Giovanni Paolo II, Cristianità n. 241-242 (1995)
Lettera apostolica Tertio Millenio adveniente circa la preparazione del Giubileo dell’Anno 2000, del 10-11-1994, n.36.Titolo redazionale.
Indispensabile riflessione dei cristiani sui difetti della propria vita religiosa, morale e sociale alle soglie del Terzo Millennio
Un serio esame di coscienza è stato auspicato da numerosi Cardinali e Vescovi soprattutto per la Chiesa del presente. Alle soglie del nuovo Millennio i cristiani devono porsi umilmente davanti al Signore per interrogarsi sulle responsabilità che anch’essi hanno nei confronti dei mali del nostro tempo. L’epoca attuale, infatti, accanto a molte luci, presenta anche non poche ombre.
Come tacere, ad esempio, dell’indifferenza religiosa, che porta molti uomini di oggi a vivere come se Dio non ci fosse o ad accontentarsi di una religiosità vaga, incapace di misurarsi con il problema della verità e con il dovere della coerenza? A ciò sono da collegare anche la diffusa perdita del senso trascendente dell’esistenza umana e lo smarrimento in campo etico, persino nei valori fondamentali del rispetto della vita e della famiglia. Una verifica si impone pure ai figli della Chiesa: quanto sono anch’essi toccati dall’atmosfera di secolarismo e relativismo etico? E quanta parte di responsabilità devono anch’essi riconoscere, di fronte alla dilagante irreligiosità, per non aver manifestato il genuino volto di Dio, a causa dei «difetti della propria vita religiosa, morale e sociale» [CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 19]?
Non si può infatti negare che la vita spirituale attraversi, in molti cristiani, un momento di incertezza che coinvolge non solo la vita morale, ma anche la preghiera e la stessa rettitudine teologale della fede. Questa, già messa alla prova dal confronto col nostro tempo, è talvolta disorientata da indirizzi teologici erronei, che si diffondono anche a causa della crisi di obbedienza nei confronti del Magistero della Chiesa.
E quanto alla testimonianza della Chiesa nel nostro tempo, come non provare dolore per il mancato discernimento, diventato talvolta persino acquiescenza, di non pochi cristiani di fronte alla violazione di fondamentali diritti umani da parte di regimi totalitari? E non è forse da lamentare tra le ombre del presente, la corresponsabilità di tanti cristiani in gravi forme di ingiustizia e di emarginazione sociale? C’è da chiedersi quanti, tra essi, conoscano a fondo e pratichino coerentemente le direttive della dottrina sociale della Chiesa.
L’esame di coscienza non può non riguardare anche la ricezione del Concilio, questo grande dono dello Spirito alla Chiesa sul finire del secondo millennio. In che misura la Parola di Dio è divenuta più pienamente anima della teologia e ispiratrice di tutta l’esistenza cristiana, come chiedeva la Dei Verbum? È vissuta la liturgia come «fonte e culmine» della vita ecclesiale, secondo l’insegnamento della Sacrosanctum Concilium? Si consolida, nella Chiesa universale e in quelle particolari, l’ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del Popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l’autentico spirito del Vaticano II? Una domanda vitale deve riguardare anche lo stile dei rapporti tra Chiesa e mondo. Le direttive conciliari — offerte nella Gaudium et spes e in altri documenti — di un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato tuttavia da un attento discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità, restano valide e ci chiamano a un impegno ulteriore.
Giovanni Paolo II