Massimo Introvigne, Cristianità n. 162 (1988)
Un tragico episodio di suicidio collettivo, consumato nel 1978 dall’organizzazione socialcomunista Tempio del Popolo, e il suo improprio sfruttamento da parte di quanti si servono della lotta contro le «sette» o «nuovi movimenti religiosi» per screditare e per combattere ogni manifestazione religiosa «forte»
A dieci anni di distanza
Il suicidio della Guyana fra mito e storia
1. Il «movimento anti-sette» e il mito della «setta del suicidio»
I «nuovi movimenti religiosi» — chiamati comunemente «sette» o «culti», senza che ci si renda ben conto dei complessi problemi di terminologia che queste etichette comportano (1) — hanno conosciuto negli ultimi anni una tumultuosa crescita, destando un diffuso allarme sociale, talora effettivamente giustificato da pratiche discutibili. Tuttavia, mentre la critica delle «sette» può dare a prima vista l’impressione di essere un fenomeno unitario, in realtà non è affatto così, e l’osservatore più attento non può non notare l’intreccio fra due movimenti diversi, che nascono da origini contrapposte, hanno interessi divergenti e le cui contraddizioni talora esplodono. Da un lato vi è la critica verso le «nuove religioni» da parte delle Chiese e delle comunità religiose tradizionali, in particolare della Chiesa cattolica, che formula un giudizio di carattere prevalentemente dottrinale, presupponendo l’esistenza anche in campo religioso di criteri di verità e di valori sulla cui base i nuovi movimenti religiosi possono essere esaminati e valutati. A questa critica di origine religiosa delle «sette» e dei «culti» si oppone — piuttosto che affiancarsi — l’anti-cult movement, il «movimento anti-sette» di origine prevalentemente laicista, che attacca come «settario» chiunque non accetti il relativismo moderno e si ostini a credere che esista, anche a proposito della religione, una verità, e che prende spunto dall’allarme sociale suscitato dalle nuove religioni per proporre in realtà una critica di tutte le esperienze religiose «forti», avvengano queste nell’ambito di religioni maggioritarie o minoritarie. Occorre stare bene attenti a non confondere le due prospettive, che comportano anche conseguenze divergenti sul piano degli interventi concreti. Mentre per la critica delle nuove religioni condotta in nome di verità e di valori la battaglia contro gli errori dei nuovi gruppi religiosi è — fatti salvi i casi liminali di violazioni di principi di diritto naturale — anzitutto una battaglia culturale, un confronto dottrinale anche serrato e polemico, il movimento anti-sette di origine laicista chiede «leggi speciali», che vietino qualunque esperienza religiosa più «forte» del consueto. Giacché per il movimento anti-sette — come ha scritto Alain Woodrow, uno dei suoi più noti leader in Europa — «a priori non c’è nessuna ragione per mostrarsi più indulgenti verso le Chiese che verso le sette» (2), le leggi speciali — nello Stato moderno, laico e secolarizzato, che rinuncia per principio a ogni valutazione dottrinale — colpiranno qualunque esperienza religiosa che sembri più «forte» del consueto, «vecchia» o «nuova» che sia (3). Da questo punto di vista i cristiani che si preoccupano — giustamente — della crescente diffusione delle nuove religioni faranno bene a esercitare la prudenza e a chiedersi se nel movimento anti-sette non rischino di trovare non tanto un pregevole anche se occasionale alleato quanto piuttosto un fomite di infiltrazione, di confusione e di pericolo.
Il mese di novembre del 1988 vedrà una delle più massicce campagne degli ultimi anni per la diffusione delle tesi del movimento anti-sette, in occasione del decimo anniversario del tragico suicidio della Guyana in cui, il 18 novembre 1978, perirono oltre novecento membri del gruppo noto come Peoples Temple, «Tempio del Popolo». L’anti-cult movement proclama a gran voce che il Tempio del Popolo, la «setta del suicidio» (4), costituisce la prova concreta e tragica di come le esperienze religiose «settarie» e il «lavaggio del cervello» da parte dei capi dei «culti» (5) spingano alla perdita della ragione, fino alla violenza e al suicidio. La tragedia della Guyana non costituisce forse la riprova — per dirla con il moderno «pensiero debole» — che la pretesa «forte» e «settaria» di possedere la verità rende violenti contro sé stessi e contro gli altri, mentre solo un sano scetticismo preserva da quei «sogni della ragione» che possono produrre soltanto mostri? La tesi viene ripetuta fino alla noia, e una delle maggiori organizzazioni anti-sette, il CAN – Cult Awareness Network, «Organizzazione per la consapevolezza nei confronti dei culti» -, ha perfino patrocinato negli Stati Uniti una proposta di legge — presentata al Congresso dal deputato democratico della California Tom Lantos — perché la settimana dal 13 al 19 novembre 1988 sia ufficialmente designata come Cult Awareness Week, nella prospettiva di una «giornata di lotta contro le sette» da inserire poi nel calendario come ricorrenza annuale. Diventa quindi interessante chiedersi che cosa è veramente successo nel novembre del 1978 in Guyana, sulla scorta di una letteratura ormai abbondante — anche se, purtroppo, poco nota al grande pubblico —, che ha messo ampiamente in luce tutti o quasi tutti i risvolti della straordinaria storia del Tempio del Popolo e del suo fondatore Jim Jones (6).
2. Jim Jones e il Tempio del Popolo
James Warren «Jim» Jones nasce a Crete, nell’Indiana, il 13 maggio 1931, e cresce influenzato dalle idee religiose della madre, che non credeva in un «Dio celeste» ma si rivolgeva al «mondo degli spiriti» (7). Avido lettore di giornali, già nella prima adolescenza «si innamora di Stalin e dei sovietici» e «inizia a leggere letteratura comunista» (8). Ben presto comincia a frequentare riunioni del Partito Comunista degli Stati Uniti, il che lo pone in contrasto con la moglie Marceline, «Marcie», scandalizzata dalle sue aperte professioni di marxismo e da un ateismo spinto fino alla bestemmia. Jim Jones racconta che un giorno, ai limiti della sopportazione, la moglie — che sta guidando la loro automobile — gli dice, minacciando di rompere il matrimonio: «O cambi la tua ideologia o scendi da questa macchina». Senza dire una parola, il giovane marxista scende dall’automobile; qualche minuto più tardi, la moglie torna a prenderlo, iniziando una svolta che la porta a condividere l’ideologia del marito. Dopo aver studiato sociologia all’università dell’Indiana — conseguirà poi, con fatica, una laurea alla Butler University —, Jim Jones vorrebbe iscriversi al Partito Comunista, ma i dirigenti hanno per lui un suggerimento diverso: «Non diventare un membro del Partito: lavora per il Partito»; «Come posso dimostrare il mio marxismo?», si chiede allora Jim Jones, e la risposta che — come racconterà — gli nasce spontanea è: «Infiltra una Chiesa» (9). La scelta — un’opera di infiltrazione consapevole e non lo sviluppo di un’esperienza religiosa — è straordinariamente accorta, in un’epoca in cui da una parte i predicatori sollevano certamente più entusiasmo dei marxisti — tanto più nell’Indiana scossa dalla predicazione del profeta guaritore William Marrion Branham (10) —, dall’altra un certo numero di denominazioni religiose — sempre più interessate a cause umanitarie e a opere «sociali», dove si parla poco di Dio e molto dei «poveri» — sembrano offrire un terreno favorevole all’infiltrazione che Jim Jones progetta. Perché il progetto abbia successo, Jim Jones si rende conto di dover sviluppare quello che le folle protestanti cercano nei predicatori: i «doni di guarigione», che dal canto suo attribuisce a pura suggestione. Studia i battisti, dicendosi che «se questi figli di buona donna possono farlo, allora ci devo riuscire anch’io» (11); poi, in breve tempo, entra nel «circuito» dei predicatori pentecostali e si crea una congregazione a Indianapolis. L’operazione può essere correttamente letta come «un inganno fondato sull’uso della religione per promuovere il socialismo» (12); tuttavia Jim Jones respingerà sempre le accuse di dissimulazione dichiarando che, se «nei primi anni presentavo il cristianesimo da un punto di vista comunalistico, con un accenno solo intermittente alle mie vedute marxiste», ben presto «non c’è stata una sola persona che sia venuta alle mie riunioni senza sentirmi dire a un certo punto che ero un comunista» (13). Nella sua fase pentecostale — oltre a inscenare qualche «guarigione» — Jim Jones predica soprattutto l’integrazione razziale, «usando i diritti dei neri come grido di richiamo per un movimento di agitazione comunista diretto a promuovere una società collettivistica» (14). Nonostante il favore che la causa dei diritti civili dei neri incontra in una parte del mondo protestante, un certo numero di dirigenti pentecostali comincia tuttavia a insospettirsi di fronte a questo strano «reverendo» che non crede in un Dio trascendente e che indica la Bibbia, normalmente rilegata in nero, gridando: «Quel libro nero è il tuo nemico!» (15). Preparandosi a uscire dal mondo pentecostale, Jim Jones fonda nel 1955 un’organizzazione indipendente chiamata Wings of Deliverance, «Ali della Liberazione», che presto cambierà il suo nome in Tempio del Popolo. Nel 1960 sarà accolta all’interno di una rispettata denominazione del mondo protestante americano, i Discepoli di Cristo, nella quale rimarrà fino alla tragedia della Guyana come «movimento» dotato di larga autonomia, e i cui dirigenti «progressisti» continueranno a credere che Jim Jones sia solo un cristiano «d’avanguardia» perseguitato da pregiudizi conservatori. Nella convinzione che «i gloriosi fini del socialismo giustificano i mezzi» (16), il Tempio del Popolo — protetto dall’affiliazione ai Discepoli di Cristo — continua a usare la religione come veicolo per diffondere il marxismo, con un minimo di dissimulazione, giustificata con il rischio di difendersi da possibili violenze fisiche degli anticomunisti (17) che crea tuttavia una barriera tutt’altro che insuperabile per chiunque si dia la pena di esaminare il movimento da vicino, tanto che John R. Hall, il maggiore studioso di esso, parla di «“segreta” adesione al comunismo», scrivendo «segreta» fra virgolette (18). Benché Jim Jones si autodefinisca «un marxista» nel senso «crudo» del termine, e il movimento appaia «congelato in un orientamento leninista-stalinista» (19), in un «accostamento stalinista al bolscevismo» (20), il Tempio del Popolo conosce un successo che rivela l’influsso profondo in ambito protestante americano, a partire dagli anni Sessanta, di idee simili a quelle che in ambiente cattolico saranno presentate sotto il nome di «teologia della liberazione». Nel 1965 Jim Jones trasferisce il Tempio del Popolo — già caratterizzato dalla vita in comuni di molti suoi membri — in California, dove si lega all’ala sinistra del Partito Democratico. Diventa così amico di Rosalynn Carter, moglie del futuro presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, e di altre influenti personalità, grazie alle quali riceverà aiuti economici e una carica pubblica nel 1976, quella di responsabile della Commissione per gli Alloggi nell’amministrazione di San Francisco guidata da George Moscone, il sindaco omosessuale eletto da una coalizione di radicali di tutti i generi dopo una campagna attivamente sostenuta anche dal Tempio del Popolo. Il movimento di Jim Jones è ormai noto per il suo radicalismo politico; meno conosciute — perché tenute all’interno delle comuni — sono idee come quelle secondo cui «la via socialista comporta la condivisione dei mariti e delle mogli» (21) — lo stesso Jim Jones sviluppa, sembra, decine di relazioni sia eterosessuali che omosessuali —, o secondo cui la minaccia «reazionaria» richiede che si accumulino armi e si stringano legami con gruppi terroristici come le Pantere Nere e i Simbionesi. Sarà, tuttavia, proprio il protagonismo politico a determinare le reazioni più dure contro il Tempio del Popolo.
Il Partito Repubblicano della California — dove sta emergendo l’astro nazionale di Ronald Reagan — lancia alla scoperta dei segreti del movimento di Jim Jones i suoi giornalisti più aggressivi, e coglie al volo l’occasione di allearsi con un gruppo di genitori che lamentano l’impegno a tempo pieno dei loro figli nel Tempio del Popolo, e che si riuniranno in un’associazione, i Concerned Relatives, «Parenti Preoccupati», che troverà ampia ospitalità nell’ambito del movimento anti-sette e ne adotterà stile e linguaggio. L’offensiva giornalistica e le minacce tipiche del movimento anti-sette — progetti di «deprogrammazione», cioè di rapimento dei figli maggiorenni dalle sedi del Tempio del Popolo, da parte di incaricati dei genitori, seguito da una «terapia» per indurli a lasciare il movimento, e richiesta di interventi legislativi e giudiziali — provocano un’enorme preoccupazione in Jim Jones, che ha da nascondere molto di più delle pratiche religiose talora discutibili di qualche «setta» stabilita in California: dai depositi di armi ai contatti ormai regolari con il governo di Cuba. Così, nel 1977, Jim Jones, con una buona parte dei suoi seguaci, si trasferisce in Guyana, dove — con il favore del governo locale, socialista anche se non comunista — già dal 1973 esisteva una colonia sperimentale, lontana dalle città e difficilmente accessibile, che si trasforma con l’arrivo del leader in Jonestown. Nella giungla della Guyana, il Tempio del Popolo — benché ufficialmente sempre affiliato ai Discepoli di Cristo — smantella anche le ultime quinte «religiose» e si presenta per quello che è: un esperimento di monachesimo all’interno del comunismo. La comune nella giungla è un «monastero della Rivoluzione» (22), peraltro meno separato dal movimento comunista mondiale di quanto non si creda, se è vero che «i membri del Tempio si incontravano quasi settimanalmente con Feodor Timofeyev all’Ambasciata Sovietica» di Georgetown, che a sua volta si reca in visita a Jonestown, e mantenevano relazioni ugualmente strette con le ambasciate della Corea del Nord, della Jugoslavia e di Cuba, nonostante che il personale di quest’ultima si mostrasse talora infastidito dalle pretese di Jim Jones di essere «più avanti» di Fidel Castro nella costruzione del comunismo (23). A Jonestown non esiste neppure una cappella, sostituita da una sala di riunioni; in compenso non manca nessuna caratteristica di una micro-società sovietica rigorosa, dove un sistema di altoparlanti diffonde ossessivamente Radio Cuba o brani del bollettino delle Pantere Nere; dove tutti sorvegliano tutti attraverso un sistema di «Comitati per la difesa della Rivoluzione», che anticipano quelli del Nicaragua sandino-comunista; dove si organizzano periodiche «purghe» contro presunti «trotzskisti» e ci si prepara a difendere in armi la città attraverso un corpo scelto chiamato — con riferimento forse non casuale ad avvenimenti di quegli anni in Italia — «Brigata Rossa» (24). Un GULag, forse, ma — come hanno dimostrato, nonostante molte opinioni contemporanee in contrario, lo studio dei documenti e le testimonianze dei superstiti — un GULag per larga parte volontario, giacché nessuno — o pochissimi — vi era trattenuto contro la sua volontà. La tesi contraria veniva invece sostenuta a gran voce dai Concerned Relatives e dal movimento anti-sette, che continuava a invocare interventi a Jonestown. Quando queste richieste trovano il sostegno di un deputato della California, Leo Ryan, le autorità americane concordano con il governo della Guyana e il Tempio del Popolo almeno una missione esplorativa a Jonestown, a cui partecipano lo stesso Leo Ryan e un piccolo gruppo di Concerned Relatives e di giornalisti. Il 17 novembre 1978 la delegazione guidata da Leo Ryan arriva a Jonestown: ne riceve all’inizio un’impressione non del tutto negativa, constata che solo tre o quattro persone vogliono andarsene e si stupisce — peraltro incredibilmente, visto che informazioni sulle dottrine di Jim Jones erano ormai ampiamente disponibili — solo delle reiterate dichiarazioni secondo cui «qui nessuno crede in Dio» (25). Ma la visita prende una svolta tragica quando, il 18 novembre, un membro della comunità, un certo Don Sly, tenta di accoltellare Leo Ryan. Benché il deputato esca incolume dall’attentato e prometta che l’incidente non cambierà radicalmente le cose, Jim Jones comincia a convincersi che è imminente un attacco armato a Jonestown, che segnerà la fine della comune. Quando, nel pomeriggio, il deputato si appresta a ripartire dal vicino aeroporto di Port Kaituma con il suo seguito e i pochi che hanno deciso di lasciare Jonestown, la Brigata Rossa — non si saprà mai su ordine di chi — apre il fuoco, lasciando sulla pista cinque morti fra cui lo stesso Leo Ryan. Quando la notizia arriva a Jonestown, inizia una tragica assemblea di cui è rimasta una registrazione su cassetta. Qualcuno propone la fuga verso l’Unione Sovietica, ma Jim Jones chiede: «Pensate che la Russia ci voglia con questa macchia?», concludendo che, dopo l’omicidio di Leo Ryan, resta solo un’alternativa, già programmata e perfino messa in scena in una serie di precedenti prove, cioè «un suicidio di massa per la gloria del socialismo» (26). Dopo essersi sincerato che tutti coloro che hanno proprietà le abbiano lasciate in eredità — come ha fatto lo stesso Jim Jones a nome del Tempio del Popolo — al Partito Comunista dell’Unione Sovietica — tali eredità si disperderanno poi nei mille rivoli delle azioni legali intentate dai congiunti delle vittime —, e avere inviato tre seguaci con la cassa di Jonestown verso l’ambasciata sovietica (27) , il leader del Tempio del Popolo dà il via al suicidio di massa, facendo bere prima ai bambini e poi agli adulti un letale miscuglio di cianuro, sedativi e dolcificante. Molti dettano al registratore un ultimo messaggio; così una giovane donna esclama: «E stato un piacere camminare con tutti voi nella lotta rivoluzionaria. Non vorrei andare per nessuna strada diversa dal dare la mia vita per il socialismo e il comunismo»; l’ultimo messaggio, mentre il nastro del registratore sta per finire, è di Jim Jones: «Non ci siamo suicidati. Abbiamo compiuto un atto di suicidio rivoluzionario per protestare contro le condizioni di un mondo inumano» (28). Il mattino successivo si conteranno oltre novecento morti, forse non tutti suicidi, giacché molti appariranno uccisi da pallottole — compreso lo stesso Jim Jones —, non si sa se perché il veleno era finito o perché avevano cambiato idea. Quanto a Jim Jones, per cui la rivoluzione sessuale era inseparabile dalla rivoluzione comunista, qualcuno ricorderà un brano di un discorso da lui precedentemente tenuto ai suoi seguaci: «L’ultimo orgasmo che mi piacerà avere sarà la morte, se potrò portarvi tutti con me» (29).
3. Alcune conclusioni
A dieci anni di distanza, l’America e il mondo non sono ancora riusciti a «dare un senso ai suicidi di Jonestown» (30). Certamente dietro avvenimenti di questo genere si celano misteri profondi, nascosti nel cuore degli uomini e che rimandano al mysterium iniquitatis. Alcune conclusioni — in attesa di ulteriori riflessioni — si possono forse tuttavia già formulare.
1. Il Tempio del Popolo non era una «setta» o un «culto» nel senso abituale e religioso del termine. L’argomento formale secondo cui non si trattava di un gruppo indipendente, ma di un movimento all’interno della rispettata denominazione protestante dei Discepoli di Cristo, mai disconosciuto da questa prima della tragedia del 1978, diventa perfino secondario se si riflette sull’essenziale: quale «setta» o «culto» religioso si proclama — come emerge da tutti i documenti del Tempio del Popolo — ateo e marxista, indica nella Bibbia «il nemico» e incita ad abbandonare ogni pratica anche vagamente spirituale? Nulla vieta di mantenere il termine «setta», ma solo dando a questa parola un significato diverso da quello comune, per ricomprendervi anche — se non soprattutto — i seguaci di ideologie politiche fondate su premesse sottratte alla discussione. In questo senso la letteratura contro-rivoluzionaria parla della «setta socialcomunista», e appunto una setta socialcomunista era il movimento di Jim Jones.
2. Il movimento anti-sette, negli anni precedenti la tragedia di Jonestown, ha — per ignoranza o per malizia — abusivamente presentato, tramite i mass media, il Tempio del Popolo come un «culto» o una «setta» religiosa, assimilandolo alle cosiddette nuove religioni. Questa assimilazione ha forse giovato alla propaganda del movimento anti-sette, ma si deve condividere l’opinione dei più seri studiosi dell’argomento secondo cui ha fuorviato le autorità americane e ha indirettamente favorito la conclusione tragica della vicenda.
Il tipo di accostamento del movimento anti-sette al Tempio del Popolo ha giocato il ruolo di un fiammifero messo vicino a un bidone di benzina: sarebbe come se qualcuno avesse proposto di mandare i «deprogrammatori», cari all’anti-cult movement, a visitare le Brigate Rosse, e il paragone non è scelto a caso (31).
3. L’errore forse involontario compiuto dal movimento anti-sette nel 1978 diventa evidentemente malizioso nel 1988, dopo che dieci anni di studi e intere biblioteche di documenti mostrano, a chiunque voglia consultarli, che il Tempio del Popolo non era un gruppo religioso, ma un movimento socialcomunista. Presentare la tragedia di Jonestown come l’apocalisse del fanatismo religioso è più che un errore: è una menzogna. Jonestown rappresenta l’apocalisse non della religione — neppure delle nuove religioni — ma dell’ideologia: dimostra precisamente che quel che spinge gli uomini verso una cultura di morte e di suicidio non e il positivo riferimento Dio ma, al contrario, il rifiuto totale di Dio, il nichilismo del rivoluzionario che è il pendant, all’interno dello stesso quadro culturale della modernità, dello scetticismo del relativista.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Per una discussione, cfr. il mio Prospettive generali e problemi di terminologia, in MASSIMO INTROVIGNE, JEAN-FRANÇOIS MAYER ed ERNESTO ZUCCHINI, I nuovi movimenti religiosi, in corso di stampa presso Jaca Book, Milano.
(2) Così, sulla rivista della francese ADFI, L’Associazione per la Difesa della Famiglia e dell’Individuo, ALAIN WOODROW, Les Eglises sont-elles des sectes?, in BULLES. Bulletin de Liaison pour l’Ètude des Sectes, n. 10, 2° trimestre 1986, p. 6. Applicata alla Chiesa cattolica, l’analisi di A..Woodrow lo porta a rintracciare numerosi elementi «settari», come l’idea di costituire «la sola vera Chiesa», certe pratiche ascetiche, «il catechismo imparato a memoria» e simili, anche se molti di questi elementi sarebbero scomparsi «dopo l’ultimo concilio» (ibid., pp. 6-8). Se volgarizzatori come A. Woodrow si esprimono in maniera forzatamente rozza, è più interessante notare che idee simili vengono sostenute in modo più articolato da uno dei «pensatoi» del laicismo europeo, l’Institut d’Etude des Religions et de la Laicité dell’Università Libera di Bruxelles, i cui legami con la massoneria belga sono tra l’altro espliciti e dichiarati. In un convegno del 1985, organizzato da tale istituto, si proponeva di costruire un genus «integrismo» al cui interno avrebbero dovuto trovare posto come species da una parte le nuove religioni o «sette», dall’altra tutti gli atteggiamenti «forti» delle Chiese e comunità maggioritarie; si evocava l’ayatollah Ruhollah Khomeini, ma anche — in esplicito — realtà come Comunione e Liberazione e I’Opus Dei: cfr. gli atti del convegno, Les integrismes, a cura di Jacques Lemaire e di Jacques Marx, in La Pensée et les Hommes, anno XXIX (nuova serie), n. 2 (1985-1986). Una delle animatrici dell’Istituto di Bruxelles — e del convegno del 1985 — aveva concluso, in un suo precedente libro sulle «sette», che fra queste e la Chiesa cattolica esiste forse solo «una differenza di grado e di dosaggio» e che, «legalmente, la linea di demarcazione fra la conversione e il lavaggio del cervello è difficile da tracciare» (MICHÈLE MAT-HASQUIN, Les sectes contemporaines, 2a ed., Editions de l’Université de Bruxelles, Bruxelles 1983, p. 94).
(3) Oltre a un buon numero di attacchi e di inchieste, in vari paesi, diretti contro l’Opus Dei, è da segnalare la notizia — riportata da il Giornale (9-1-1988 e 16-1-1988) — secondo cui anche in Italia alcuni magistrati hanno aperto un’indagine preliminare per accertare se le norme che regolano la vita delle suore carmelitane non contrastino con «i diritti della persona».
(4) Per riprendere il titolo di un libro pubblicato — da due giornalisti che erano stati attivi nella campagna contro il Tempio del Popolo — all’indomani degli avvenimenti del 1978, e tradotto anche in italiano: MARSHALL KILDUFF e RON JAVERS, Guyana: la setta del suicidio. La vera storia del Tempio del Popolo e dell’orgia suicida, tr. it., Sperling & Kupfer, Milano 1978. Titolo a parte, il libro — nato come instant book e debolissimo dal punto di vista interpretativo — offre peraltro varie informazioni utili.
(5) Per una serrata critica della tesi del «lavaggio del cervello», cfr. fra gli altri alcuni degli studi contenuti nelle raccolte New Religions & Mental Health. Understanding the Issues, a cura di Herbert Richard- son, The Edwin Mellen Press, New York-Toronto 1980; e The Brain-washing/Deprogramming Controversy: Sociological, Psychological, Legal and Historical Perspectives, a cura di David G. Bromley e di John T. Richardson, The Edwin Mellen Press, New York-Toronto 1983. Per una critica dell’applicazione della metafora del «lavaggio del cervello» al caso della Guyana, cfr. JUDITH MARY WEIGHTMAN, Making Sense of the Jonestown Suicides. A Sociological History of Peoples Temple, The Edwin Mellen Press, New York-Toronto 1983.
(6) Oltre a J.M. WEIGHTMAN, op. cit.; e a REBECCA MOORE, A Sympathetic History of Jonestown. The Moore Family Involvement in Peoples Temple, The Edwin Mellen Press, Lewiston (New York)-Queenston (Ontario) 1985 — dove l’autrice, sorella di due vittime della tragedia del 1978, offre una serie di importanti elementi di carattere anche generale —, l’opera fondamentale è quella di JOHN R. HALL, Gone from the Promised Land. Jonestown in American Cultural History, Transaction Books, New Bninswick (New Jersey)-Oxford 1987. L’autore, professore di sociologia all’università del Missouri-Columbia, ha potuto lavorare su gran parte dei documenti originali e in particolare sulle varie note autobiografiche scritte o dettate al magnetofono da Jim Jones. Di orientamento liberal, il professor J.R. Hall — che ha dedicato all’argomento anche vari articoli — manifesta una paradossale simpatia per Jim Jones, di cui pure non condivide le tesi più estreme. Anche questo lo rende una fonte poco sospetta di anticomunismo preconcetto, che ho pertanto usato a preferenza delle altre disponibili, verificando quando possibile i suoi dati presso la Biblioteca del Congresso a Washington, dove si possono fra l’altro consultare i rapporti della commissione d‘inchiesta del Congresso sul suicidio della Guyana.
(7) J. R. HALL, op. cit., p.8.
(8) Ibid.. p. 13.
(9) ibid.; pp. 16-17.
(10) Per una biografia con cenni bibliografici cfr. la voce Branham, William Marrion, in J. GORDON MELTON, Biogaphical Dictionary of American Cult and Sect Leaders, Garland, New York-Londra 1986, pp. 38-41; cfr.. pure C. DOUGLAS WEAVER, The Healer-Prophet, William Marrion Branham: A Study of the Prophetic in American Pentecostalism, Mercer Universitv Press. Macon (Georgia) 1987.
(11) J. R. HALL, op. cit., p. 18.
(12) Ibid., p. 144.
(13) Ibid., p, 26.
(14) Ibid., p. 25. L’uso della bandiera dei diritti civili per i neri avrebbe dovuto servire da supporto anche all’ambizioso tentativo di Jim Jones di impadronirsi del seguito del celebre Father Divine — morto nel 1965 —, il predicatore nero che proclamava di essere Dio e che pure si era a lungo battuto per l’integrazione razziale. Il tentativo fallisce: il dinamismo messianico-religioso del movimento di Father Divine si dimostra più impermeabile all’infiltrazione di Jim Jones di ambienti che, in tesi, avrebbero dovuto essere più agguerriti, almeno sul piano culturale. Sull’episodio, cfr. — per un resoconto di prima mano -— l’opera di MOTHER DIVINE, moglie di Father Divine e attuale leader del suo movimento, The Peace Mission Movement, Imperial Press, Philadelphia 1982, pp. 137-142; e — per un’analisi nel quadro di uno studio storico-sociologico su Father Divine — ROBERT WEISBROT, Father Divine, 2a ed., Beacon Press, Boston 1984, pp. 218-219.
(15) J. R. HALL, op. cit., p. 30.
(16) Ibid., p. 105.
(17) Cfr. ibid., p. 145.
(18) Ibid., p. 138.
(19) Ibid., pp. 26-27.
(20) Ibid., p. 100.
(21) Ibid., p.127.
(22) Così GIOVANNI CANTONI, L’apogeo della Rivoluzione: il suicidio della Guyana, conferenza inedita del 9-3-1979, dove si anticipava una lettura del fenomeno in termini poi ampiamente confermati dai documenti venuti alla luce negli anni seguenti.
(23) Cfr. R. MOORE, op. cit., pp. 165-166; in occasione della visita del diplomatico sovietico Jim Jones compone anche un inno il cui ritornello suona: «Siamo comunisti/Siamo comunisti oggi/Siamo comunisti oggi e ne siamofelici» (ibid., p. 166).
(24) Cfr. J. R. HALL, op. cit., pp. 235-243; per la denominazione «BrigataRossa», cfr. ibid., p. 285.
(25) Ibid., p. 275.
(26) Ibid., p. 246.
(27) Cfr. ibid., pp. 280-281.
(28) Ibid., p. 287.
(29) Ibid., p. 135.
(30) Per riprendere il titolo dell’opera citata della sociologa J. M. Weightman. Forse il «senso» non è stato trovato perché le indagini, pure pregevoli, condotte in chiave storico-sociologica non hanno battuto la pista — di carattere più direttamente filosofico — del significato del suicidio come momento teorico-pratico culminante di una «metafisica della Rivoluzione» intesa come adorazione filosofica del divenire. Uno dei vertici di questa metafisica è rappresentato, appunto, dal marxismo: si vedano, per esempio, le celebri affermazioni di Friedrich Engels secondo cui «la vita consiste anzitutto precisamente nel fatto che un essere, in ogni istante, è se stesso ed è anche un altro. Quindi la vita è del pari una contraddizione presente nelle cose e nei fenomeni stessi, contraddizione che continuamente si risolve; e non appena la contraddizione cessa, cessa anche la vita» (Antiduhring, in KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, Opere complete, trad. it., vol. XXV, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 115). Cfr. anche ALFREDO MANTOVANO, Il suicidio come esito coerente del parossismo rivoluzionario, in Cristianità, anno XI, n. 101-104, novembre-dicembre 1983.
(31) In questo senso sono d’accordo con le conclusioni dell’opera citata di J. R. Hall, che attribuisce al movimento anti-sette almeno una responsabilità indiretta come «catalizzatore», il cui intervento improvvido ha fatto precipitare la tragedia di Jonestown.