
Intervista a Mons. Paolo Giulietti, Arcivescovo di Lucca e Presidente della Commissione Episcopale per la famiglia, i giovani e la vita della C.E.I., sulla legge della Regione Toscana approvata l’11 febbraio scorso che – così recita nel titolo – regola “i requisiti, la procedura, i tempi e le modalità per accedere al suicidio assistito” sull’ (asserito) presupposto di quanto stabilito dalla sentenza n. 242/2019 (cd. caso “Cappato-DJ Fabo””).
Tale sentenza ha dichiarato l’inapplicabilità dell’art. 580 del cod. pen. (che contempla il reato di “istigazione o aiuto al suicidio”) nei confronti di colui che abbia aiutato una persona a suicidarsi in presenza di 4 tassative condizioni (da accertarsi, secondo la nuova legge regionale, mediante una commissione medica ad hoc istituita) nel richiedente il suicidio e, precisamente: una patologia irreversibile, la dipendenza da trattamenti vitali; un stato di sofferenza psico-fisica ritenuta intollerabile e una consapevole manifestazione di volontà suicidaria.
La legge, che sarà pubblicata nella G.U. entro 10 gg. dall’approvazione ed entrerà in vigore dopo 20 giorni dalla promulgazione, stabilisce anche il termine di 47 giorni dalla presentazione della domanda per completare l’iter burocratico che si concluderà con l’iniezione letale praticata gratuitamente all’interno della struttura sanitaria al richiedente l’aiuto al suicidio.
Nel termine di 60 gg. dalla sua pubblicazione nel B.U.R.T. tale legge, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione può essere impugnata dal Governo dinanzi alla Corte Costituzionale posto che la materia della sanità rientra tra quelle di competenza concorrente Stato-Regioni ai sensi dell’art. 117 della Costituzione della Repubblica, ma soprattutto in quanto le condizioni di capacità delle persone (a maggior ragione di quelle più fragili) cui ineriscono diritti soggettivi tutelati anche penalmente è tassativamente riservata alla legislazione nazionale.
Ringraziamo S.E. l’Arcivescovo Giulietti per questo contributo di chiarezza e di profondità dottrinale non solo per i cattolici ma per chiunque voglia tenere ancora acceso quel senso universale di autentica solidarietà umana per cui un tempo, peraltro non lontano, anche i più convinti laici affermavano pubblicamente “non possiamo non dirci cristiani”.