Giovanni Cantoni, Cristianità n. 307 (2001)
1. Il Martedì Nero
Martedì 11 settembre 2001: un attacco terroristico ha colpito diversi obiettivi negli Stati Uniti d’America. Mentre si procede all’identificazione dei colpevoli nella prospettiva della loro punizione, il dibattito, così come proposto dai mass media, pare caratterizzato piuttosto dal timore d’identificarli che da quello di vedere colpevoli di grandi crimini sottrarsi alla giusta punizione anche terrena.
Infatti, mentre si ostentano giudizi tranchant sull’accaduto e ci si spreca in poco onerose manifestazioni di solidarietà, si offrono al ludibrio universale capri espiatori, primo fra tutti quell’Osama bin Laden — e la sua organizzazione Al-Qaeda, “la Base” (1) —, a proposito del quale non si manca mai di ricordare — dando così prova di maliziosa grossolanità — che venne addestrato e pagato dal governo statunitense all’epoca della guerra in Afghanistan, negli anni 1980. Infatti non si ricorda correttamente che non fu pagato nel senso di “comperato”, quasi si trattasse di un mercenario, per combattere l’Armata Rossa, ma giustamente sostenuto, con altri, nella lotta — che avrebbe comunque condotto — contro l’Impero del Male. O non si doveva sostenere qualcuno che intendeva difendersi dai rossi — per l’occasione divenuti russi, cioè “occidentali” —, ma evitare accuratamente di aiutarlo, se non addirittura combatterlo o tradirlo, come nel caso del primo ministro, poi presidente, Ngô Dinh Diem (1901-1963) nel Vietnam del Sud degli anni 1960? Fu imprudenza sostenere la guerriglia anticomunista afghana, principalmente rappresentata e guidata da Ahmad Shah Massud (1953-2001), senza immaginare che dopo, negli anni 1990, sarebbero venuti i talebani, fra le cui “gesta” si conta appunto l’assassinio del Leone del Panshir? Provocatoriamente: fu imprudenza da parte degli Alleati sostenere i partigiani, negli anni 1940, alla fine della seconda guerra mondiale, senza immaginare che dopo, negli anni 1970, sarebbero venute le Brigate Rosse?
Anche se i “servizi” fossero corporazioni profetiche — e per certo non le sono —, varrebbe comunque la regola dell’affrontare i nemici uno alla volta: quindi, a grandi linee, il comportamento tenuto nell’occasione fu la sola saggezza concessa dalla situazione.
Dunque, tutti — bontà loro — si dichiarano d’accordo nel sostenere il perseguimento degli esecutori materiali del misfatto. Ma, se si passa a inventariare quanti concepiscono anche il perseguimento degli Stati direttamente o indirettamente coinvolti nell’alimentazione — in armi, in denaro, in spazi addestrativi e in “santuari” — di terroristi, tale numero si riduce vistosamente. Infine, se qualcuno cerca chi sia disposto a immaginare un’adeguata messa in guardia propagandistica dell’opinione pubblica occidentale e cristiana rispetto a una “cultura”, quella islamica, quindi a far emergere anche la componente religiosa dell’accaduto, la sua ricerca si fa angosciante e, se non proprio infruttuosa, certo consegue esiti quantitativamente poco rilevanti.
Le componenti di questi atteggiamenti sono di varia origine e di diversa profondità. Merita tentare una loro identificazione.
2. La condanna “a costo zero”
In primo luogo prendo in esame la facilità con cui si enunciano condanne, certi del “costo zero” di tali enunciazioni. La storia di questa ridotta “responsabilità” polemica è lunga: comincia con l’invenzione e l’uso delle armi da fuoco, che permettono di uccidere senza vedere, quindi senza guardare negli occhi la vittima. Che cosa costa dichiarare una solidarietà — così come insultare e, al limite, uccidere — attraverso i media, a distanza, in assenza del “pagamento” immediato del corrispettivo materiale, fisico, di tale solidarietà e di tale aggressione, cioè la vista dell’uomo ucciso, offeso? Lo faceva notare tanti anni fa Papa Paolo VI (1963-1978) rispondendo alla denuncia dei marxisti e dei cattolici marxisteggianti circa il presunto “ritardo” dell’intervento cattolico a fronte dei guasti prodotti dalla Rivoluzione industriale senza adeguato controllo politico e istituzionale. Quando altri imbrattava carte incitando all’unione dei proletari di tutto il mondo, pur nell’apprezzamento acritico e progressistico della stessa Rivoluzione industriale (2), chi s’interessava realmente, concretamente dei proletari (3)? Com’è ormai tragicamente noto, l’irrealismo di partenza ha portato alla socializzazione finale della miseria (4) e alla vergogna del secolo XX (5).
3. Dalla guerra al terrorismo alla guerra ai terroristi e ai loro complici, anche istituzionali
Anche quando si riconosce la novità epocale costituita dal terrorismo — almeno nella sua versione di massa — e il suo innegabile salto di qualità, si “gioca” in qualche modo sul concetto di guerra come scontro fra Stati per ostacolare o almeno per squalificare la sua dichiarazione. Infatti, poiché si tratta per certo di una guerra sui generis, di una “guerra di tipo nuovo”, in quanto uno dei protagonisti, per esempio Al-Qaeda, è una sorta di ONG, un’organizzazione non governativa “a fin di male” — così, felicemente, lo storico militare Virgilio Ilari (6) —, perché non attendere, prima di scatenarla, la sua definizione giuridica nazionale e internazionale? Il “principio del non intervento” non ha forse giocato un ruolo analogo nel secolo XIX per risparmiare i focolai rivoluzionari nei diversi paesi d’Europa?
4. I “chierici traditori” e la corretta descrizione della “cultura islamica”
In tema di terrorismo, qualcuno — il filosofo on. Lucio Colletti — ha detto molto intelligentemente e molto onestamente che il terrorismo è un frutto di una deriva del liberalismo, quella relativistica: “Già da tempo il terrorismo è, e sempre più sarà, un fenomeno endemico dentro le società liberali occidentali” (7). Le conseguenze del fenomeno degenerativo passano dal fatto al giudizio su di esso, dalla sua pratica minoritaria all’inquinamento dell’opinione pubblica a suo proposito: “La società liberale sta degenerando da decenni verso forme di relativismo. Il che comporta una forma, se non di tolleranza, di comprensione verso tutti i fenomeni terroristici ed eversivi, sia che inalberino le bandiere verdi dell’Islam sia quelle rosse del Che Guevara [Ernesto (1928-1967)]. Io ritengo che questa forma di comprensione equivalga di fatto a una forma d’incitamento” (8); e di nuovo: “Io insisterei sulla degenerazione del liberalismo nel relativismo, dalla quale nascono forme di comprensione compassionevole che diventano indirettamente forme di approvazione e di incitamento” (9).
La diagnosi è puntuale e, quanto al fatto, regge perfettamente per relazione al mondo occidentale e cristiano. Ma, sempre quanto al fatto, si può però dire altrettanto del terrorismo in una cultura caratterizzata da parametri religiosi diversi da quelli ebraico-cristiani? Per fare dei due terrorismi — quello occidentale e quello islamico — realtà omologabili basta l’omogeneità dei mezzi — gli strumenti più sofisticati della tecnologia di guerra e non — e dei fini, identificati da ogni polemologo nel terrorizzare l’avversario allo scopo di togliergli la volontà di combattere?
A questo punto, osservo di passaggio come i due terrorismi in questione coprano molto verosimilmente i ruoli che lo storico inglese Arnold Joseph Toynbee (1889-1977), descrivendo la disgregazione della civiltà, attribuisce rispettivamente al “proletariato interno” e al “proletariato esterno” (10) come elementi caratteristici dell’“epoca di torbidi” che la precede e l’“interregno” che la segue e in cui si prepara una nuova civiltà (11).
Quindi passo a segnalare il fatto che ai “cattivi maestri” occidentali e cristiani, che hanno promosso e continuano a promuovere variamente la deriva relativistica, si affiancano, nell’Occidente cristiano, i “chierici traditori” (12), “cattivi informatori” riguardo all’islam (13). Che hanno fatto e, spudoratamente — da professionisti della disinformazione o da criptomusulmani (14) — continuano a fare, anche dopo l’11 settembre 2001, l’inverosimile.
a. Lo sforzo — il jihad — sta anzitutto nell’impedire la comprensione del fatto per cui, se è certamente vero che non tutti i musulmani sono terroristi, i terroristi islamici non sono “cosiddetti” o “sedicenti” tali, ma sono musulmani a pieno titolo, né — soprattutto — vi è alcuno che possa loro negare detta qualifica. Ma non basta fare della cattiva retorica, dalla quale siamo invitati a chiederci: “Possibile che un miliardo di persone sia costituito da terroristi?”. Infatti, la domanda da porsi suona diversamente: “Per questo miliardo di persone la pratica terroristica è lecita, ancorché personalmente non esercitata?”.
Si potrebbe incalzare, per rafforzare analogicamente il quesito precedente: “Possibile che le nazioni che hanno dato alla cultura universale rispettivamente Lev Nikolaevic Tolstoj (1828-1910) e Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821-1881) da un canto e Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) e Ludwig van Beethoven (1770-1827) dall’altro abbiano dato i natali anche a Vladimir Il’lic Ulianov, detto Lenin (1870-1924), e ad Adolf Hitler (1889-1945)?”. La risposta è nota.
Oppure, in altra prospettiva, si potrebbe far osservare che non mancano certo i cristiani che in cuor loro — ma non troppo — giudicano “esagerata” la rivendicazione da parte di santa Caterina da Genova (1447-1510) di una sorta di “diritto alla suzione” delle piaghe dei lebbrosi, pur non osando affermare che non si tratta non solo di una cristiana, ma neppure di una santa (15).
Così si può pensare sia il terrorista agli occhi di tanti musulmani “comuni”: quello che fa quanto si può fare, talora si deve, ma che loro, i musulmani “comuni”, non vogliono, non sanno o non osano fare.
Né basta, a questo punto, vantare conoscenze filologicamente accurate del Corano o far appello ad autorità di scarso se non nullo rilievo strutturale, emettendo — come l’arabista Sergio Noja Noseda — la propria fatwa, secondo cui i terroristi che si votano al suicidio “per l’Islam sono peccatori perché il suicidio non è ammesso” (16); quindi, dopo aver affermato che “i leader estremisti e le autorità religiose che li appoggiano fanno un uso politico della fede” (17), lo stesso studioso si scioglie in una sentenza significativa: “Molti di questi fanatici non hanno una conoscenza profonda dei testi sacri” (18); e conclude: “Non scontro di civiltà dunque né di religione. È soltanto politica” (19). Mi permetto dell’ironia, di cui chiedo anticipatamente scusa a Noja Noseda nel caso la sua opinione sia stata mal riferita dai media, cosa tutt’altro che impossibile; ecco dunque intravvedersi, all’orizzonte, la soluzione “pacifica” del problema: forse sta nel mandare i musulmani a lezione di Lingua e Letteratura Araba Moderna all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano? Anche se si corrono rischi: per esempio, che venga loro insegnato, alla scuola di Papa Pio XI (1922-1939) (20), con sentenza ripresa dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) (21), che la politica è la massima espressione di carità nei confronti del prossimo e che viene immediatamente dopo la carità verso Dio. Comunque, che fare se qualcuno, invece d’iscriversi all’Università Cattolica, vuol frequentare corsi di pilotaggio negli Stati Uniti d’America, pagando regolarmente la retta oppure, addirittura, vincendo una borsa di studio?
A Noja Noseda, che parla di uso politico della religione, si affianca padre David Maria A. Jäger O.F. M., che incita a non credere al riferimento religioso da parte dei terroristi con un esempio decisamente debole, perché non coglie l’aspetto strutturale: “Sarebbe come se le rivendicazioni da parte di Milosevic e dei suoi di rappresentare gli interessi del cristianesimo nei Balcani venisse presa sul serio, come se il cristianesimo potesse davvero essere ritenuto responsabile dei delitti contro l’umanità compiuti dalle bande che hanno imperversato nei Balcani” (22). Come non osservare che a screditare Slobodan Milosevic vi è almeno un patriarca serbo-ortodosso, per quanto debole e incerto, mentre non esiste niente di equivalente nell’islam, dove i governi sono decisamente più moderati del corpo sociale e, loro sì, fanno un uso politico della religione per garantirsi il consenso sociale, mentre la gente, le grandi masse, chiede piuttosto un uso religioso della politica?
b. Quindi, si punta ad accreditare la tesi per cui si tratta di una “cattiva minoranza” frammista a una “buona maggioranza” (23). Tanto per fare un esempio, mi chiedo: è una minoranza quella che vince le elezioni in Algeria? E il politologo e islamologo francese Olivier Carré, che sostiene l’esistenza di un “islam laico”, non ammette forse che, nell’attualità, ci si trova di fronte a una “ortodossia deviante” (24), cioè — posto che “ortodosso” equivale a “maggioritario” (25) — a una “maggioranza deviante”?
c. Infine, si tenta di accreditare la tesi secondo cui l’accaduto è frutto di un’irresponsabile indifferenza a fronte di problemi irrisolti e incancreniti, come quelli che caratterizzano la situazione palestinese e quella irachena. Ebbene — sempre per esempio —, è assimilabile la situazione dell’Algeria a quelle della Palestina e dell’Iraq?
Quindi, non è per nulla scorretto dire e far sapere che il mondo islamico è reale, in tesi, e possibile, in ipotesi, brodo di cultura di terrorismo islamico; e, sia detto di passaggio, tener presente questa condizione affrontando il problema dell’immigrazione, bisognosa di criteri di selettività nella prospettiva del bene comune (26).
Ma l’islam è una religione, dirà qualcuno a questo punto. Certo, ma se la religiosità è una buona, naturale e insopprimibile esigenza dell’essere umano, la religione, cioè il modo attraverso cui la religiosità si esprime, può e deve essere giudicata non certo sulla base di un’altra religione — un giudizio in cui è garantita la condanna —, ma dalla ragione e sulla base dei vantaggi e dei danni che produce sulla convivenza umana e sui suoi interessi irrinunciabili (27).
Quindi — di nuovo per esempio e per relazione anche ad ambienti cattolici —, perché aggredire o farsi complice di chi aggredisce questo o quel gruppuscolo neoreligioso e poi rifiutarsi di portare il giudizio sull’islam, magari facendo appello alla civiltà islamica e dimenticando il suo carattere vampiresco nei confronti delle culture soggiogate? A questo proposito, perché non si ricorda mai la tesi non sospetta di un dotto musulmano, oriundo yemenita come bin Laden, ibn Khaldûn (1332-1406), secondo cui “si noterà che la civiltà è sempre danneggiata in modo irreparabile dall’urto della conquista araba: gl’insediamenti si sono spopolati e la terra è divenuta soltanto terra” (28)? Perché viene accettato relativisticamente l’islam dalle possibili ricadute terroristiche? Perché i musulmani sono molti? O perché a casa loro è stato trovato un tesoro nascosto, il petrolio, dei cui proventi per altro essi si servono scarsamente, per dire il meno, per migliorare le proprie condizioni di vita? Oppure perché si richiamano ad Abramo? Ma i testimoni di Geova non si richiamano forse a Gesù Cristo? Cosa manca loro? Forse che i rapporti fra Muhammad (570 ca.-632) e Abramo sono più certi di quelli fra Charles Taze Russell (1852-1916) e Gesù Cristo?
5. La coscienza della Grande Europa
Ergo, seguendo la scansione dei problemi, in primo luogo mi sembra di poter dire che gli avversari veri del terrorismo in genere e di quello islamico in specie potranno essere riconosciuti dall’impegno materiale a fianco dell’auspicabile reazione degli Stati Uniti d’America.
In secondo luogo, credo vada tenuto ben presente che l’identificazione dei colpevoli e dei loro complici, di qualunque dimensione istituzionale siano, comporta l’ipotesi della loro punizione, e l’irrogazione o meno della pena irrogabile non è indifferente: infatti, la mancata irrogazione di tale pena si presta solamente alla lettura peggiore, cioè a venire interpretata — non solo nel mondo islamico — come segno e come conseguenza verificata del successo nell’opera di terrorizzazione.
Infine, in terzo luogo, lo “scontro delle culture” in atto presuppone e richiede, in Occidente come altrove, una corretta descrizione delle “culture” concorrenti con quella occidentale e cristiana, “culture” rispetto alle quali, esclusa la falsa testimonianza, costituisce giudizio temerario non solo dire più del vero, ma anche affermare meno di esso. E, politicamente parlando, non si tratta solamente di giudizio temerario, ma di tradimento. Non si tratta di far propria “una sorta di chiamata alla guerra totale dell’Occidente contro l’islam”, secondo lo stesso padre Jäger (29), “nocivo e inaccettabile […] appello già lanciato a suo tempo da Samuel Huntington” (30); infatti tale appello alla lotta viene falsamente attribuito dal padre francescano al geopolitologo americano, in quanto non è presente nella sua opera, che si limita a rilevare — con dovizia di prove — l’esistenza da sempre di diverse culture, e a mettere in evidenza il fatto che tali culture sono venute occupando — meglio: hanno giustamente ripreso a occupare —, dopo il 1989 e dopo il crollo istituzionale delle ideologie, il luogo tenuto da queste ultime. Perciò, negando la prospettiva di Huntigton si negano piuttosto i fatti che non una loro interpretazione, e dal multiculturalismo relativistico, per il cui fronteggiamento sembrerebbe bastare la pubblicazione di un vocabolario, si cade in un relativismo individualistico, in fondo al quale sta un altro terrorismo, quello ben colto da Colletti e che ho chiamato — per intenderci — terrorismo occidentale. E nella lotta contro il terrorismo occidentale s’impone di ostacolare la deriva relativistica del liberalismo attraverso una corretta risposta al quesito — sempre richiamato da Colletti —, in cui riaffiora un vecchio problema che, a suo dire, il pensiero liberale si è posto sin dall’inizio e che spesso — aggiungo io —, soprattutto nella sua versione europea, tale pensiero ha risolto male: “La libertà dev’essere estesa anche ai negatori della libertà?” (31). Si tratta di un problema la cui soluzione non solo è sempre storicamente condizionata — il che è ovvio —, cioè non può essere astratta, ma va tematicamente contestualizzata, dunque confrontata con la cultura circostante.
A questo punto l’orizzonte si apre sul riconoscimento dei diritti dell’uomo, sulla loro fondazione prima della loro dichiarazione (32), quindi sul loro sanzionabile rispetto. Se il luogo primo di tali riconoscimento, fondazione, dichiarazione e rispetto configura la Grande Europa (33), il mondo “creato” (34) nei diversi continenti dall’uomo occidentale e cristiano e dalla sua cultura, la consapevolezza di tale Grande Europa può trovare spunto nella tragedia consumata negli Stati Uniti d’America ed espressione nella comune volontà di fronteggiarla.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. Esercito, servizi, banche e uffici stampa di Osama bin Laden, in Il Foglio quotidiano, Milano 13-9-2001, che fa stato di studi comparsi sulla prestigiosa rivista britannica Jane’s Intelligence Review; cfr. pure Abd el Fattah, “Attenti a cercare solo lo sceicco Osama, non è lui la mente centrale del terrorismo”, intervista a cura di Umberto De Giovannangeli, in l’Unità, Roma 24-9-2001; nonché Andrea Morigi, Il manuale dello sterminio, con il dossier I terroristi di Allah, in Libero, Milano 18-9-2001.
(2) Cfr. Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895), Manifesto del partito comunista, 1848, trad. it. con testo tedesco a fronte, con introduzione di Eric J. Hobsbawm, Rizzoli, Milano 1998, passim ma soprattutto pp. 46-87.
(3) Cfr. Paolo VI, Allocuzione per la beatificazione del Venerabile Servo di Dio Leonardo Murialdo, sacerdote, fondatore della Pia Società Torinese di San Giuseppe, del 3-11-1963, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. I, pp. 283-284.
(4) Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus annus nel centesimo anniversario della Rerum Novarum, del 1°-5-1991, n. 12.
(5) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su alcuni aspetti della “Teologia della Liberazione” “Libertatis Nuntius“, del 6-8-1984, XI, n. 10.
(6) Cfr. Virgilio Ilari, “L’Europa non può stare alla finestra”, intervista a cura di Annalisa Terranova, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, Roma 23-9-2001.
(7) Lucio Colletti, in Il Foglio quotidiano, 13-9-2001.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Cfr. Arnold J. Toynbee, Le civiltà nella storia, compendio di David Churchill Somervell (1885-1965), trad. it., Einaudi, Torino 1950, pp. 487-542.
(11) Cfr. ibid., pp. 35-39.
(12) Cfr. Julien Benda (1867-1956), Il tradimento dei chierici, trad. it., Torino, Einaudi 1977.
(13) Cfr. il mio Aspetti in ombra della legge sociale dell’islam. Per una critica della “vulgata” “islamicamente corretta, con prefazione di Samir Khalil Samir S.J., Centro Studi Arcangelo Cammarata, San Cataldo (Caltanissetta) 2000.
(14) Cfr., per esempio, Franco Lorenzo Cardini, La tradizione e il tradizionalismo, in Religioni e Sette nel mondo, organo del GRIS, il Gruppo di Ricerca e di Informazione sulle Sette, anno 4, numero 4, Bologna dicembre 1998, pp. 7-9, dove l’autore passa dal filoislamismo, che pratica su giornali di ispirazione cristiana, al criptoislamismo — infatti non si dice musulmano —, contraddicendo, con una tipica tesi islamica, il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 67, su una rivista, che è espressione ufficiale di un organismo riconosciuto dalla Conferenza Episcopale Italiana.
(15) Cfr. Gian Domenico Gordini, Caterina da Genova, santa, in Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense, vol. III, Roma 1963, coll. 984-989 (col. 987).
(16) Sergio Noja Noseda, “I terroristi sono peccatori, perché l’Islam condanna il suicidio”, intervista a cura di Cristina Taglietti, in Corriere della Sera, Milano 13-9-2001.
(17) Ibidem.
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Cfr. Pio XI, Allocuzione ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, del 12-12-1927, in Discorsi di Pio XI, a cura di Domenico Bertetto S.D.B. (1914-1988), vol. I, 1927-1928, Società Editrice Internazionale, Torino 1960, pp. 742-746 (p. 745).
(21) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo “Gaudium et spes”, del 7-12-1965, n. 75.
(22) David Maria A. Jäger O.F.M., Il diavolo, probabilmente, in Tempi. Settimanale in vendita con “il Giornale”, anno 7, n. 37, Milano 13/19-9-2001, pp. 6-7 (p. 7).
(23) Cfr. F. Cardini, Uno spettro s’aggira però niente abbagli, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 13-9-2001.
(24) Cfr. Olivier Carré, L’Islam laico, trad. it., il Mulino, Bologna 1997, passim, soprattutto pp. 31-38.
(25) Cfr. Antonella Straface, Islam: ortodossia e dissenso, Edizioni Lavoro, Roma 1998, p. 7, nota 1.
(26) Cfr. mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di Como, La sottile confusione tra politica e religione, in il Giornale, Milano 17-9-2001; card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, Prospettive teologiche e pastorali in tema di dialogo e d’immigrazione, del 20-9-2001, in questo stesso numero di Cristianità, pp. 8-10; e don Andrea Pacini, “All’islam serve una rivoluzione culturale”, intervista a cura di Giorgio Paolucci, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 22-9-2001.
(27) Cfr. la mia Nota a proposito della libertà religiosa, in G. Cantoni e Massimo Introvigne, Libertà, religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”. Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996, pp. 7-58, soprattutto pp. 32-39; cfr. pure M. Introvigne, Il fantasma della libertà. Le controversie sulle “sette” e i nuovi movimenti religiosi in Europa, in Cristianità, anno XXV, n. 264, Piacenza aprile 1997, pp. 15-17.
(28) Cfr. Ibn Khaldûn, Discours sur l’Histoire universelle. “Al-Muqaddima”, libro I, capitolo II, § 25, trad. francese, con presentazione e note di Vincent Monteil, 3a ed. riveduta, Sindbad, Parigi 2000, p. 232; mi pare opportuno far notare che il traduttore dall’arabo è un convertito all’islam con il nome di Mansour, “vincitore”.
(29) D. Jäger, art. cit., p. 7.
(30) Ibidem; il riferimento è a Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it., Garzanti, Milano 2000, di cui vedi soprattutto le pp. 306-319.
(31) Lucio Colletti, cit.
(32) Cfr. Alberto Caturelli, I diritti dell’uomo e il futuro dell’umanità, trad. it., in questo stesso numero di Cristianità, pp. 11-18; e Victorino Rodríguez y Rodríguez O.P. (1926-1997), La “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” di fronte alla morale cattolica, in Cristianità, anno XXVI, n. 283-284, novembre-dicembre 1998, pp. 15-27.
(33) Cfr. Henri Brugmans (1906-1997), Magna Europa, in Les Cahiers de Bruges. Recherches européennes, anno 5°, I, Bruges marzo 1955, pp. 108-115, soprattutto p. 115.
(34) Calco l’espressione forte su Gilberto de Mello Freyre (1900-1987), O mundo que o Português criou. Aspectos das relações sociaes e de cultura do Brasil com Portugal e as colonias portuguesas, con prefazione di António Sérgio de Sousa (1883-1969), José Olympo, Rio de Janeiro 1940.