Sessant’anni fa, ricorda Papa Francesco, san Paolo VI e il patriarca Atenagora di Costantinopoli si abbracciarono a Gerusalemme, accantonando con un solo gesto secoli di scisma. Il mondo abbisogna di molti abbracci: possiamo intuirlo guardando il Bambino Gesù e i bambini in generale
di Michele Brambilla
Come dice Papa Francesco aprendo l’Angelus del 6 gennaio, «oggi celebriamo l’Epifania del Signore, cioè la sua manifestazione a tutti i popoli, impersonati dai Magi», dei quali occorre ricordare che si trattava di «uomini sapienti che riconoscono la presenza di Dio in un semplice Bambino: non in un principe o in un nobile, ma in un figlio di povera gente, e si prostrano davanti a Lui, adorandolo. La stella li ha condotti lì, davanti a un Bimbo; e loro, nei suoi occhi piccoli e innocenti, colgono la luce del Creatore dell’universo».
Questa «è l’esperienza decisiva per loro e importante anche per noi: in Gesù Bambino, infatti, vediamo Dio fatto uomo. E allora guardiamo a Lui, meravigliamoci della sua umiltà. Contemplare Gesù, restare davanti a Lui, adorarlo nell’Eucaristia: non è perdere tempo, ma è dare senso al tempo», ripete ancora il Pontefice. Infatti «adorare non è perdere tempo, ma dare senso al tempo. Questo è importante, lo ripeto: adorare non è perdere tempo, ma dare senso al tempo. È ritrovare la rotta della vita nella semplicità di un silenzio che nutre il cuore».
Il Santo Padre invita ad osservare con attenzione anche i nostri comunissimi bambini, «i piccoli che pure ci parlano di Gesù, con la loro fiducia, la loro immediatezza, il loro stupore, la loro sana curiosità, la loro capacità di piangere e ridere con spontaneità, di sognare. Dio si è fatto così: Bambino, fiducioso, semplice, amante della vita (cfr Sap 11,26). Se staremo davanti a Gesù bambino e in compagnia dei bambini impareremo a stupirci e ripartiremo più semplici e migliori, come i Magi. E sapremo» anche «avere sguardi nuovi, sguardi creativi di fronte ai problemi del mondo».
Francesco parla proprio della capacità dei bambini di avere slanci che l’adulto, normalmente, nasconde o soffoca dietro le formalità. Cosa c’è di più fanciullescamente spontaneo di un abbraccio di sincera amicizia? Ecco allora il Papa rievocare che «sessanta anni fa, proprio in questi giorni, il Papa San Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Atenagora si incontrarono a Gerusalemme, rompendo un muro di incomunicabilità che per secoli aveva tenuto lontani cattolici e ortodossi».
Vale la pena di accennare brevemente ai fatti storici. Il 4 gennaio 1964 Paolo VI arrivò a Gerusalemme per dare inizio al suo pellegrinaggio in Terra Santa. Si trattava del primo viaggio dopo secoli di un Papa fuori dall’Italia, e la meta erano proprio i luoghi della vita terrena del Redentore! Il patriarca di Costantinopoli decise allora di prendere immediatamente l’aereo e lo raggiunse il 5 gennaio. A colpire fu soprattutto l’abbraccio che Papa Montini e Atenagora si scambiarono cordialmente nelle sale della Delegazione apostolica di Gerusalemme. «Impariamo dall’abbraccio di quei due grandi della Chiesa sulla strada dell’unità dei cristiani», sottolinea l’attuale Pontefice, «pregando insieme, camminando insieme, lavorando insieme».
Lo sguardo di Francesco si sposta dall’evento commemorato al luogo in cui avvenne, «e pensando a quello storico gesto di fraternità compiuto a Gerusalemme, preghiamo per la pace in Medio Oriente, in Palestina, in Israele, in Ucraina, in tutto il mondo».
Domenica, 7 gennaio 2024