Nota del 7 luglio 2020
Il 7 luglio 1799 l’«Inclita Armata» aretina del «Viva Maria!» entrava in Firenze, accolta trionfalmente dalla popolazione. Nella ricorrenza riproponiamo la rievocazione dell’intera insorgenza del «Viva Maria!», scritta, per il Dizionario del Pensiero Forte, dal magistrato perugino Giuliano Mignini, autore di testi giuridici e studioso di storia locale.
Il «Viva Maria»
di Giuliano Mignini
1. Un fenomeno di resistenza popolare contro-rivoluzionaria
Il termine “Viva Maria” indica tradizionalmente linsorgenza tosco-umbra del 1799, che ha il suo epicentro ad Arezzo e che coinvolge anche i territori limitrofi del lago Trasimeno e dellalta valle del Tevere, appartenenti allo Stato Pontificio, cioè la resistenza popolare allesportazione manu militari della Rivoluzione francese del 1789 da parte delle truppe di Napoleone Bonaparte (1769-1821) verificatasi fra le odierne Toscana e Umbria. Come tutti i fenomeni contro-rivoluzionari, anche quello del Viva Maria è fenomeno prevalentemente popolare in difesa delle tradizioni religiose e culturali, nonché del patrimonio, pure materiale, delle comunità locali. Contro le armate francesi e le milizie “italiche”, portatrici di un messaggio ideologico astratto e confliggente con lidentità storica e religiosa delle mille piccole patrie italiane, le popolazioni della penisola, mosse da un forte senso di appartenenza e di radicamento territoriale, reagiscono con le modalità proprie delle insurrezioni e mostrano, in modo inequivocabile, la loro avversione alla Rivoluzione sia nella realizzata versione francese che in quella potenziale italiana.
Le armate francesi, penetrate in Italia nella primavera del 1796, con lapporto dei giacobini locali tentano dovunque in modo brutale e senza mediazioni di sorta di laicizzare le istituzioni e di sovvertire alla radice le tradizionali forme di espressione della sovranità e della rappresentanza politica, distruggendo e criminalizzando le plurisecolari entità statuali esistenti, e imponendo nuovi modelli culturali e politici. Il popolo si solleverà quasi subito, sia perché è torchiato dalle imposizioni e dalle ruberie delloccupante, sia perché percepisce lestraneità ideologica dei francesi, visti non tanto come stranieri quanto come portatori di una visione del mondo ostile al “senso comune” che ancora sopravvive nelle società dellAntico Regime.
2. Le origini
Le popolazioni toscane erano già insorte contro la politica liberistica e filogiansenista del granduca Pietro Leopoldo di Asburgo-Lorena (1747-1792) il futuro Leopoldo II, imperatore del Sacro Romano Impero , culminata nella convocazione del Sinodo di Pistoia, nel settembre del 1786; e proprio ad Arezzo, nel 1795, si verificano violenti tumulti, anche con implicazioni religiose. Il miracolo del 15 febbraio 1796, quando unannerita immagine della Madonna del Conforto sbianca dinanzi agli occhi di alcuni artigiani, è il primo di una serie di episodi analoghi verificatisi in molte altre parti del Granducato e nei territori limitrofi, dove sono viste statue o immagini della Madonna muovere gli occhi o piangere. La devozione mariana, già forte in Toscana e nellUmbria Occidentale, è rafforzata da questi miracoli e costituisce il motore della futura sollevazione.
Il Granducato, in un primo tempo, è risparmiato dai rivoluzionari francesi, salvo la città di Livorno, occupata nel giugno del 1796, mentre i contigui territori perugino e altotiberino, appartenenti allo Stato Pontificio, sono invasi dalle truppe rivoluzionarie nel febbraio del 1798 e sono assegnati al nuovo Dipartimento del Trasimeno. La linea direttrice dellinvasione è, infatti, quella dei possedimenti pontifici, dove i reparti francesi del generale Pierre-François-Charles Augereau (1757-1816) penetrano nel giugno del 1796, provocando la violenta insurrezione delle popolazioni nella Legazione di Ferrara, lattuale Romagna, culminata nella rivolta e nel sacco di Lugo.
Due mesi dopo si sollevano anche i centri dellalta valle del Tevere e, il 16 aprile, gli insorti, a cui suniscono elementi provenienti dal Granducato, entrano a Città di Castello al grido di “Viva Maria!” e abbattono lalbero della libertà, il simbolo eretto ovunque dai rivoluzionari. Dopo alterne vicende glinsorgenti entrano di nuovo in città il 5 maggio, ammazzando circa centocinquanta soldati e ufficiali francesi. Quasi contemporaneamente, il 22 aprile, si ribella laltro epicentro della rivolta, Castel Rigone, nei dintorni del lago Trasimeno, e glinsorgenti, organizzati da un popolano, il “generalissimo” Tommaso, detto il Broncolo, giungono ad assediare la stessa Perugia. Le truppe francesi riprendono il controllo della situazione nel corso del mese di maggio a prezzo di saccheggi e di massacri, e nonostante la strenua resistenza deglinsorti, che, poco armati e mal equipaggiati, iniziano una sorta di guerriglia, riparando poi nei vicini territori aretini.
Quando, il 25 marzo 1799, i francesi entrano a Firenze, costringendo allesilio il granduca Ferdinando III (1769-1824), reo di aver dato ospitalità a Papa Pio VI (1775-1799) e a Carlo Emanuele IV di Savoia (1751-1819), re di Sardegna, anche la Toscana subisce limposizione del regime repubblicano, con la sua triste sequela di confische, di requisizioni, di contributi e di vessazioni contro il clero e contro i fedeli. Fin dai primi giorni delloccupazione, a Firenze e in altri centri scoppiano tumulti, presto sedati con violenza dagli occupanti.
3. Linsorgenza e il suo sviluppo
Il 6 aprile 1799 esigue forze francesi occupano Arezzo, località molto vicina ai centri del Perugino e dellalta valle del Tevere caratterizzati da una particolare fedeltà alla dinastia e da un forte sentimento religioso , già coinvolti nellinsurrezione del 1798. Un mese dopo, la mattina del 6 maggio, scoppia la rivolta. Mentre le campane delle chiese suonano a stormo, gli aretini e gli abitanti del contado, armati con roncole e fucili, abbattono lalbero della libertà, piantato presso la caserma delle guardie nazionali, e simpadroniscono della città, al grido di battaglia degli insorti del 1798, “Viva Maria!”. Viene quindi costituita una Suprema Deputazione, composta da personalità cittadine, fra cui spicca il barone Carlo Albergotti Siri (?-1832), mentre il comando militare è affidato al cavalier Angiolo Guillichini vecchio ufficiale della marina toscana, e al marchese Giovan Battista Albergotti (1761-1816), cavaliere dellOrdine di San Giovanni di Gerusalemme. Pertanto, mentre la prima fase dellinsorgenza era stata caratterizzata dallo spontaneismo e dal ricorso a guide popolari, talora provenienti dalle file del banditismo, la fase successiva vede la partecipazione di elementi di spicco del clero e della nobiltà locali in funzione di guida, e lalleanza con le truppe austriache.
I francesi trascurano inizialmente lepisodio perché la difficile situazione nellItalia Settentrionale richiede un intervento immediato. Così Arezzo è lasciata libera e linsurrezione può espandersi grazie anche allappoggio degli austro-russi, che inviano lalfiere Karl Schneider von Arno (1777-1846) ad assumere il comando deglinsorti. In giugno si sollevano le comunità della Valdichiana, del Valdarno e del Casentino, che si pongono alle dipendenze della Suprema Deputazione di Arezzo, la quale assume di fatto la veste di governo provvisorio della Toscana nel nome di Ferdinando III. Le truppe della coalizione, forte di almeno trentamila uomini, penetrano nel Senese e, attraverso lalta valle del Tevere, nel territorio pontificio, fino a Città di Castello. La vittoria ottenuta presso il fiume Trebbia, fra il 15 e il 17 giugno, dalle truppe austro-russe del generale principe Aleksandr Vasilevic Suvarov (1729-1800) nei confronti di Jacques-Étienne-Joseph-Alexandre Macdonald (1765-1840), comandante dellArmée de Naples, accresce ulteriormente le fortune degli aretini, a cui si unisce il cavalier William Frederic Wyndham (1763-1828), diplomatico inglese presso la Corte granducale. Il 28 giugno, le truppe aretine attaccano Siena, accolte con entusiasmo dai popolani, ma, penetrate nel ghetto, ammazzano tredici componenti della comunità israelitica mostratasi favorevole ai francesi finché sono fermate da alcuni esponenti del patriziato locale.
Nel pomeriggio del 7 luglio circa tremila insorti guidati da Wyndham e Lorenzo Mari, vecchio ufficiale dei dragoni di Toscana divenuto comandante deglinsorgenti di Montevarchi fanno il loro ingresso in Firenze, preceduti da un frate zoccolante con una grande croce. A essi si aggiungono altri reparti aretini provenienti da Pontassieve e alcuni squadroni di cavalleria austro-russa. Gli austriaci, intervenuti in forze il giorno 20, assumono progressivamente il controllo dei centri occupati daglinsorti, con i quali nascono presto non pochi attriti. Fra i personaggi fiorentini subito tradotti in carcere dai contro-rivoluzionari vi è pure mons. Scipione de Ricci (1741-1810), vescovo di Pistoia e di Prato, il maggior esponente del giansenismo italiano.
Anche nella Toscana Occidentale i francesi e i giacobini locali vengono ovunque battuti. Il 17 luglio le truppe rivoluzionarie sgombrano Livorno, mentre in Maremma i contingenti di Volterra, guidati dai fratelli Curzio e Marcello Inghirami, cacciano i francesi e risollevano le insegne granducali. Dopo alcuni giorni di assedio, gli aretini, insieme a reparti dellarea del Trasimeno e dellalta valle del Tevere, entrano a Perugia nella notte fra il 3 e il 4 agosto, e il 31 si arrende anche lultimo baluardo giacobino in città, cioè la Rocca Paolina. Arezzo, in quanto centro militare ed economico dellinsorgenza, diventa la capitale effettiva del Granducato e la Suprema Deputazione continua a governare il paese anche dopo che il sovrano ha affidato in sua assenza il governo della Toscana al Senato fiorentino dei Quarantotto. Nella conflittualità insorta con il Senato, titolare del potere legale, la Deputazione ha, in un primo momento, la meglio, mantenendo il controllo del territorio e riorganizzando le proprie bande e quelle delle città alleate in un”armata austro-aretina”, che insegue lesercito francese nello Stato Pontificio, dove libera Todi, Assisi, Foligno, Spoleto e Orvieto, giungendo fino alle porte di Roma. Linevitabile esaurimento dellazione militare, a seguito della ritirata generale dei francesi dallItalia Centrale, finisce per togliere alla Deputazione le ragioni della sua forza, consentendo al Senato fiorentino di procedere allo scioglimento prima dellarmata e poi della stessa Deputazione.
Dietro il governo granducale lAustria assume il controllo della Toscana, reprimendo duramente tutte le attività giacobine, ma anche emarginando progressivamente glinsorgenti.
4. Lepilogo
Un motu proprio sovrano del 16 febbraio 1800 riconosce i meriti degli aretini e concede loro numerosi benefici, ma, quando i francesi tornano in forze in Italia nel maggio del 1800, dopo la vittoria napoleonica di Marengo, in Lombardia, la difesa del Granducato è affidata allinetto generale Annibale Sommariva (1755-1829), che presiede la reggenza nominata dal granduca e che fugge ingloriosamente prima da Firenze e poi da Arezzo.
La resistenza tentata dal marchese Albergotti, il 17 ottobre, in un contesto profondamente mutato rispetto a quello dellanno precedente, risulta vana e i francesi si vendicano di Arezzo, rimasta sola. Glinsorgenti aretini scrivono le pagine più belle dellepopea del Viva Maria, combattendo eroicamente contro linvasore, a cui vengono inflitte notevoli perdite. Il giorno dopo, spezzate le ultime resistenze, i francesi compiono uno sfrenato saccheggio, che prosegue nei giorni successivi. Bande dinsorti, trasformatisi in guerriglieri, continuano ancora a operare nellItalia Centrale, ma ormai linsorgenza si è esaurita.
Per approfondire: vedi la ricca Bibliografia aretina 1790-1815 e Rassegna bibliografica del “Viva Maria” 1799, a cura di Roberto G. Salvadori, Università degli studi di Siena, Dipartimento di studi storico-sociali e filosofici, Centro Stampa dellUniversità, Siena 1989; Occupazione francese e insorgenza antifrancese nelle carte dellArchivio di Stato di Arezzo. 1799-1801, a cura di Augusto Antonella, revisione dei testi di Antonella Moriani, Provincia di Arezzo-Progetto Archivi, Arezzo 1991; Claudia Minciotti Tsoukas, I “torbidi del Trasimeno” (1798). Analisi di una rivolta, Franco Angeli, Milano 1988; Claudio Tosi, Il marchese Albergotti colonnello delle bande aretine del 1799, in Le insorgenze popolari nellItalia rivoluzionaria e napoleonica, numero monografico di Studi Storici. Rivista trimestrale dellIstituto Gramsci, anno 39, n. 2, aprile-giugno 1998, pp. 495-531. Per una bibliografia sullInsorgenza, con estesi riferimenti al Viva Maria, vedi Giacomo Lumbroso (1897-1944), I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800), con premessa di Oscar Sanguinetti, Minchella, Milano 1997.