Testo, pubblicato con titolo redazionale, della relazione che don Salvatore Rumeo — allora parroco del Sacro Cuore a Caltanissetta e direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano — ha tenuto il 18 novembre 2021 e il 6 maggio 2022 in occasione delle presentazioni dell’opera di Daniele Fazio, In difesa dell’umano. La filosofia di Karol Wojtyła (D’Ettoris Editori, Crotone 2021), svoltesi rispettivamente presso la medesima parrocchia e nella città di Sutera (Caltanissetta). L’autore, eletto vescovo di Noto il 22 dicembre 2022, ha autorizzato la pubblicazione. Gli inserimenti fra parentesi quadre sono redazionali.
Mons. Salvatore Rumeo (*), Cristianità n. 419 (2023)
Nella Prefazione al libro del professor Daniele Fazio il dottor Ermanno Pavesi scrive: «L’Autore ha descritto le fasi più importanti della vita di san Giovanni Paolo II (1978-2005), come filosofo e teologo, come vescovo e successivamente cardinale di Cracovia, e in fine come pontefice romano, mostrando che, pur nella diversità delle funzioni, esse presentano un carattere comune: il confronto con la cultura moderna, già avviata verso la post-modernità. Si è trattato di un confronto aperto a istanze legittime ma altrettanto serrato nel confutare gli errori, con l’elaborazione di una visione della realtà, dell’uomo e di Dio ispirata tanto ai principi cristiani, quanto a quelli razionali del patrimonio filosofico perennemente valido, adeguata ai dibattiti culturali e alle questioni del nostro tempo e quindi accessibile all’uomo contemporaneo» (1).
Dopo la morte di san Paolo VI [1963-1978] le cronache registrano un incontro significativo, appena prima del conclave, fra due eminenti cardinali, che non avevano mai avuto l’occasione di incontrarsi, pur conoscendo il rispettivo pensiero: il cinquantaduenne bavarese card. Joseph Ratzinger [1927-2022] — allora il più giovane cardinale del collegio cardinalizio — e il cinquantottenne card. Karol Wojtyła [1920-2005], arcivescovo di Cracovia, in Polonia.
I due scoprirono non poche concordanze nella loro analisi sulla situazione della Chiesa. Ratzinger, che era uno degli autori della Lumen gentium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa, e Wojtyła, uno degli architetti della Gaudium et spes,la costituzione pastorale della Chiesa nel mondo contemporaneo, si trovarono in piena sintonia su ciò che era necessario operare per dare un saldo ancoraggio all’eredità del Concilio Vaticano II (1962-1965), un’eredità che correva non pochi pericoli di snaturamento. Ratzinger disse che occorreva ritrovare «l’audacia di accettare, con cuore gioioso e senza tema di sminuirsi, la follia della verità» (2). L’arcivescovo di Cracovia rispose di trovarsi pienamente d’accordo.
L’intera storia di Karol Wojtyła è una testimonianza resa alla verità. Alle doti intellettuali — che mise a frutto nel suo impegno filosofico come docente all’università di Lublino — Wojtyła sommava quelle di combattente culturale. Le «sfide», invece di paralizzarlo, ne sprigionavano le migliori energie. Da arcivescovo di Cracovia si dimostrò subito un problema per le autorità locali e non solo. Egli non prese mai di petto, politicamente, il regime, ma lo sfiancò e lo delegittimò sul piano culturale, soprattutto sul piano antropologico.
L’antropologia filosofica e l’etica: sono questi i grandi fulcri del pensiero e anche dell’attività pastorale del sacerdote e del vescovo Wojtyła, presentati magistralmente dal professor Fazio nella sua opera. L’assalto alla dignità umana era stato definito — in una sua lettera al teologo francese Henry[-Marie] De Lubac [1896-1991] — il «male dei nostri tempi». Questo per lui era il problema di fondo: un problema che non era negoziabile. Wojtyła si sentì sempre più, soprattutto quando esercitò il ministero episcopale, il custode di un’antica e irrinunciabile tradizione, che faceva del vescovo di Cracovia — come di ogni vescovo della Chiesa — il defensor populi.
Primo capitolo. Le tre navigazioni
«Il pensiero di Wojtyła è così anche il frutto evidente della formazione, delle esperienze e del contesto in cui egli stesso è vissuto, ragion per cui ci è sembrato utile dedicare il Primo Capitolo ad alcune pennellate biografiche — ma non agiografiche — sul personaggio nell’ottica di accompagnare il lettore dentro le linee della sua filosofia. Si coglieranno così i tratti determinanti del personaggio e le vie percorse nella costruzione del suo pensiero, a partire evidentemente dallo stretto legame con l’ambiente culturale e geostorico polacco che ne caratterizza la tempra» (3).
Forte della provvidenziale esperienza culturale e pastorale a Cracovia, che lo aveva forgiato in tempi difficili, il cardinale Wojtyła nel 1978 era pronto per diventare Papa. E si capì subito fin dai primi passi quale sarebbe stato non solo lo stile, decisamente innovatore, ma anche e soprattutto il programma del nuovo Papa. Nel discorso di inaugurazione del suo ministero sulla cattedra di Pietro, davanti a un mondo che aveva paura di sé stesso e del suo futuro, e davanti ad una Chiesa incerta sulle strade da intraprendere per vivere pienamente l’insegnamento del Concilio, Giovanni Paolo II uscì con quel forte invito che scosse tutti e al quale è rimasto profondamente fedele in questi ventuno anni: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo. Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura. Cristo sa che cosa è dentro l’uomo. Solo Lui lo sa» (4).
Il nuovo Papa era già da tempo convinto del potere liberatorio della verità. La verità, che insieme vincola e libera, ai suoi occhi era uno strumento per esercitare l’ufficio di Pietro al servizio della dignità umana. Concentrava la sua attenzione sui diritti umani, e in particolare sulla libertà religiosa, muovendo un sottile attacco al cuore stesso del progetto storico del comunismo, che si riteneva il vero umanesimo del secolo XX e il vero liberatore dai suoi mali.
La prima grande prova internazionale fu la III Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-Americano nel gennaio del 1979 a Puebla, in Messico. Era allora rovente la questione della «teologia della liberazione», che si ispirava a una strategia rivoluzionaria, fondata sulle categorie economiche e sull’analisi sociale del marxismo. Il problema era come coniugare la presenza della Chiesa con la realtà di quelle società dove dominavano regimi militari, in genere ispirati e finanziati da gruppi di potere economico.
Giovanni Paolo II, che proveniva da tutt’altro ambiente, era pur sempre un uomo che fin dagli anni della giovinezza aveva cominciato a meditare sulla questione morale della «violenza rivoluzionaria» come risposta «all’ingiustizia sociale», provocata nella sua patria dal nazionalsocialismo prima e dal comunismo poi. Il Papa chiarì subito ai vescovi che loro erano protagonisti del rinnovamento non alla maniera dei politici, ma come pastori della Chiesa. Come tali, il loro principale dovere era quello di essere maestri di verità, perché la verità era il fondamento dell’autentica liberazione dell’uomo. E la verità affidata ai vescovi era la verità di Gesù Cristo. Ogni rilettura del Vangelo attraverso lenti ideologiche rendeva impossibile una liberazione autenticamente cristiana.
Alla riduzione materialistica dell’umanesimo operata dal marxismo la Chiesa contrapponeva la verità dell’uomo come «immagine di Dio», irriducibile a una semplice particella della natura o a un elemento anonimo della città umana. L’umanesimo cristiano — che è la più completa verità sull’uomo — era il fondamento della dottrina sociale della Chiesa.
Era già l’anticipo di quella che poi sarà la sua prima enciclica, programmatica di tutto il pontificato, la Redemptor hominis, scritta nel 1979. Questo documento presenta l’analisi del Papa sulla condizione dell’uomo contemporaneo, un uomo redento da Cristo. L’incarnazione non dice solo qualcosa di grande su Dio, ma anche sull’uomo, che viene definito come colui che «[…] non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso» (5).
Scrive il filosofo Giovanni Reale (1931-2014): «Wojtyła è stato un pellegrino che ha battuto le tre strade che Hegel considerava le massime espressioni dello spirito umano. […] gli uomini capaci di camminare congiuntamente sulle tre vie sono molto pochi, Wojtyła è uno di questi pochi. Egli, infatti, è stato poeta, filosofo, teologo e ciò indica una ricchezza spirituale non comune e che gli consente un’indagine antropologica multidimensionale e completa» (6).
Secondo capitolo. Innanzitutto la persona
Nel secondo capitolo l’autore intende sviluppare il nucleo fondamentale della filosofia di Karol Wojtyła. «Essa presenta l’uomo-persona a partire dalla sua esperienza e dal concreto da cui sempre di più emerge la necessità dell’integrazione dei vari elementi inerenti alla corporeità, alla psiche, alla coscienza e allo spirito fino a giungere al riconoscimento di un centro unificatore dato dalla trascendenza orizzontale e verticale, e quindi da una dimensione metafisica» (7).
Gli insegnamenti filosofici di Karol Wojtyła sono condensati in due opere principali, Amore e Responsabilità e Persona e atto, che rappresentano anche la trama di questo studio.
«Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia» (8): così l’incipit della Redemptor hominis, come detto, la prima enciclica di Papa Wojtyła. La centralità della persona, che parte dalla dottrina dell’«imago Dei», attraversa tutto il suo pensiero e il suo magistero. L’insegnamento nella prima enciclica è un appassionato invito alla riscoperta della centralità, per la vita della Chiesa e del mondo, del singolare rapporto fra «Cristo ed ogni uomo».
La visione dell’uomo diffusa nell’Età Moderna e impostasi nell’Età Contemporanea è di natura «individualistica», incentrata sulla «singolarità dell’uomo» visto esclusivamente come «individuo». Si tratta di una concezione «anti-personalistica», che si oppone all’essenza stessa dell’uomo come «persona», dato che è iscritto nella stessa natura dell’uomo il rapporto strutturale con l’altro, ossia la capacità della «partecipazione», della «solidarietà» e della «comunione» con gli altri, nella dimensione della libertà per la realizzazione del bene comune.
«Parlare di persona, però, vuol dire anche coniugare tale termine sempre al plurale, ossia non si dà esperienza umana che non sia esperienza con-altri. Da questo punto di vista, dunque, Wojtyła snoda considerazioni fondamentali che stanno alla base della fondazione di ogni comunità naturale e sociale, a partire dal significato filosofico di partecipazione» (9).
Come mai si è giunti all’eclissi della figura dell’uomo inteso come «persona»? Si è giunti a tale dimenticanza per lo stesso motivo per cui sono caduti in oblio i grandi valori e, di conseguenza, si è diventati ormai vittime del nichilismo. Eliminato Dio, si eliminano di conseguenza tutti i valori.
L’io si realizza e, quindi, si riconosce solo nel rapporto con il tu. Ogni io porta il segno indelebile di un tu. Il nesso fondativo strutturale che cementa il rapporto dell’io con il tu è dato dal rapporto che l’uomo instaura con gli altri in funzione del Tu supremo, ovvero del Dio persona.
L’uomo per essere veramente uomo e quindi realizzarsi come persona non può vivere se non in comunione con gli altri e per gli altri. La solitudine è il peggiore dei mali, e si oppone in modo radicale alla ricerca del bene e all’amore. In Amore e responsabilità si legge che «l’amore è comunione di persone» (10).
«L’uomo-persona è capace, altresì, di ricercare e conoscere la verità interiorizzandola tramite la coscienza, determinando così il valore pieno della libertà che non viene ridotta a semplice libero arbitrio. Il compimento di un tale cammino, che compendia conoscenza ed amore, sfocia nell’apertura a Dio, ossia nel momento in cui la persona si riconosce creatura in rapporto filiale con il suo Creatore. Egli stesso rappresenta, in definitiva, l’Amore stesso e la fonte dell’ordine personalistico» (11).
Il metodo fenomenologico con cui Wojtyła studia l’uomo in Persona e atto e nei saggi successivi capovolge il metodo dell’analisi metafisica tradizionale. Questa, infatti, si incentrava sullo studio della struttura ontologica della persona, deducendo da essa tutta una serie di conseguenze concernenti le sue azioni. L’analisi che Wojtyła segue non parte dalla persona, ma giunge ad essa: studia l’azione umana e fa vedere come proprio nell’azione e mediante l’azione si riveli la persona (12).
Wojtyła scrive: «L’atto è senza dubbio un’azione e l’azione è opera di diversi agenti. Non possiamo tuttavia attribuire quel genere di azione, che è atto nel vero senso della parola, ad alcun altro agente, se non alla persona. Tale approccio è accettato in diversi campi del sapere aventi come oggetto l’azione umana, in particolare nell’etica, che si è sempre occupata dell’atto e che presuppone la persona, ossia l’uomo come persona. Nel nostro studio, invece, intitolato Persona e atto, intendiamo capovolgere questa relazione. Non sarà uno studio dell’atto che presuppone la persona, in quanto adottiamo un altro indirizzo di esperienza e di comprensione. Sarà invece studio dell’atto che rivela la persona; studio della persona attraverso l’atto. Tale è infatti la natura della correlazione insita nell’esperienza, nel fatto che “l’uomo agisce”: l’atto costituisce il particolare momento in cui la persona si rivela. Esso ci permette in modo più adeguato di analizzare l’esistenza della persona e di comprenderla nel modo più compiuto» (13).
Karol Wojtyła non dimenticherà il lavoro svolto per il dottorato in filosofia. Quando pubblicherà la sua opera più impegnativa dal punto di vista filosofico, Persona e atto, ritornerà su temi a lui cari. Scrivendo del tema cruciale dell’atto e della potenza, sosterrà, infatti, che Persona e atto offre un’interpretazione realistica e oggettivistica e al tempo stesso metafisica, originata dalla concezione di «potentia-actus» con cui gli aristotelici e i tomisti hanno spiegato il carattere mutevole e insieme dinamico dell’essere: «actus humanus»è«actus personae» (14). Persona e atto viene pubblicato nel 1969, a ridosso del Concilio Vaticano II, ed è stato interpretato «[…] come tentativo di rendere ragione, sul piano dell’analisi filosofica, della concezione dell’uomo che viene presupposta dai documenti conciliari» (15).
Wojtyła intervenne varie volte al Concilio Vaticano II (16), e in modo deciso a proposito del cosiddetto schema XIII, che sarebbe poi diventato la costituzione Gaudium et spes. La sua discussione si focalizzò, soprattutto, sul concetto di persona umana (17). Tale concetto, presente già nel capitolo primo della parte prima «La dignità della persona umana (18), viene introdotto con l’accorato interrogativo: «Ma che cos’è l’uomo?» (19).
La conclusione è piena di conseguenze: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. […] Egli è “l’immagine dell’invisibile Dio” […]. Egli è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio» (20).
La Gaudium et spes contiene la grande intuizione cristologica per la quale è Cristo che rivela l’uomo a sé stesso e gli rivela la sublimità della sua vocazione. La contemplazione del Verbo incarnato informa tutta la costituzione conciliare. Si coglie qui la profonda opposizione che esiste fra la persona, contemplata dalla Gaudium et spes come «essere di comunione», e le diverse concezioni individualistiche che fanno capo, per esempio, al liberalismo filosofico. Il soggetto umano, in quanto persona, è chiamato a entrare in comunione con il Tutto trascendente. Si dispiega, dunque, da questo documento quella che sarà la focalizzazione del personalismo wojtyliano: la persona umana è il punto sul quale converge l’umanesimo cristiano.
Il linguaggio della persona in azione dice che l’uomo, singolare intreccio di grazia, natura e libertà, è sempre storicamente situato. È la storia lo spazio in cui risuona il «dove sei?» del Creatore. Come Adamo, ogni uomo è chiamato a rispondere. Deve decidere in ogni atto di libertà. Il Creatore non cessa così di coinvolgerlo.
Wojtyła raccoglie sotto la categoria «elementare dell’esperienza» le risultanti dell’«io in azione». L’esperienza elementare come fondamento della conoscenza dell’uomo rappresenta per Wojtyła anche la base insuperabile per l’elaborazione dell’intellectus fidei teologico.
Ora, l’esperienza cristiana, in quanto pienezza dell’esperienza umana, altro non è che l’esperienza della fede come dono di Dio che esige l’«abbandono totale» di sé a Dio (21). La vita cristiana si attua come il concreto esistere dell’uomo in Cristo, in forza del dono della fede. La natura ecclesiale di questa esperienza è introdotta da Wojtyła, in modo del tutto singolare, attraverso l’elaborazione della nozione di communio personarum.
Il fondamento teologico della concezione wojtyliana di persona è triplice. La persona si costituisce compiutamente solo nella relazione con l’altro. In questo senso il vertice dell’identità personale sta nella Trinità. Ogni persona si riconosce veramente come tale solo quando si percepisce introdotta da Cristo nel dinamismo delle relazioni permanenti fra le Persone della Trinità.
Ma è nel singolare rapporto fra la processione del Figlio e la Sua missione di salvezza, culminante nella croce e nella risurrezione, che tale accesso alla Trinità è reso possibile. Quindi è Cristo che svela alla persona la sua identità profonda e ciò avviene mediante l’incorporazione alla Chiesa, Corpo Mistico di Cristo di cui, per Wojtyła, la persona è cellula.
Soprattutto attraverso la santità della persona la Chiesa si rende presente al mondo; e la santità della persona è un fatto che chiama in causa certamente la fede e la grazia dei sacramenti, ma anche la libertà e la responsabilità. Un personalismo, quello wojtyliano, che affonda le sue radici nel personalismo trinitario, che in Cristo e nella Chiesa viene incontro all’uomo.
L’autore ha voluto affidare «[…] l’epilogo del Secondo Capitolo, evocando l’apice dell’esperienza artistico-letteraria di Wojtyła, in particolar modo al suggestivo dramma La Bottega dell’Orefice, individuata quale mirabile sintesi del personalismo dell’Autore in cui sono ben mescolate la dimensione della metafisica della persona e la dimensione della metafisica dell’amore» (22).
Terzo capitolo. Contro-rivoluzione antropologica
Avendo chiarito, dunque, la prospettiva della filosofia della persona di Wojtyła, il terzo capitolo «[…] si occupa specificamente di confrontarla con le espressioni tipiche del pensiero moderno a partire da alcuni nuclei tematici fondamentali, quali il rapporto tra la libertà e la verità, la tematica dell’alterità e dell’ateismo e la visione dell’humanum quale elemento di principale contesa con il marxismo. Il metodo fenomenologico, messo in campo da Wojtyła, permette di cogliere e valorizzare certamente alcuni spunti della modernità, ma allo stesso tempo di trasfigurarli e di superarli grazie all’ottica metafisica propria del tomismo, auspicando così un incontro tra la filosofia della coscienza e la filosofia dell’essere» (23).
Un aspetto che lo stesso san Giovanni Paolo II ha segnalato come decisivo per la sua formazione fu la scoperta della centralità della questione antropologica nel contesto culturale del dopo-guerra, con particolare riferimento al confronto con quella forma di pensiero moderno rappresentata dall’ideologia marxista nella Polonia degli anni 1950 e 1960. È interessante, infatti, registrare come lo stesso pontefice abbia voluto ripercorrere la nascita e lo sviluppo del suo peculiare interesse verso le problematiche di carattere antropologico. Nel farlo egli ricorda di essere stato sorpreso come il tema dell’uomo rappresentasse nella cultura marxista polacca del secondo dopoguerra il centro d’interesse e di conseguenza l’ambito privilegiato di confronto polemico nei riguardi del pensiero non marxista, in specie quello cristiano.
«Ma cosa intendiamo, più precisamente, per rivoluzione antropologica? Essa è il sovvertimento della visione dell’uomo come persona, che prima di ogni cosa intende destabilizzare il suo ordine interiore, facendo emergere il principio di piacere a guida dell’essere umano» (24).
La nostra epoca, con la baldanzosa sicurezza del progresso scientifico e tecnico, ha cercato nell’assetto liberale-capitalistico la sua strutturazione economico-sociale e ha introdotto l’uomo ad esperienze individuali e collettive che si sono rivelate sconcertanti quando non terrificanti. Oggi l’uomo subisce forse la più grave crisi d’identità che abbia mai sofferto in passato. Vive e sperimenta lo smarrimento e l’angoscia, causati da una reale perdita di senso dell’essere uomo.
San Giovanni Paolo II ha ribadito che l’uomo è innanzitutto impegnato nella ricerca della verità e come tale è apertura al Mistero, perché ponendosi la domanda sulla propria identità cammina e sente di andare verso qualcosa di altro da sé, di più grande, da cui dipende. La cultura odierna, invece, ha affermato una concezione di uomo fondata sull’idea di potere: egli si definisce in quanto può tutto. L’uomo, dunque, non si identifica più per la ricerca della verità, ma per la ricerca del potere.
In questo quadro e in questa situazione spirituale e culturale, non certo rassicuranti, si può collocare l’analisi di san Giovanni Paolo II, che pone il problema in una prospettiva di speranza: la «questione antropologica» è «questione religiosa».
Wojtyła lavorerà per rimettere l’uomo al centro di tutto. Vi è continuità fra il magistero del Concilio Vaticano II e quello di san Giovanni Paolo II. Il suo è stato un pontificato «conciliare». Non c’è documento del suo magistero di una certa importanza in cui non siano citati i capitoli 22 e 24 della Gaudium et spes.
Le affermazioni conciliari sono la vera chiave interpretativa del suo magistero. Esiste un’invocazione di Cristo, che è inscritta per grazia dallo stesso gesto creativo nella persona umana. Il Signore Gesù Cristo non è «estraneo» all’uomo e l’uomo costitutivamente per grazia non è «estraneo» al Signore Gesù Cristo.
Le radici filosofiche del «personalismo wojtyliano» si innestano saldamente su quelle cristiche. L’intero magistero si confronterà con la cultura della modernità e della post-modernità, con il presupposto che considera Cristo e l’uomo, l’economia della redenzione e l’economia della creazione come due grandezze originariamente estranee l’una all’altra e, quindi, semplicemente giustapposte. Ecco che ritornano, come motivo dominante, le radici culturali del personalismo. Non si tratta di un uomo «astratto», ma di quello reale, dell’«uomo fenomenico», come usava dire san Paolo VI di ciascun uomo.
La persona umana è «imago Dei»: la libertà dell’uomo può riferirsi a questo principio assoluto. Ed è per questo che san Giovanni Paolo II, quando parla di «persona umana», intende in primo luogo la costituzione ontologica dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio e posto al centro della storia.
La persona umana è «relazione interpersonale». Il significato di questa seconda affermazione non è in primo luogo etico ma ontologico. Essa descrive chi è la persona: comunione interpersonale ontologicamente fondata, significata originariamente dal fatto che la persona umana è «uomo-donna». In questo fatto dimora un senso attinente alla verità della persona come tale.
Il discorso di san Giovanni Paolo II è chiaro e coraggioso. Quella religiosa è una categoria totalizzante e necessaria per la rivelazione totale dell’essere dell’uomo. In realtà non è la religione che caratterizza la domanda esistenziale, ma è la domanda esistenziale che è religiosa, perché è radicale e totalizzante.
Nonostante il giorno dell’umanità sembri volgere al declino, con le stesse parole del papa poeta, possiamo dunque rinnovare la speranza, affermando: «se vuoi trovare la sorgente, devi proseguire in su, controcorrente» (25).
Nelle pagine di un libro non si intravedono solamente le trame di un pensiero, o la descrizione di fatti e avvenimenti che hanno segnato nel tempo la vita di una comunità intera, quella dell’autore o che segneranno in futuro quella del lettore. «Dietro e dentro»un libro si cela una passione, un sentire comune, un forte sentimento o un messaggio da trasmettere non solo con la parola scritta, ma anche attraverso la «condivisione» di un’idea, di una fatica, di una intuizione o di un evento fissato nel tempo. Il libro, allora, diventa il luogo collettivo, una sorta di laboratorio dove s’intrecciano e trovano spazio, come trama e ordito, i sentimenti del lettore e quelli dell’autore.
L’impresa diventa più ardua quando l’autore ti porta indietro nel tempo e, attraverso la memoria, riesce ad aprire, a tinte forti, spazi di storia e squarci di vita vissuta da un’intera collettività, che devono tornare a illuminare e sostenere il tempo presente.
Questo lo dobbiamo a san Giovanni Paolo II e al professor Fazio e a tanti altri che, è il nostro augurio, rileggendo il magistero di Papa Wojtyła riescano a ridare splendore alle pietre miliari che costituiscono il fondamento dell’umanesimo cristiano.
Mons. Salvatore Rumeo
Note:
*) Mons. Salvatore Rumeo è nato il 23 maggio 1966 a Caltanissetta. Entrato nel Seminario Minore della diocesi, ha conseguito il baccellierato in Sacra Teologia presso l’Istituto Teologico Mons. G. Guttadaurodi Caltanissetta nel 1990. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1990, ha ottenuto nel 1997 la licenza in Teologia con specializzazione in Catechetica presso l’Istituto Teologico San Tommasodi Messina e, nel 2006, il dottorato in Sacra Teologia presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. Dal 2007 è direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano e dell’Ufficio per l’Insegnamento della Religione Cattolica; dal 2016, docente di Pastorale Giovanile e Sociologia della condizione giovanile al corso di Licenza in Teologia presso l’Istituto Teologico San Tommaso; dal 2019, direttore della Biblioteca Diocesana del Seminario Vescovile.
1) Ermanno Pavesi, Prefazione a Daniele Fazio, In difesa dell’umano. La filosofia di Karol Wojtyła,D’Ettoris Editori, Crotone 2021, p. 7.
2) L’incontro è riferito in George Weigel, Testimone della speranza, trad. it., Mondadori,Milano 1999, p. 304.
3) D. Fazio, op. cit., p. 19.
4) Giovanni Paolo II, Omelia durante la Santa Messa di inizio del pontificato, del 22 ottobre 1978, n. 5.
5) Idem, Lettera enciclica «Redemptor hominis» all’inizio del ministero pontificale, del 4 marzo 1979, n. 10.
6) D. Fazio, op. cit.,p. 60.
7) Ibid.,p. 20.
8) Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Redemptor hominis» all’inizio del ministero pontificale, cit., n. 1
9) D. Fazio, op. cit., p. 20.
10) Karol Wojtyła, Amore e responsabilità, trad. it., Marietti, Casale Monferrato (Alessandria) 1980, p. 64.
11) D. Fazio, op. cit., p. 20.
12) Sul concetto di persona e sulla riflessione antropologica di san Giovanni Paolo II, cfr. Alessandro Barca, La persona al centro. Modulazioni pedagogiche dal Magistero di Giovanni Paolo II, Vivere In, Monopoli (Bari) 2009; Graziano Borgonovo, Karol Wojtyla/Giovanni Paolo II: una passione continua per l’uomo,Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2003; Rocco Buttiglione, Il pensiero dell’uomo che divenne Giovanni Paolo II,Mondadori, Milano 1998; Teodoro Di Bella, La centralità della persona nella filosofia fenomenologica di Karol Wojtyla,Collegio San Lorenzo di Brindisi, Roma 2015; Lucetta Scaraffia, La persona come pietra angolare,in L’Osservatore Romano, 18/19-4- 2011; Antonio Staglianò, Ecce Homo. La persona, l’idea di cultura e la «questione antropologica» in Papa Wojtyla, Cantagalli, Siena 2008; Tadeus Styczen, Comprendere l’uomo. La visione antropologica di Karol Wojtyla,trad. it., Lateran University Press, Roma 2005.
13) K. Wojtyła, Persona e atto, trad. it., Bompiani, Milano 2001, p. 53.
14) Cfr. ibid.,p. 87.
15) R. Buttiglione, op. cit., p. 211.
16) Cfr. L’arricchimento della fede. Elaborazione dei pensieri del cardinale Karol Wojtyla sul rinnovamento conciliare, a cura del gruppo di studio sinodale della parrocchia di Maria Regina della Corona polacca a Nowa Huta, sulla base del volume Alle fonti del rinnovamento. Studio sull’attuazione del Concilio vaticano II di Karol Wojtyła, presentazione di [don] Francesco Ricci [1930-1991], prefazione di Halina Bortnowska, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1981.
17) Cfr. R. Buttiglione, op. cit., p. 228.
18) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo «Gaudium et spes», nn. 12-22.
19) Ibid., n. 12.
20) Ibid., n. 22.
21) Idem, Alle fonti del rinnovamento. Studio sull’attuazione del Concilio Vaticano II, prefazione di Camillo Ruini, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2007, p. 21. Si tratta del testo base del Sinodo diocesano di Cracovia, per una traduzione del Concilio che portasse a un cambiamento vitale delle comunità cristiane, non solo attraverso il pensiero, ma anche e soprattutto con gli atteggiamenti. Wojtyła intuiva così che la dimensione prioritaria della pastorale della Chiesa è culturale: riguarda la coscienza dell’uomo e l’ethos susseguente.
22) D. Fazio, op. cit., p. 22.
23) Ibidem.
24) Ibid., p. 23.
25) Giovanni Paolo II, Trittico Romano. Meditazioni,trad. it., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 15.