Massimo Introvigne, Cristianità n. 48 (1979)
Un grande modello nel servizio del trono e dell’altare, prima soldato, poi scienziato e infine sacerdote, sempre cattolico impegnato nella difesa della Chiesa e del Papa. Prima di diventare sacerdote, Francesco Faà di Bruno dovette sopportare la persecuzione anti-cattolica dei governi dell’Italia risorgimentale, che impedirono la sua carriera militare e accademica. Sacerdote nel 1876, il venerabile divenne insigne maestro di spiritualità, devotissimo alla Madonna del Suffragio e grande diffusore della devozione alle anime del Purgatorio.
Un esempio per i cattolici contro-rivoluzionari del secolo XX
Il ven. Francesco Faà di Bruno (1825 – 1888)
La diocesi di Torino vanta, dall’Ottocento a oggi, il maggior numero di cause di beatificazione tra le diocesi del mondo. Si tratta di una fioritura eccezionale, che ha i suoi preparatori remoti in san Francesco di Sales, che esercitò sull’ambiente torinese una duratura influenza, e nell’oratoriano beato Sebastiano Valfrè; il suo preparatore prossimo, negli anni intorno alla Rivoluzione francese, nel venerabile Pio Brunone Lanteri (1). Accanto alla storia profana del Piemonte liberale e risorgimentale si dipana così una storia sacra, in larga parte oggi ignorata o misconosciuta, i cui protagonisti principali hanno lasciato una traccia profonda nella Chiesa universale: san Giuseppe Benedetto Cottolengo, san Giuseppe Cafasso, san Giovanni Bosco, san Leonardo Murialdo. La stessa urbanistica torinese reca il segno indelebile di quest’epoca di santi: nell’Ottocento sorgono in Torino una cinquantina di nuove chiese e complessi religiosi, tra cui primeggia la grandiosa basilica di Maria Ausiliatrice voluta da don Bosco. Accanto ai templi di pietra, si moltiplicano, sempre a Torino, quelli che l’agiografia tradizionale si compiaceva di chiamare templi di anime: nascono in Piemonte ordini religiosi maschili e femminili che si diffonderanno in tutto il mondo. Basti citare, tra i principali, gli Oblati di Maria Vergine del venerabile Lanteri, i Salesiani di don Bosco (con le Figlie di Maria Ausiliatrice, fondate dallo stesso santo in collaborazione con santa Maria Mazzarello), i Giuseppini di san Leonardo Murialdo, i Missionari e le Missionarie della Consolata fondati dal servo di Dio Giuseppe Allamano (2).
In quest’epoca di fondatori, il venerabile Francesco Faà di Bruno occupa un posto di rilievo, come fondatore di una chiesa e di una congregazione religiosa femminile, entrambe dedicate a Nostra Signora del Suffragio. L’itinerario spirituale di Faà di Bruno si presenta però con caratteri del tutto particolari, la cui singolarità bene è riassunta dal titolo di una delle biografie del venerabile, quella scritta da Luigi Condio: Soldato – Scienziato – Sacerdote (3).
1. Il soldato
Francesco Faà di Bruno nacque ad Alessandria il 29 marzo 1825, da famiglia di antica nobiltà. Il Padre, marchese Ludovico, era uomo seriamente cattolico e «strettamente conservatore» (4): negli ultimi anni della Restaurazione divenne amico e ammiratore del conte Clemente Solaro della Margarita. La madre, Carolina Sappa dei Milanesi, di nobile famiglia alessandrina e «di intensa religiosità», era nipote di monsignor Carlo Sappa, vescovo i Acqui dal 1817 al 1834 e militante dell’Amicizia Cattolica, il quale riorganizzò la diocesi secondo gli ideali antigiansenistici e contro-rivoluzionari del venerabile Lanteri, determinando un’autentica «rinascita religiosa». Ed è appunto in diocesi di Acqui, nel castello avito di Bruno, che il giovane Francesco Faà trascorse gli anni della prima educazione religiosa, sotto il diretto influsso del prozio vescovo. Come scrive un attento studioso della giovinezza del venerabile, «era sostanzialmente l’ideale di “trono-altare” dell’Ancien Régime, con il prevalere delle istanze romane, che a Francesco giunse, oltre che dalla famiglia, anche dal suo vescovo» (5).
A undici anni Francesco venne affidato alle cure dei Padri Somaschi del collegio di Novi Ligure; a quindici anni, nel 1840 — e pare per sua scelta personale – entrò nell’Accademia Militare di Torino. All’Accademia il giovane Faà di Bruno trovava una educazione severa, buoni insegnanti che lo indirizzarono allo studio appassionato della matematica e soprattutto un ambiente dove «cardine principale di tutto l’indirizzo era l’idea religiosa» (6), e dove ampio spazio veniva dato alle pratiche di pietà. A questa educazione religiosa Francesco aderì con entusiasmo: secondo le testimonianze raccolte nel processo di beatificazione «assisteva sempre alla Santa Messa in ginocchio» e «mantenne la pratica della visita al SS. Sacramento e quella della frequente comunione» (7). Attesta don Francesia, uno dei primi compagni di don Bosco, che il cadetto Faà di Bruno «fu veduto varie volte all’Oratorio, all’ora della Messa del nostro don Bosco, deporre in sacrestia la sciabola e, in divisa da ufficiale, servirgli la Messa in modo inappuntabile, con la più grande devozione» (8).
Con questa formazione e con questi ideali Francesco Faà di Bruno partiva nel 1848 per la Prima Guerra d’Indipendenza. Francesco «era al colmo dell’entusiasmo, Ma era l’entusiasmo di chi, sotto le bandiere del proprio re, andava a combattere una guerra a cui da quasi otto anni si preparava ed era addestrato, non di chi intraprendeva un movimento, militare e politico insieme, di unificazione nazionale» (9). La testimonianza di Faà di Bruno – che scrivendo dal fronte alla sorella manifestava la sua volontà di battersi «da soldato cristiano» e di dimostrare il suo «amore alla patria e al Re» — mostra come la maggior parte degli ufficiali piemontesi non comprendesse la portata rivoluzionaria della guerra del 1848 e la considerasse «una guerra come le altre» senza porsi alcun problema politico. Tanto che quando Brofferio e Gioberti, corifei dello «spirito risorgimentale», si presentarono per «istruire» le truppe sul significato «democratico» della guerra vennero accolti in modo ostile e minaccioso e dovettero desistere immediatamente (10). Il luogotenente Faà di. Bruno cercò, comunque, di fare il suo dovere di soldato nel modo migliore: ebbe la «menzione onorevole» per le battaglie di Mortara e di Novara e fu promosso capitano. Il principe Vittorio, futuro re Vittorio Emanuele II, pensò di affidare a quel brillante ufficiale, versatissimo nelle scienze esatte, l’incarico di precettore di matematica dei suoi figli.
Ma dopo il 1848 gli elementi liberali presero decisamente il sopravvento nel governo e nell’amministrazione del Piemonte, e «chi, come Francesco […] non fu pronto a piegarsi al nuovo verbo liberale e democratico rimase letteralmente tagliato fuori dal cursus honorum» (11). Anticlericali e massoni dominavano a corte e nell’esercito: nel clima politico del governo Cavour sfumò per il cattolico Faà di Bruno la possibilità di ottenere l’incarico di precettore reale; per di più egli venne insultato a Torino da ufficiali laicisti, venne – pare – anche provocato a un duello. Era troppo: mentre l’esercito piemontese si palesava ormai come «braccio armato» della Rivoluzione liberale, Faà di Bruno nel 1853 lasciava per sempre la carriera militare, che pure aveva abbracciato con entusiasmo e lealtà.
L’esercito, gli ufficiali, i soldati conserveranno però sempre un posto di rilievo nelle preoccupazioni apostoliche del venerabile Faà di Bruno. Nello stesso anno 1853, poco dopo avere lasciato l’esercito, egli pubblicò un Manuale del soldato cristiano che conobbe una notevole fortuna, a cui si aggiunse nel 1870 l’opuscolo Consigli dell’amico del soldato cristiano. L’idea centrale di queste pubblicazioni è quella che «i migliori cristiani sono a un tempo i migliori soldati» (12): sia perché solo una vita morigerata e conforme alla legge di Dio, e tanto più una buona vita spirituale, possono condurre alla pratica delle virtù militari del coraggio e della fortezza, sia perché il soldato non mancherà di sperimentare in battaglia la protezione del Signore Dio degli eserciti e di Maria Regina delle vittorie. «Mal si affida la spada – scrive Faà di Bruno – a chi non è prode di cuore, né insieme prudente e saggio di mente: ora di questa prodezza, di questo senno unica vera e mirabile dispensatrice è la religione». E in tempo di guerra suggerisce la preghiera: «Dio forte! La vittoria dipende solamente da te. Se mi proteggi, nulla havvi che io tema» (13). Ai soldati il venerabile ripropone gli esempi dei santi militari: da san Maurizio e san Giorgio fino a san Luigi IX e a sant’Enrico Imperatore, dagli «intrepidi Crociati che operarono meraviglie ignote ai tempi antichi» fino a Scandenberg e Sobieski che difesero dai turchi la Cristianità. Insieme egli mette in guardia i soldati, soprattutto giovani, dai «nemici più terribili» ai quali si deve «far guerra accanita e continua»: «impurità, ubriachezza, bestemmia, rispetto umano, ozio» (14). Da sacerdote, negli scritti e nelle prediche, riporterà sempre, con particolare attenzione, gli esempi di generali e ufficiali che, vincendo il rispetto umano, si recavano pubblicamente e con orgoglio alle pratiche di pietà.
2. Lo scienziato
Francesco Faà di Bruno fu uno scienziato di fama europea, acclamato in Francia, in Germania, in Inghilterra come uno dei maggiori matematici del suo secolo. Laureato in scienze matematiche alla Sorbona di Parigi, dal 1861 dottore aggregato presso la facoltà di scienze fisiche e matematiche della Università di Torino, nel 1871 divenne professore incaricato e nel 1876 professore straordinario di analisi matematica e di geometria analitica alla stessa Università di Torino. Ma qui il cursus accademico di Faà di Bruno si arrestò: fino alla morte questo scienziato eminente non andò mai oltre la qualifica di professore straordinario. Per ben sette volte il Rettore dell’ateneo torinese e la facoltà di scienze richiesero per Faà di Bruno una cattedra di professore ordinario: sempre il ministero della Istruzione, totalmente dominato da personaggi di orientamento liberal-massonico, rifiutò. Si voleva punire il cattolico, il difensore della Chiesa e del Papa: i settari liberali, dopo avere stroncato la carriera militare di Faà di Bruno, tentavano di stroncare anche la sua carriera accademica. Eppure già nel 1860 si era proposta una cattedra di ordinario al professore Faà di Bruno: ma era una cattedra a Bologna, offerta, per tentare il cattolico fedele, proprio all’indomani dell’annessione al Piemonte dell’Emilia pontificia. Faà di Bruno, ossequiente alle disposizioni e allo spirito della lettera Nullis certe di Pio IX, rifiutò: questo gesto di cristiana coerenza segnò la sua rottura irrimediabile con i gestori della pubblica istruzione unitaria, ormai impegnati nella promozione di una «rivoluzione culturale» italiana che fosse parallela e conseguente rispetto alla rivoluzione politica (15).
Nella formazione di Faà di Bruno scienziato è di importanza decisiva il soggiorno a Parigi, dal 1849 al 1851 e dal 1854 al 1856. Alla Sorbona, come si è detto, egli si addottorò in matematica, laureandosi presso la cattedra del barone Augustin Cauchy, uno dei grandi maestri della matematica, «il dotto che con le sue 789 pubblicazioni aveva rivoluzionato la scienza dei numeri» (16) e che divenne per il laureando Faà di Bruno «una sorta di modello ideale di matematico» (17) e insieme un decisivo maestro di vita. Si è scritto di Cauchy che fu «grande scienziato, grande contro-rivoluzionario, un cattolico esemplare e un grande cristiano» (18): legittimista convinto, vide anch’egli la sua carriera universitaria ostacolata da governi che gli rimproveravano la coerenza politica e religiosa. Il professor Cauchy non insegnò al suo giovane allievo piemontese soltanto i princìpi dell’analisi matematica: egli lo introdusse nell’ambiente cattolico e legittimista di Parigi; lo indusse alla lettura dei classici della scuola contro-rivoluzionaria, in particolare di de Bonald; gli fece conoscere i grandi centri della spiritualità parigina, come l’Arciconfraternita del Sacro ed Immacolato Cuore di Maria, fondata dal celebre parroco Desgenettes presso la chiesa di Notre Dame des Victoires e le varie confraternite consacrate all’adorazione eucaristica notturna e al Sacro Cuore di Gesù: lo avviò persino a partecipare a un corso di esercizi spirituali tenuti, con il più rigoroso metodo ignaziano, dal gesuita padre de Ponlevoy. Inoltre Cauchy – il quale, come scrisse lo stesso Faà di Bruno, «benché oberato d’ogni sorta d’occupazioni, trovava nondimeno il tempo ed un cuore per andare a visitare i poveri nei loro tuguri» (19) – diede al suo discepolo italiano un magnifico esempio di zelo nelle attività caritative e sociali, e lo indusse a iscriversi alla Conferenza di San Vincenzo di Parigi. Ma soprattutto il matematico francese consolidò nello spirito di Francesco Faà di Bruno l’idea secondo cui la vera scienza non allontana dalla religione, ma anzi predispone alla fede nel soprannaturale.
Faà di Bruno – ricorderà poi una teste del processo di beatificazione – asseriva «che un vero scienziato non può non credere in Dio e nel Cattolicismo. E perché, pel desiderio di schiarire le mie idee io insistevo che allora non si sarebbe potuto spiegare come certi uomini di scienza non avessero fede, il Servo di Dio mi diceva: “O non sono veri scienziati, o non hanno studiato la Religione cattolica”» (20). Il professor Faà di Bruno insegnava che l’armonia che lo scienziato scopre nel mondo fisico «è un’ombra delle perfezioni di Dio» (21), che l’alta matematica conduce alla logica, e dunque alla filosofia, e questa a sua volta alla teologia. Le leggi matematiche richiamano tutte il principio di identità e di non contraddizione, principio fondamentale che esprime – contro ogni forma di relativismo – il primato dell’essere sul divenire e introduce a quel Dio che ha detto di sé nell’Esodo «Io sono Colui che è». «Che la funzione inversa ellittica abbia due periodi – scrive Faà di Bruno – che ogni equazione abbia una radice, non è in virtù di leggi, ma solo un esplicamento di un assioma primordiale, ed alfine di questa verità: ciò che è, è. Come la natura non è che l’esplicamento di Colui che disse ego sum qui sum» (22).
In questo e altri scritti lo scienziato Faà di Bruno rivela una sorprendente lucidità filosofica: e davvero – come ha scritto uno studioso contemporaneo del tomismo – «può recar meraviglia che ancor prima […] dell’Enciclica Aeterni Patris un laico, sia pur dotato di mente singolarmente aperta e assetata di Teologia, si applicasse con impegno allo studio delle opere di San Tommaso» (23). A Parigi Faà di Bruno aveva letto con interesse Malebranche e Nicolas: ma negli anni della sua maturità, a Torino, non cessò di manifestare il suo «amore per San Tommaso», e sotto il patrocinio dell’Angelico egli pose una sua opera scientifico-religiosa che conobbe un non effimero successo, il Piccolo omaggio della scienza alla Divina Eucarestia, che – scrive lo stesso venerabile – «poggia sulla Somma di quel colosso delle umane intelligenze, il divo San Tommaso» (24). Il Piccolo omaggio, dove non si pretende certamente di «risolvere» il mistero della transustanziazione, ma si chiede alla scienza soltanto un «contributo all’illuminazione del dogma» muove in effetti dalla dottrina di san Tommaso, il quale illustra il dogma eucaristico partendo dalla distinzione tra materia prima e forma sostanziale e dal principio della intelligibilità della sostanza, che – ribadisce Faà di Bruno – «deve potersi percepire solo con l’intelletto e non coi sensi» (25). Si sono volute vedere in quest’opera, e forse sottolineare in modo eccessivo, influenze del dinamismo di Leibniz. Ma se è vero che Faà di Bruno si serve talora di concetti e terminologia leibniziana in funzione antimeccanicistica, è però certo che egli «non intende affatto sostituire una spiegazione nuova del dogma eucaristico alla spiegazione tomistica» e che, «pur partendo dai concetti leibniziani è nel proposito di superarli e di fatto li supera […] la sua formula scientifica corrisponde esattamente a quella metafisica di San Tommaso» (26).
Opera difficile, ma seria e profonda, il Piccolo omaggio della scienza alla Divina Eucarestia esprime l’aspirazione a una scienza ancilla theologiae e l’ideale di scienziato cattolico che caratterizzarono l’attività scientifico-matematica del venerabile Faà di Bruno.
3. Il sacerdote
Nel 1867 Francesco Faà di Bruno si trovava a Mondovì, ospite del vescovo locale mons. Giovanni Tommaso Ghilardi, battagliero polemista antiliberale e più tardi deciso sostenitore della infallibilità pontificia al Concilio Vaticano I. Questi, scoperto il suo ospite in piena notte in adorazione davanti al Santissimo, gli disse con decisione: «Signor cavaliere, che manca a lei per essere prete? Si decida, ed in breve sarà ordinato» (27). Questo esplicito invito impressionò profondamente Faà di Bruno e lo indusse a riflettere seriamente sul suo stato. Fu una riflessione lunga: solo nove anni dopo, agli inizi del 1876, a cinquantuno anni, egli decise di scegliere irrevocabilmente la via del sacerdozio. La realizzazione di questa aspirazione sacerdotale fu assai contrastata: l’arcivescovo di Torino, mons. Lorenzo Gastaldi, discussa figura di vescovo insieme autoritario e «riformatore» (28), frappose tutta una serie di ostacoli burocratici a una vocazione singolare che non vedeva con simpatia. In favore del professor Faà di Bruno intervenne però l’amico don Bosco, che lo aveva incoraggiato al grande passo, intervennero i gesuiti della Civiltà Cattolica, che lo stimavano per scienza e dottrina, intervenne il fratello, padre Giuseppe Faà di Bruno, che era divenuto rettore generale dei Pallottini: finché lo stesso Pontefice Pio IX ricevette in udienza l’aspirante sacerdote e, per speciale concessione, volle che fosse ordinato a Roma senza ulteriori indugi, ricevendo nell’arco di due mesi tutti gli ordini, fino al presbiterato, conferitogli dal cardinale Oreglia di Santo Stefano il 22 ottobre del 1876.
Da sacerdote Faà di Bruno poteva continuare l’attività, già da tempo intrapresa, di scrittore e di divulgatore di opere ascetiche, nonché iniziare un nuovo apostolato come predicatore. Si rese noto soprattutto come compilatore di manuali di preghiera e di meditazione, sulla scia delle Massime eterne di Sant’Alfonso, il cui stile ascetico tanto ammirava. Grande fortuna ebbero il suo Manuale del cristiano ed il Saggio di Catechismo ragionato, un catechismo per adulti inteso ad arginare la dilagante ignoranza religiosa. Per gli operai pubblicò un Manuale dell’operaio cristiano, per i sacerdoti un Memento sacerdotum, per «la pia giovinetta di lavoro, di servizio e di campagna» il volumetto Tutta di Gesù. Valente musicista, e anche compositore, raccolse una scelta di inni e cantici latini e italiani nella Lira Cattolica, che ebbe numerose edizioni e fu adottata da parrocchie e istituti in tutta Italia (29).
La lettura delle opere spirituali e le testimonianze raccolte nel processo di beatificazione rivelano le devozioni predilette, e più attentamente divulgate, dal venerabile Faà di Bruno: i Sacri Cuori di Gesù e Maria, le apparizioni mariane — allora recenti — di La Salette e di Lourdes, gli angeli, in particolare san Michele e gli Angeli Custodi, le devozioni tradizionali torinesi (la Sindone, il miracolo eucaristico del 1453, la Madonna Consolata, il beato Sebàstiano Valfrè). Ma «la devozione che il Faà sentì maggiormente e divulgò con ogni mezzo» (30) fu quella per le anime del purgatorio. La pietà del venerabile verso le anime purganti fu grande e teologica: egli richiamava spesso l’insegnamento di san Tommaso secondo cui «la preghiera per i morti è più gradita a Dio di quella che si offre per i vivi» e vedeva nel suffragio «una specie di spina dorsale che percorre tutta la antropologia soprannaturale» (31), richiamando e riunendo verità fondamentali della fede come l’immortalità dell’anima, la giustizia di Dio, la comunione dei santi. Sul purgatorio e sulla Madonna venerata sotto il titolo di Nostra Signora del Suffragio, consolante mediatrice per i morti come per i vivi, Faà di Bruno pubblicò numerosi opuscoli (fra cui soprattutto diffuse Il divoto dei Morti, ossia il mese di novembre santificato); ristampò le meditazioni dell’amico Emiliano Avogadro della Motta (che fu pure valente polemista antisocialista e antiliberale); soprattutto, dedicò all’opera del suffragio quelle che considerava le due principali iniziative della sua vita: la costruzione di una chiesa e la fondazione di una congregazione religiosa femminile.
La chiesa, dedicata a Nostra Signora del Suffragio, progettata dall’illustre architetto Arborio Mella su indicazioni del venerabile (32), è opera anche architettonicamente rilevante, costruita nel caratteristico stile del revival neomedievale ottocentesco, ma insieme realizzata con attenzione ai progressi scientifico-tecnici della edilizia del tempo. Faà di Bruno, ingegnere oltre che matematico, e architetto non solo per hobby, volle progettare e realizzare personalmente il campanile, alto e slanciato nel cielo (75’ metri), che concepì come «antipolo della Mole Antonelliana» (33), l’altissima costruzione torinese iniziata originariamente come sinagoga e poi ceduta dalla comunità ebraica all’amministrazione civica del laicista Comune di Torino. Davvero la Mole Antonelliana e il campanile del Suffragio esprimono le due anime, le due storie della città: la Torino laica e risorgimentale, simboleggiata dalla stella a cinque punte che domina la Mole, e la Torino sacra, bene espressa dalla grande statua dorata di san Michele posta sul campanile edificato da Faà di Bruno, dove l’arcangelo è raffigurato con le ali spiegate, mentre suona la tromba che chiama i morti al giudizio. Ancora oggi il campanile del Suffragio appare come «la summa della volontà e della scienza del Faà»: «un appello levato […] a ricordare i morti ai vivi» (34).
Alle anime del purgatorio, come si è detto, il venerabile Faà di Bruno consacrò anche, nel 1881, una congregazione di suore, le Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, caratterizzate dall’aggiunta ai tre voti di povertà, castità e obbedienza di un quarto voto, consistente nel cosiddetto atto eroico di carità per le anime del purgatorio, cioè nella «consacrazione di tutti i loro beni spiritali alle Anime Purganti […] cioè tutto quanto fanno, opere e preghiere, è destinato al suffragio delle anime» (35). La congregazione si presentava, così, con scopi e caratteristiche parallele a quella delle Ausiliatrici del Purgatorio, fondata in Francia dalia beata Eugenia Smet, che era stata in contatto a Parigi con gli stessi ambienti in cui Cauchy aveva introdotto Faà di Bruno. Ma, inoltre, le Suore Minime del Suffragio furono chiamate dal fondatore ad animare e guidare le numerose iniziative educative, caritative e sociali che già da tempo Faà di Bruno aveva avviato e che in gran parte aveva raccolto nel vasto Conservatorio del Suffragio, attiguo alla chiesa.
Quest’uomo multiforme, zelante in tutti i campi dell’apostolato, aveva concepito un vasto programma per alleviare le miserie materiali e morali della grande città scristianizzata, per debellare l’ignoranza religiosa, per combattere l’influenza della propaganda protestante e liberale. Il suo apostolato, complementare a quello di san Leonardo Murialdo e di san Giovanni Bosco, con i quali fu in amichevoli relazioni, si orientò soprattutto verso le donne e le ragazze, per cui mancavano adeguate iniziative: fondò, tra l’altro, un Oratorio festivo femminile, un Pensionato San Giuseppe per signore di civil condizione, una «Classe delle Clarine», per giovani in difficoltà, un Pensionato per lavoratrici anziane, un Istituto per allieve maestre ed istitutrici, una Casa di preservazione per ragazze madri e l’Istituto San Giuseppe, in Benevello d’Alba, per la formazione professionale delle giovani delle Langhe. Predilesse, fra tutte le sue istituzioni, l’Opera di Santa Zita per il ricovero e il collocamento delle donne di servizio, alle quali cercò di dare una buona formazione religiosa, promuovendone anzitutto la «moralizzazione» (36); presso di foro diffuse la devozione a santa Zita, patrona delle domestiche, ciò che lo mise più tardi in contatto con un’altra grande devota della santa, la beata Elena Guerra di Lucca.
Il grande disegno apostolico e sociale volto a «salvare la società con la religione vissuta profondamente» (37), spingeva il venerabile a cercare di provvedere ovunque scorgeva un bisogno e una carenza e ad avviare un numero di opere che pare oggi quasi incredibile, se si pensa che tutto faceva capo a un solo uomo. Per il popolo istituì i Fornelli economici per i lavoratori e i Bagni e lavatoi pubblici economici, caratteristiche istituzioni torinesi che continuarono a funzionare fino agli inizi del nostro secolo, mentre con l’Opera delle Feste, iniziata in collaborazione con don Bosco, si batteva perché cessassero le profanazioni del riposo festivo e con la Biblioteca Mutua Circolante, nonché con la diffusione di un Almanacco cattolico, cercava di porre un argine alle cattive letture e ai romanzi popolari laicisti. Non mancò di considerare le frequenti carenze religiose anche delle classi più alte della società, fondando nel 1862 un Liceo Faà di Bruno volto a dare una educazione cattolica – in pieno Risorgimento – ai giovani della buona società torinese.
In tanto fervore di iniziative, Faà di Bruno non dimenticava che la contemplazione è «l’anima di ogni apostolato» (38). Scelse a motto. delle Supre del Suffragio e suo personale «Pregare – agire – soffrire»; spesso trascorreva tutta la notte in preghiera; dopo la morte, i testimoni ascoltati nel processo di beatificazione ne rivelarono doni mistici straordinari – estasi, profezie, scrutazione dei cuori – che la sua umiltà era riuscita a far tenere scrupolosamente nascosti invita (39.)
4. Il combattente
Francesco Faà di Bruno, ostacolato nella carriera prima militare e poi accademica dai governi di ispirazione liberal-massonica, comprese assai per tempo l’urgenza di un impegno politico dei cattolici. A soli 32 anni si presentò candidato al Parlamento Subalpino per il Partito Cattolico Conservatore. Ma si trattava, nel 1857, delle famose «elezioni ministeriali» (come ebbe a definirle lo stesso Cavour) (40), caratterizzate dall’intervento scorretto del governo – che fu a lungo accusato di brogli elettorali – a favore dei candidati liberali: e Faà di Bruno non fu eletto, né miglior, fortuna ebbe un successivo tentativo nelle elezioni per il consiglio comunale di Torino.
Deluso dalla politica partitica ed elettorale (dalla quale, del resto, doveva allontanarlo definitivamente il non expedit) Faà di Bruno, come san Leonardo Murialdo, come don Bosco, continuò a perseguire il suo ideale di restaurazione sociale attraverso le iniziative educative e la buona stampa. Mancava, certo, anche a Faà di Bruno un preciso «modello politico» (41): ma non mancava chiarezza di visione sociale. Tre correnti erano presenti tra i cattolici torinesi nella seconda metà dell’Ottocento: gli intransigenti, i cattolici liberali e i «moderati» del teologo Biginelli, i quali ultimi riconoscevano la falsità delle teorie liberali, ma propugnavano una conciliazione «minimalista» tra la Chiesa e lo Stato unitario (42). Il venerabile ebbe chiaro il pericolo rappresentato dai cattolici liberali, che chiamò «falsi profeti» e «dottori dell’errore» (43); subì per breve tempo l’influenza di Biginelli: soprattutto, come è stato detto, perché l’antico ufficiale del re, il «compagno d’armi di Vittorio Emanuele» stentava a rompere definitivamente con la dinastia (44); dopo il 1870, compresa ormai la impossibilità di qualunque politica di conciliazione, «si allineò alla mentalità dei cattolici intransigenti»: «la sua adesione progressiva all’intransigenza è provata da testimonianze sempre più numerose» (45).
Dal 1874 fino alla Morte il Venerabile si dedicò con particolare zelo all’apostolato civico e sociale attraverso il quindicinale Il Cuor di Maria, che acquistò una straordinaria diffusione. Il periodico – che richiama, per impostazione e caratteristiche, Il Cavaliere dell’Immacolata del beato Kolbe – aveva un ricco contenuto devozionale incentrato sul suffragio e sui Sacri Cuori di Gesù e Maria: non mancavano, però, precise istruzioni catechistiche, e ampio spazio veniva dato, sotto la rubrica Notizie religiose, alle «attualità religiose mondiali». Il Cuor di Maria acquistava così una dimensione internazionale: costituiva «una raccolta delle buone azioni ed opere di pietà e carità in qualunque luogo si compiano» (46), e sviluppava un’articolata «polemica contro i nuovi nemici della religione e della Chiesa» (47). Faà di Bruno si mostrava informato sui «fatti notevoli» religiosi e sociali di tutto il mondo: segnalava i pellegrinaggi a La Salette, a Lourdes, a Paray-le-Monial, l’allora recente (1871) apparizione di Pontmain, le vicende di un parroco straordinario, il curato d’Ars, la rinascita cattolica in Inghilterra, polemizzava con le sette, con il Kulturkampf di Bismark, con lo spiritismo, con il giornalismo moderno, «mostro sfrenato e immorale», con i romanzi di appendice, con Renan… (48).
In costante contatto con gli ambienti legittimisti e contro-rivoluzionari francesi, pubblicava volentieri articoli sul conte di Chambord e rievocava la! vita di Luigi XVI. Con attenzione tutta particolare il venerabile seguì e propose all’ammirazione dei suoi lettori l’esemplare vicenda di Garcia Moreno, il presidente martire dell’Ecuador, che consacrò il suo paese al Sacro Cuore, promosse un concordato vantaggiosissimo per la Chiesa e fu assassinato nel 1875 per ordine delle sette. In vita Faà di Bruno lo definì «presidente cattolico modello», in morte così lo celebrava: «Egli non aveva nemici: Solo uno, però, l’empietà, che finì col condannarlo a morte per mano di sicarii perché faceva troppo gli interessi di Gesù Cristo. Andò a raggiungere, lo speriamo, in cielo il premio ed in terra la gloria dei Costantini, dei Carlomagni, dei Luigi, degli Stanislai…» (49).
Dopo l’assassinio di Garcia Moreno, seguito nel 1877 dall’avvelenamento dell’arcivescovo di Quito, monsignor Checa, che egli definì «atroce delitto delle sette» (50), Faà di Bruno ampliò e approfondì la sua campagna contro la massoneria, divulgatrice delle «menzogne della Rivoluzione […] sataniche dottrine di cui le scelleratezze e le azioni degradanti altro non sono se non le legittime ed immanchevoli conseguenze» (51). Ai nemici di Dio e della sua legge il venerabile ricordava la meditazione sui novissimi; ma ricordava pure che «il braccio di Dio si è aggravato in queste circostanze – La Divina pazienza è grande, ma i suoi castighi sono a temersi» (52): e più volte Il Cuor di Maria pubblicò, sotto il titolo Casi che non son casi esempi terribili di empi, di bestemmiatori, di massoni periti improvvisamente di morte tragica e violenta.
Il giornale di Faà di Bruno, che si rivolgeva anche a un pubblico di giovani, comprendeva pure articoli di rievocazione storica, dedicati alle gesta entusiasmanti dei campioni della Cristianità: i combattenti di Lepanto, «gloria immortale delle armi cristiane», i vandeani, insorti «per difendere contro la sacrilega empietà i propri altari ed il proprio focolare» al grido «L’anima nostra è di Dio: vogliamo che Gli resti!», Andreas Hofer, l’animatore della resistenza antinapoleonica nel Tirolo, definito «eroe cristiano» e «Maccabeo del 19º secolo» (53).
Punto di riferimento morale e dottrinale costante del Cuor di Maria fu il santo Pontefice Pio IX: dopo la sua morte, Faà di Bruno pubblicò costantemente, nell’apposita rubrica Fatti straordinari riguardanti Pio IX, i resoconti delle grazie ottenute per sua intercessione, e non cessò di battersi perché fosse introdotta la sua causa di beatificazione (54).
Il 27 marzo 1888 Francesco Faà di Bruno andava a raggiungere in Cielo il «suo» Pontefice, il servo di Dio Pio IX. Torino cattolica, che aveva perso il 31 gennaio di quello stesso anno san Giovanni Bosco e il 1º febbraio la beata Anna Michelotti, gli tributò eccezionali e meritati onori. Mentre le sue opere – ancora oggi fiorenti – venivano continuate dal successore da lui stesso designato, monsignor Agostino Berteu (55), si cominciò a preparare la causa di beatificazione, che ha avuto un suo primo significativo esito nel 1971, quando Francesco Faà di Bruno è stato proclamato venerabile dal Pontefice Paolo VI.
Oggi il venerabile Faà di Bruno – tra i molti santi torinesi dell’Ottocento – si impone all’attenzione per la sua figura eccezionale di uomo enciclopedico, di santo d’altri tempi: soldato, matematico, sacerdote, ma ancora – e senza mai indulgere al dilettantismo – filosofo, ingegnere, architetto, musicista, uomo politico, giornalista, nonché inventore, geografo, poeta (56). Non è retorica, in questo caso, parlare – come del resto fecero i contemporanei – di un uomo di autentico genio. Forse, però, il segreto di Francesco Faà di Bruno sta nella sua lucida comprensione dei termini del «problema dell’ora presente». Egli capì che la Rivoluzione anticristiana «è universale, è una, è totale, è dominante», che essa «si estende, per l’ordine stesso delle cose, a tutte le potenze dell’anima, a tutti i campi della cultura» (57): e che dunque anche la resistenza cattolica deve affermarsi come operosa reazione in tutti i domini dell’azione dell’uomo, dalla scienza all’arte, dalla battaglia sociale e politica alla filosofia.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Sul venerabile Lanteri cfr. R. DE MATTEI, Il ven. Pio Brunone Lanteri (1759-1830), in Cristianità, anno V, n. 23, marzo 1977, pp. 8-9, e la bibliografia ivi indicata (cfr. particolarmente, dello stesso R. de Mattei, l’introduzione al volume di P. B. LANTERI, Direttorio e altri scritti, Cantagalli, Siena 1975). Sulla scuola cattolica savoiardo-piemontese cfr. anche il mio San Leonardo Murialdo (1828-1900), in Cristianità, anno VI, n. 44, dicembre 1978, pp. 5-9.
(2) E ancora: le Piccole Serve del Sacro Cuore, fondate dalla beata Anna Michelotti, le Suore del Cottolengo, le Figlie di San Giuseppe di Rivalba, fondate dal venerabile Clemente Marchisio, gli Oblati di San Giuseppe di Asti, fondati dal servo di Dio Giuseppe Marello, le Suore Vincenzine dell’Immacolata, fondate dal venerabile Federico Albert, le Terziarie di San Francesco di Susa, fondate dal servo di Dio Edoardo Giuseppe Rosaz, le Suore di Betania del Sacro Cuore, fondate dalla serva di Dio Luisa Margherita Claret de la Touche, le Oblate di San Luigi Gonzaga, fondate dal servo di Dio Giovanni Battista Rubino, le Povere Figlie di San Gaetano, fondate dai fratelli servi di Dio Antonio Maria e Luigi Boccardo, le Suore di S. Anna e della Provvidenza, fondate dai marchesi di Barolo e organizzate e diffuse dalla beata Maria Enrica Dominici. Vanno poi ricordate le famiglie religiose piemontesi che si ispirano allo spirito di san Vincenzo de’ Paoli: le Suore Nazarene, fondate dai servi di Dio Marcantonio Durando e Luisa Borgiotti, le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, fondate dalla serva di Dio Antonia Maria Venia, le Figlie della Carità della Santissima Annunziata, di Montanaro Canavese, le Suore di Carità di Santa Maria, o del Buon Consiglio, fondate dalla serva di Dio Maria Luigia Angelica Clarac.
(3) L. CONDIO, Soldato – Scienziato – Sacerdote, Tip. Suffragio, Torino 1932.
(4) G. BRACHET CONTOL, La formazione di Francesco Faà di Bruno, in Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Miscellanea, Bottega d’Erasmo, Torino 1977, p. 10. Cfr. ibid., per le successive notizie sulla giovinezza del venerabile.
(5) Ibid., p. 19.
(6) Ibid., p. 24.
(7) Ibid., p. 29.
(8) Ibidem.
(9) Ibid., p. 31.
(10) Ibid., pp. 36-37. Scrivendo da Vigevano al cognato, Faà di Bruno rivela i particolari dell’episodio: «Brofferio non stette nemmeno un’ora qui, le mille imprecazioni dei nostri Ufficiali il fecero desistere dalla sua impresa. Si fece accompagnare in vettura da tre Ufficiali per paura che per strada lo ammazzassero. Gioberti gli toccò la stessa sorte, ed un soldato finì per tirargli addosso un torso di cavolo».
(11) M. Cecchetto, Vocazione ed ordinazione sacerdotale di Francesco Faà di Bruno, in Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Miscellanea, cit., p. 84.
(12) Consigli dell’amico del soldato cristiano (anonimo, ma di F. FAÀ DI BRUNO), 2ª ed., Emporio Cattolico, Torino 1976, p. 13.
(13) Ibid., pp. 5 e 56.
(14) Ibid., p; 13.
(15) Su queste vicende cfr. M. CECCHETTO, Vocazione ed ordinazione sacerdotale di Francesco Faà di Bruno, cit. Tra le principali opere scientifiche di Faà di Bruno vanno ricordate Memoria sulle colonne tortili, Teoria generale dell’eliminazione, Calcolo degli errori, Teoria delle forme binarie, Teoria delle funzioni ellittiche.
(16) E. T. BELL, Les grands mathématiciens, Parigi 1939, p. 318.
(17) G. BRACHET CONTOL, La formazione di Francesco Faà di Bruno, cit., p. 51.
(18) J . BOISLEVANT, Un grand savant contre-révolutionnaire: Augustin-Louis Cauchy (1789-1857), in L’Ordre Français, n. 188, febbraio 1975, p. 30.
(19) F. FAÀ DI BRUNO, Cenni biografici del barone Agostino Cauchy, De Agostini, Torino 1857, p. 11.
(20) Taurinen. Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Francisci Faà di Bruno. Summarium super dubio, Roma 1928, p. 74 (testimonianza di suor Emilia Civetta).
(21) F. FAÀ DI BRUNO, predica conservata nell’Archivio Faà di Bruno di Torino, n. 2426.
(22) IDEM, Quaderno Eucarestia conservato nell’Archivio, cit., n. 5.
(23) P. CARAMELLO, Presentazione di F. FAÀ DI BRUNO, Uno Scienziato dinanzi all’Eucarestia (riedizione del Piccolo omaggio della scienza alla Divina Eucarestia), Marietti, Torino 1960, p. 15.
(24) F. FAÀ DI BRUNO, Uno Scienziato dinanzi all’Eucarestia, cit., p. 41.
(25) Ibid., p. 54
(26) P. CARAMELLO, Presentazione, cit., pp. 24-25.
(27) Cfr. M. CECCHETTO, Vocazione ed ordinazione sacerdotale di Francesco Faà di Bruno, cit., p. 98.
(28) L’arcivescovo Gastaldi riorganizzò amministrativamente la diocesi di Torino: ma in filosofia fu seguace acceso di Rosmini, tanto da vietare i manuali tomisti nei suoi seminari, in morale – tra rigoristi e liguoriani – mantenne un atteggiamento ambiguo. Nemico di ogni «singolarità» e autoritario sino all’eccesso, si scontrò duramente con don Bosco e giunse fino a lanciare l’interdetto sulla serva di Dio suor Clarac, fondatrice delle Suore della carità di S. Maria, e sulle sue compagne. Su quest’ultima complessa vicenda cfr. A.VAUDAGNOTTI, Suor Clarac, Suore di Carità di S. Maria, Torino 1954, pp. 153-203.
(29) Per un elenco delle opere di Faà di Bruno e delle loro rispettive edizioni cfr. Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Miscellanea, cit., pp. 482-486.
(30) BRACHET CONTOL, Mentalità religiosa di Francesco Faà di Bruno. Appunti per una ricerca, in Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Miscellanea, cit., p. 326.
(31) Ibid., p. 329.
(32) La collaborazione tra Mella, estimatore del neo-romanico, Faà di Bruno, che preferiva piuttosto il neo-gotico, non fu aliena da screzi, su cui cfr. E. INNAURATO, L’opera ingegneristica e urbanistica di Francesco Faà di Bruno, nell’inserimento dialettico del revival storico torinese espresso nella cultura architettonica di Arborio Mella, in Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Miscellanea, cit. pp. 203-251
(33) Ibid., p. 248.
(34) Ibid., pp. 231 e 243.
(35) Regolamenti delle Suore Minime. Cfr. G. BRACHET CONTOL, Mentalità religiosa di Francesco Faà di Bruno. Appunti per una ricerca, cit., p. 341.
(36) Cfr. F. FAÀ DI BRUNO, Sulla moralizzazione delle donne di servizio, Speirani e Figli, Torino 1861.
(37) M. CECCHETTO, Francesco Faà di Bruno: agli inizi del cattolicesimo sociale in Italia. Tra apostolato laicale e impegno sociale, in Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Miscellanea, cit., p. 423. Questo saggio comprende un elenco dettagliato delle opere sociali di Faà di Bruno.
(38) Cfr. G. B. Chautard, L’anima di ogni apostolato, 8ª ed. it., Edizioni Paoline, Roma 1968.
(39) Cfr. il cap. De supernis donis alle pp. 317-325 del citato Summarium super dubio della causa di beatificazione.
(40) Nella imminenza di quelle elezioni Cavour scriveva al cugino de la Rive: «La lotta sarà viva, perché il partito clericale userà tutte le armi. Se le elezioni non fossero ministeriali la posizione diverrebbe quasi insostenibile». (L. CHIALA, Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour, vol. II p. 278, cit. in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, Tip. San Pio X, Roma 1966, vol. I, p. 581).
(41) «Debolezza politica» e «carenza di modello statale» (così G. CANTONI, Saggio, introduttivo a P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, p. 18) caratterizzano anche le migliori espressioni del Movimento cattolico italiano dell’Ottocento: e tanto più in Piemonte, dove i cattolici, divisi tra la fedeltà al proprio sovrano e quella alla Chiesa e al Papa, vivevano il drammatico «caso di coscienza del Risorgimento».
(42) Si intende qui per «minimalismo» l’atteggiamento di quei cattolici che sono disposti a concedere allo Stato la rinuncia della Chiesa a una predicazione esplicita della propria dottrina sociale, e dunque alla critica dello Stato anticristiano, purché, in cambio, alla Chiesa sia lasciato il minimum consistente nella libertà di culto. Per l’esame di analoghe posizioni, nei confronti dello Stato comunista cfr. P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Il «Cunctator»: un massimalista?, in Cristianità, anno VI, n. 42, ottobre 1978, pp. 4-5, e più ampiamente La libertà della Chiesa nello Stato comunista, trad. it., Cristianità, Piacenza 1978.
(43) F. FAÀ DI BRUNO, predica conservata nell’Archivio Faà di Bruno di Torino, n. 2889.
(44) G. BRACHET CONTOL, Mentalità religiosa di Francesco Faà di Bruno. Appunti per una ricerca, cit., p. 298. Questo studio mostra come la simpatia di Faà di Bruno per il moderatismo di Biginelli fu puramente provvisoria: la definizione di «pioniere della Conciliazione» (così CARLO TRABUCCO, Francesco. Faà di Bruno, pioniere dell’assistenza sociale, Edizioni Cinque Lune, Roma 1957, p. 40) appare francamente eccessiva.
(45) Ibid., pp. 302-303.
(46) Il Cuor di Maria, X, 1874-75, p. 390. Gli articoli del Cuor di Maria non sono mai firmati: pare che tutti siano stati, se non scritti, almeno rivisti e rimaneggiati personalmente da Faà di Bruno.
(47) G. BRACHET CONTOL, Mentalità religiosa di Francesco Faà di Bruno. Appunti per una ricerca, cit., p. 357.
(48) Cfr. per esempio, Il Cuor di Maria, X, 1874-75, pp. 11-13 (sul curato d’Ars), p. 511 (contro lo spiritismo); XI, 1876, p. 207 (contro i «deliri della ragione» di Renan); XVI, 1881, p. 264 (contro i romanzi sentimentali e d’appendice); XVIII, 1883, p. 51 (su Pontmain); XXII, 1887, p. 257 (Immoralità della stampa periodica). Dal 1883 Faà di Bruno assunse la direzione anche del Museo delle Missioni Cattoliche, uno dei periodici missionari più diffusi in Italia.
(49) Il Cuor di Maria, X, 1974-75, pp. 575-575 e 635 ss. Sul presidente martire dell’Ecuador cfr. A. BERTHE, Garcia Moreno, trad. it., Edizioni Paoline, Alba 1940.
(50) Il Cuor di Maria, XII, 1877, p. 176.
(51) Il Cuor di Maria, XXI, 1886, pp. 57-58. A differenza di san Leonardo Murialdo, Faà di Bruno avvertì in modo meno vivo il pericolo rappresentato dal comunismo, che definì comunque «falsa teoria condannata dal buon senso e dalla Chiesa», destinata a portare «il disordine e la confusione» nelle nazioni cattoliche (F. FAÀ DI BRUNO, Saggio di Catechismo ragionato, Emporio Cattolico, Torino 1875, pp. 35-36).
(52) Il Cuor di Maria, XVI, 1881, p. 381: la citazione è dalla Semaine Religieuse di Arras, relativa all’atroce fine in un naufragio di un .gruppo di quelli che Faà di Bruno chiamava «liberi mangiatori», reduci da un sontuoso banchetto tenuto in odium fidei nel giorno di Venerdì Santo.
(53) Cfr. Il Cuor di Maria, XIX, 1884, pp. 130 ss. (su Andreas Hofer); XX, 1885, pp. 392-97 (su Lepanto). Frequenti le rievocazioni della Vandea: cfr., per esempio, X, 1874-75, pp. 109 ss.; XVIII, 1883, pp. 224 ss.
(54) Il decreto definitivo di introduzione della causa di Pio IX fu emanato dalla Sacra Congregazione dei Riti solo il 7 dicembre 1954.
(55) Cfr. E. BRACCO, Cenni biografici del Servo di Dio monsignor Agostino Berteu, Tip. Suffragio, Torino s.d. (ma 1914).
(56) Inventò e fece brevettare, tra l’altro, un «ellipsigrafo», un «barometro differenziale», lo «scrittoio Bruno per ciechi», lo «svegliarino elettrico» e varie macchine per lavanderia. Fece stampare nel 1850 una Gran Carta del Mincio e nel 1852 un Altimetria Geodetica della Liguria per usi civili e militari. Pubblicò numerose poesie religiose, in gran arte dedicate alla Madonna.
(57) P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., pp. 69-70. Cfr. pure E. DELASSUS, Il problema dell’ora presente, 2 voll., Cristianità, Piacenza 1977 (rist. dell’ed. it. Desclée, Roma 1907).