorso e, da «bisognoso» e da «titolare di un diritto» che mi viene autorevolmente riconosciuto, li pongo come epigrafe alle considerazioni che seguono.
Qualunque sia il valore che si vuole attribuire allo scorrere del tempo, è chiaro che esso contribuisce, almeno, a fare maturare – talora, piuttosto, a fare marcire – le situazioni storiche, mettendo in evidenza gli atteggiamenti e le idee che sono a esse soggiacenti, e favorendo la verifica di questi atteggiamenti e di queste idee quando, orientate alla vita pratica e, quindi, tese a tradursi in fatti concreti e concludenti, sono dagli accadimenti stessi sempre duramente smentiti, sì che finiscono per perdere ogni credibilità e ogni vigore di argomentazione.
Ebbene, credo che non necessiti una particolare «dotazione» di «spirito profetico» (4) per cogliere la imminenza sostanziale – che, se non coincide con quella cronologica, la richiama e la persegue con sempre maggiore insistenza – del tempo di maturazione di una situazione storica che si è venuta evolvendo nei secoli, e negli ultimi decenni sviluppando con moto sempre più accelerato e veloce.
I termini del problema – bandito ogni eufemismo e ogni formula semplicemente allusiva – sono, a grandi linee ma non perciò grosso modo, questi: l’opera redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo aveva come scopo una universale instaurazione e restaurazione, non solo dei singoli uomini, ma anche delle società storiche, cioè delle nazioni, e della umanità tutta (5). Nel corso della storia singoli e società – secondo le modalità proprie a ciascuna di queste realtà – si sono conformate al piano di Dio, stando la Chiesa a rappresentare la primizia e il modello della umanità redenta. Frutto e testimonianza di questa conformazione sono stati i santi e le civiltà che, a giusto titolo, sono state e si sono volute cristiane (6).
Da qualche secolo a questa parte, prima in Europa, poi con riflessi che ormai coinvolgono l’intera umanità, la opposizione alla redenzione e alla doverosa conformazione alla legge di Dio si è fatta sempre maggiore, quasi capitalizzandosi, e il male nella storia si è venuto sempre più svelando non solamente come male diffuso, ma anche – e il fatto è di particolare rilievo – come male organizzato (7).
Il Magistero della Chiesa ha denunciato questo male operante nella storia non solo in termini generici ma apertis verbis, nominatamente e specificamente, con formule che riesce difficile, se non impossibile, attribuire semplicemente alla peculiare natura del linguaggio ecclesiastico oppure alla sua retorica. E così, con particolare solennità nella enciclica Divini Redemptoris, è stato denunciato il comunismo, non solamente come uno dei tanti movimenti storici maliziosi o parzialmente – anche se ampiamente – tali, ma come un movimento che, nella sua lotta contro Dio e contro la sua legge,
a. «supera in ampiezza e violenza quanto si ebbe a sperimentare nelle precedenti persecuzioni contro la Chiesa» (8);
b. «mira a capovolgere l’ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà» (9);
c. «per la prima volta nella storia» sviluppa «una lotta freddamente voluta e accuratamente preparata dall’uomo contro “tutto ciò che è divino” (2 Tess. 1, 4)» (10);
d. per questa ragione è non solo accidentalmente, ma «intrinsecamente perverso» (11), in quanto, tra l’altro, costruito sulla negazione dei più elementari dati di ragione, quali sono il principio di identità e quello di non contraddizione, la cui assenza identifica la menzogna filosofica prima ancora che quella morale, e inficia in radice il più generoso e volonteroso «dialogo», rendendolo «paralizzato e sterile, […] superficiale e falsato» (12);
e. quindi, stando così le cose, «non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana» (13);
f. perciò «Noi [cattolici] respingiamo il comunismo [anche] come sistema sociale in virtù della dottrina cristiana» (14).
Tale circostanziate denuncia e condanna sono state, evidentemente, contrastate e confuse dalla propaganda socialcomunista – «propaganda veramente diabolica quale forse il mondo non ha mai veduto» (15) -, attraverso le più svariate manovre di copertura e di diversione, sia esterne che interne alla Chiesa e al mondo cattolico; sia corruttrici che seduttrici sub specie boni.
Ne è nata una condizione storica a tutti tragicamente nota; per cui,
a. in presenza di una pressione che nei decenni è venuta sempre aumentando, e che non accenna assolutamente a diminuire, come appare con ogni evidenza a chiunque, senza bisogno che sia un raffinato «osservatore» religioso oppure un «notista» politico;
b. in presenza di una continuità e di una permanenza dottrinale che nessuna campagna propagandistica, per gli «intellettuali» oppure solo per le masse, riesce a occultare, cioè in presenza di un movimento «intrinsecamente perverso» e che, quindi, non accenna a conversione, si è praticato e si pratica, da parte di chi pure dovrebbe professionalmente denunciare il pericolo, mettendo in guardia il gregge sia dai «lupi» che dai «lupi travestiti da agnelli», una politica sconcertante e inquietante.
Essa consiste nel combattere il male fingendo di non vederlo, oppure denunciando tutte le parzialità e tutte le malizie storiche possibili e immaginabili, e fustigandole inflessibilmente, ma tacendo a proposito di quella maggiore, cui tutte le altre servono più o meno direttamente e in modo sostanzialmente docile, senza per nulla spiegare dove sia finito quanto era – e, quindi, inevitabilmente è – «intrinsecamente perverso»; oppure quando abbia cessato di esistere o di esserlo, e quali siano almeno i segni, gli indizi, se non le prove, di questa straordinaria conversione, che solo venendo a realizzarsi esime da ogni argomentazione relativa alla sua possibilità.
In questa ultima ipotesi – che, per altro, è tutta da provare -, se, nel caso della autorità che per decenni e per secoli ha articolatamente denunciato il fenomeno radicalmente malizioso, si è trattato di una serie di episodi di «allucinazione» dottrinale e storica, si rende evidentemente indispensabile liberare il fedele da questo gravissimo fardello, spiegandogli al più presto e nel migliore dei modi il tragico accaduto, naturalmente nel quadro di una adeguata e corretta dottrina ecclesiologica. A parte la palese difficoltà della impresa, come non chiederne, come non pretenderne – oso dire – la esecuzione, a fronte dei danni prodotti da un silenzio sempre più inspiegabile quanto al presente, e che getta una luce ambigua sul passato e tragica sul futuro?
Dunque, il Santo Padre Pio XI, nel lontano 1937, ha solennemente e nominatamente condannato il socialcomunismo, facendo eco ai suoi predecessori Pio IX e Leone XIII, che avevano già parlato, allo stesso proposito, rispettivamente di «dottrina funesta e più che mai contraria al diritto naturale» (16), e di «micidial pestilenza che serpeggia per le intime viscere della società e la riduce all’estremo pericolo di rovina» (17). E i termini della descrizione fornita nella enciclica Divini Redemptoris sono di una tale precisione e puntualità da essere ancora oggi perfettamente utili alla emissione di un giudizio dottrinale e politico-sociale non solamente non grossolano, ma, piuttosto, straordinariamente sofisticato. Non diversa efficacia interpretativa – sia detto di passaggio – conservano, per esempio, la enciclica Pascendi dominici gregis e la lettera apostolica Notre charge apostolique del santo Pontefice Pio X, e questa vigenza è riprova evidente della assistenza soprannaturale al Magistero, dell’incremento che deriva alla ragione dalla fede e della permanenza dell’oggetto di tali atti del Magistero, rispettivamente il modernismo religioso e quello sociale (18).
Ritornando al nostro tema, i termini della condanna emessa da Pio XI sono stati usati e richiamati fino alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio dei Sessanta, cioè fino al Concilio Ecumenico Vaticano II escluso, per poi lentamente scomparire. Non vi è chi non abbia notato la esiguità dei riferimenti alla enciclica di Pio XI nei documenti conciliari (19) – naturalmente a fronte del volume storico del suo oggetto! -, così come la totale assenza di ogni richiamo esplicito al comunismo in testi che si vogliono pastorali (20) e che, parlando solamente di ateismo, sembrano non evidenziare adeguatamente il fatto che, «se si strappa dal cuore degli uomini l’idea stessa di Dio, essi necessariamente sono dalle loro passioni sospinti alla più efferata barbarie», le cui «atrocità» si rivelano, perciò, «frutti naturali del sistema» (21).
Poiché dal 1937 a oggi il socialcomunismo non solo non è scomparso, ma, da fenomeno per così dire regionale è assurto a fenomeno mondiale, si impone un quesito semplicemente dettato dalla evidenza: se il fatto non è venuto meno – e così dicendo si fa qualche concessione a un linguaggio sfumato se non eufemistico -, come mai è venuto meno il giudizio, o almeno la sua reiterazione?
Le ipotesi che si possono fare e che, infatti, vengono avanzate in proposito, sono di diversi ordini. Alcune sono maliziose, altre banali oppure banalizzanti, almeno nelle loro premesse, se non nelle loro conseguenze. Alcune configurano tradimenti, connivenze, vergognosi compromessi; altre immaginano microcefalie, stupidità, irenismi decadenti e melensi accoppiati a fatalismi, a loro volta frutto di colpevoli pigrizie. Oppure si sospettano terapie dementi, che immaginano che le malattie guariscano non curandole! Oppure, ancora, si denunciano sentimentalismi che escludono morbi mortali per chi ci è caro, sì che il semplice statuto di persona cara fa perdere gravità al morbo da cui qualcuno è tragicamente affetto! Oppure, infine, – e questa è l’unica ipotesi veramente e seriamente alternativa al Magistero e alle sue costanti espressioni di condanna – il giudizio era sbagliato, e ci si è convinti – o così pare – che la «perversità» del comunismo non sia «intrinseca», e che, perciò, esso sia riformabile, rovesciando in questo modo il giudizio di Pio XI che riteneva piuttosto tale il regime capitalistico (22).
Problemi enormi, noterà qualcuno. Ma perché sollevarli proprio ora? Rispondo al quesito parzialmente legittimo, non di merito, tanto la risposta è ovvia ed evidente – perché esistono! -, ma relativamente al tempo.
In primis et ante omnia, la problematica presentata necessità di essere affrontata e di trovare tempestiva soluzione in quanto il movimento di cui, da decenni ormai, più o meno autorevolmente si tace – trascuro le allusioni – ha sempre minori possibilità operative non militari, a fronte dei suoi fallimenti proselitistici; quindi aumentano, con ogni evidenza, le eventualità di un confronto bellico che, in considerazione degli attuali rapporti di forze, è realistico chiamare una invasione socialcomunista, della quale le schermaglie diplomatiche in corso rappresentano verosimilmente il tentativo di fissare le regole del gioco prima della partita e del suo svolgimento. Ebbene, quando le orde del Patto di Varsavia avanzeranno verso Occidente, chiedendo di che cosa si tratta – sempre che vi sia il tempo di fare domande -, ci verrà forse detto che «Nessuno» si avanza, ingannando questa volta non il ciclope, dalla cui gola escono «vino» e «pezzi di carne umana» – il che configurerebbe un dolus bonus -, ma le sue vittime, aggiungendo al danno irreparabile una ignobile beffa (23)?
In secondo luogo – ed è la causa prossima di queste considerazioni, quasi il «moto primo primo» che le ha prodotte -, mi pare indispensabile affrontare certi problemi perché il silenzio del personale ecclesiastico in tema di comunismo è stato di recente rotto, e non propriamente «in conformità al Magistero della Chiesa» (24)!
Infatti, a pagina 139 del Nouveau Missel des dimanches 1983, approvato dalla commissione liturgica francofona, presieduta da mons. René Boudon, vescovo di Mende, in data 14 marzo 1983 si «fa memoria» di Karl Marx, nel centenario della morte. Ecco il testo: «Il 14 marzo 1883, a Londra, morte di Karl Marx, economista e filosofo tedesco. Alcuni si meraviglieranno di vedere ricordato in un messale il rappresentante più conosciuto dell’ateismo moderno. Ma la risonanza del movimento da lui lanciato è di una tale importanza che non si può passare sotto silenzio. L’ateismo marxista è stato condannato più volte dai papi, mentre l’apprezzamento del valore dell’analisi socio-economica proposta dal marxismo compete alle scienze umane. Le interpretazioni del pensiero di Marx sono numerose. La più corrente, quella ufficiale negli Stati marxisti, continua a vedere nella religione una alienazione dalla quale l’uomo si deve liberare» (25).
Il testo che ho trascritto avrebbe bisogno di essere ampiamente commentato, dal momento che non solo la sua esistenza è oggettivamente scandalosa, ma la sua formulazione piena di trappole, di ambiguità e di inganni. Per esempio: se è vero che «tutto l’operare umano possiede una dimensione morale» (26), come si può affermare che il «valore dell’analisi socioeconomica proposta dal marxismo compete alle scienze umane»? Che ne è della condanna del «comunismo come sistema sociale in virtù della dottrina cristiana» (27)?
Mi limito, perciò, a dichiararmi completamente d’accordo con la osservazione secondo cui il movimento comunista «è di una tale importanza che non si può passare sotto silenzio»; e a concludere sulla base della semplice esistenza di questa «memoria liturgica». Vorrei che nessuno, cercando di darsi ragione di un silenzio straordinariamente ambiguo e dannoso, potesse fantasticare, né sul passato, né sul presente, né sul futuro; vorrei che nessuno potesse tacciare di comunismo o di complicità con il comunismo esponenti elevati o bassi della gerarchia ecclesiastica; vorrei che la evidente parzialità politica o storica di tanti uomini di Chiesa non ostacolasse in modo grave la predicazione del messaggio di salvezza; ma, allo scopo, credo che sia assolutamente indispensabile una parola chiara, decisamente inequivoca. Comunque, anche se mi pare di avere il «diritto», oltre che il «bisogno», di chiedere la rinnovazione, nella sua integralità, della condanna del socialcomunismo «intrinsecamente perverso» – maggiorata dalle conferme di questi quarantasei anni di martirio religioso e di sofferenze politico-sociali -, mi limito, per il momento, ad auspicarla, con il massimo calore.
Prevedendo che, contro le considerazioni che ho esposte in favore di una rinnovazione della condanna del socialcomunismo, verranno addotti argomenti diplomatici e pastorali, li respingo fin da subito affermando che diplomazia e pastorale possono trarre solamente vantaggio da chiarezza dottrinale e morale, sempre che il loro scopo sia esclusivamente diplomatico e pastorale, cioè teso a mantenere rapporti possibilmente non violenti con terzi e a «pascere» pacificamente i fedeli, e non a confondere e a disarmare chi fa già parte del gregge.
Infine, mentre vengo studiando i miei «diritti» di fedele, medito e propongo la meditazione di qualche versetto evangelico: «Chi sa che il proprio fratello commette un peccato che non conduce a morte, chieda e sarà data la vita a quello che pecca non a morte. Vi è un peccato a morte: non dico che uno preghi per questo scopo» (28). Così sentenzia «Dio, ricco di misericordia» (29): e «non vi è servo maggiore del suo padrone» (30).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai vescovi della Provincia Ecclesiastica Portoghese di Braga in visita ad limina Apostolorum, del 4-2-1983, in L’Osservatore Romano, 5-2-1983.
(2) IDEM, Discorso ai vescovi delle Province Ecclesiastiche Portoghesi di Evora e di Lisbona in visita ad limina Apostolorum, dell’11-2-1983, ibid., 12-2-1983.
(3) IDEM, Discorso a un gruppo di vescovi della Conferenza Episcopale Jugoslava in visita ad limina Apostolorum, del 18-2-1983, ibid., 19-2-1983.
(4) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia. Paradiso, canto XII, v. 141.
(5) Cfr. LEONE XIII, Enciclica Tametsi futura, dell’1-11-1900, in Atti di Leone XIII, Tipografia dell’Immacolata, Mondovì 1902-1903, pp. 605-612; CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, n. 5.
(6) Cfr. PIO XII, Discorso ai pellegrini svizzeri convenuti a Roma per la Canonizzazione di San Nicolao della Flüe, del 16-5-1947, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio II, vol. IX, p. 77.
(7) Per la periodizzazione di questo processo storico, cfr. LEONE XIII, Lettera apostolica Pervenuti all’anno vigesimoquinto, del 19-3-1902, in Atti di Leone XIII, cit., pp. 648-652. Cfr. anche PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
(8) PIO XI, Enciclica Divini Redemptoris, del 19-3-1937, in Le encicliche sociali dei Papi. Da Pio IX a Pio XII (1864-1956), 4ª ed. corretta e aumentata, Studium, Roma 1956, p. 601.
(9) Ibidem.
(10) Ibid., p. 610.
(11) Ibid., p. 627.
(12) GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XVI Giornata Mondiale della Pace, dell’8-12-1982, in L’Osservatore Romano, 20/21-12-1982.
(13) PIO XI, doc. cit., p. 627.
(14) PIO XII, Radiomessaggio natalizio ai fedeli e ai popoli di tutto il mondo, del 24-12-1955, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XVII, p. 441.
(15) PIO XI, doc. cit., p. 608.
(16) PIO IX, Enciclica Qui pluribus, del 9-11-1846, in Sillabo, ovvero sommario dei principali errori dell’età nostra che sono notati nelle allocuzioni concistoriali, encicliche ed altre lettere apostoliche del SS. Signor Nostro Pio Papa IX, Cantagalli, Siena 1977, p. 145; ibid., paragrafo IV, pp. 72-75.
(17) LEONE XIII, Enciclica Quod Apostolici muneris, del 28-10-1878, in Le encicliche sociali dei Papi. Da Pio IX a Pio XII (1864-l 956), cit., p. 28.
(18) Cfr. SAN PIO X, Enciclica Pascendi, dell’8-9-1907, Studium, Roma 1928; e IDEM, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910, in La pace interna delle nazioni, Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, 2ª ed., Edizioni Paoline, Roma 1962, pp. 268-298.
(19) Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, note ai nn. 21 e 67.
(20) La osservazione si trova nell’indice analitico di una delle più diffuse edizioni dei documenti conciliari, che, alla voce comunismo, recita: «il concilio non ne parla espressamente; cf. Ateismo» (Enchiridion Vaticanum. I Documenti del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale e traduzione italiana, 11ª ed., Edizioni Dehoniane, Bologna 1979, p. 1059. Sul tema cfr. anche Cristianità, anno IV, n. 19-20; settembre-dicembre 1976, pp. 1-2 e 19-22.
(21) PIO XI, doc. cit., p. 610.
(22) IDEM, Enciclica Quadragesimo anno, del 15-5-1913, in Le encicliche sociali dei Papi. Da Pio IX a Pio XII (1864-1956), cit., pp. 468-469. Per la problematica, cfr. anche il mio Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della «Laborem exercens», VI, 3, 4 e 5, in Cristianità, anno IX. n. 78-79, ottobre-novembre 1981.
(23) Cfr. OMERO, Odissea, libro IX, particolarmente vv. 364-374.
(24) GIOVANNI PAOLO II, Discorso a un gruppo di vescovi della Conferenza Episcopale Jugoslava in visita ad limina Apostolorum, cit.
(25) Traduco il testo trascritto e adeguatamente commentato da JEAN MADIRAN, La notice liturgique de Karl Marx dans le Nouveau Missel des dimanches, in Itinéraires, n. 270, febbraio 1983, pp. 1-7. Nella stessa linea della «memoria liturgica» francese si situa questa notizia di stampa: «Nel Foggiano il Pci è in declino, ma resta forte. É un partito storico, presente fin dall’anno della scissione di Livorno. Forse per questo l’arcivescovo di Foggia ha inviato un telegramma augurale [al congresso provinciale comunista, al quale ha preso parte l’on. Enrico Berlinguer]. Un gesto davvero inatteso. O è accaduto altre volte?» (Paese Sera, 31-1-1983).
(26) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale «UNIV ‘80», dell’1-4-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, p. 782.
(27) PIO XII, Radiomessaggio natalizio ai fedeli e ai popoli di tutto il mondo, cit.
(28) 1 Gv. 5, 16.
(29) Ef. 2, 4.
(30) Gv. 13, 16.