Continuano le interviste che Alleanza Cattolica propone ai vescovi italiani per conoscere come la Chiesa sta rispondendo all’emergenza sanitaria prodotta dalla diffusione del Covid19 e alle gravi conseguenze sulla vita della popolazione. Risponde il vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo
D. Ec.za mons. Spinillo, molti fedeli, ma anche cittadini non particolarmente praticanti, sono preoccupati davanti al crescere del numero dei contagiati e dei morti a causa del coronavirus e d’altra parte dal protrarsi della impossibilità di partecipare alle Messe. Eppure la Chiesa non ha rinunciato al suo compito e soprattutto nelle diocesi si sforza di essere vicina ai fedeli il più possibile. Ci vuole raccontare cosa avviene nella sua?
La nostra Chiesa diocesana di Aversa non ha rinunciato alla sua missione di annunzio del Vangelo e di condivisione fraterna della carità, nel nome del Signore Gesù Cristo, con tutti gli uomini con cui vive questo particolare momento storico. Insieme con i confratelli Sacerdoti non solo sento la preoccupazione, ma anche un profondo dolore per la pandemia che sta mietendo tante vittime ed è causa di tante sofferenze. In questa situazione, l’aver dovuto rinunciare all’ordinaria vita della comunità cristiana e alla celebrazione sacramentale dei Misteri della fede, soprattutto nel tempo quaresimale e nell’approssimarsi della Pasqua, è causa di grande tristezza. Siamo, però, consapevoli che, se forse mai nella storia è accaduto che le celebrazioni pubbliche del culto cristiano siano state sospese a causa di calamità naturali o di epidemie, questo non è un segno di incertezza o di debolezza della religiosità ma, al contrario, che questo, oggi, alla luce delle conoscenze che la scienza ci offre, può essere segno della possibilità di maturare scelte e azioni, atteggiamenti di fede che ci chiamano a vivere l’annuncio e la testimonianza della verità, della carità e dell’amore del Signore in una modalità più attenta alla situazione che stiamo vivendo, in piena partecipazione alla presente sofferenza dell’umanità. In questa direzione, in comunione con tutta la Chiesa italiana, si sta muovendo anche la nostra Diocesi. Grazie all’uso sapiente dei mezzi di comunicazione, tutte le Parrocchie sono in costante dialogo con i fedeli membri di ciascuna comunità, e si è sviluppata un’efficace rete di preghiera e di catechesi. Abbiamo comunque lasciato aperte le chiese per permettere qualche momento di preghiera personale e garantire la presenza dei sacerdoti. Significativa forma di vicinanza ai fedeli, e più in generale anche alla società, è sicuramente l’attività caritativa che, nella nostra Diocesi, attraverso i tanti volontari in Caritas e in altre organizzazioni, comprende ospitalità quotidiana di numerose persone senza fissa dimora, sostegno alla vita di ancora più numerose famiglie bisognose, attenzione, ascolto e accoglienza di tante situazioni di bisogno, purtroppo acuite dalla realtà del tempo presente.
D. Oltre all’essere accanto ai fedeli e a tutti i cittadini che soffrono, la Chiesa appare, purtroppo, emarginata dal dibattito pubblico seguito al diffondersi dell’epidemia. Si tratta quasi esclusivamente degli aspetti medici, della prudenza che bisogna avere rimanendo a casa, delle conseguenze economiche, tutte cose importanti e sacrosante, ma non si accenna quasi mai agli aspetti antropologici, quasi che l’uomo fosse solo una macchina produttiva dedita al consumo. Esiste una “questione culturale” che appare anche in questa circostanza, e se sì come interverrebbe sul punto?
La difficoltà a vivere un senso, a cercare il valore delle situazioni senza rimanere imprigionati nelle spire del solo bisogno di possedere o di dominare ciò che serve alla propria sopravvivenza, è la tentazione con cui sempre l’umanità ha dovuto confrontarsi. Cercare un significato per ciò che accade è sicuramente più impegnativo rispetto al solo tentare di usarlo. Cercare un significato, infatti, non è il semplice investigare per trovare una spiegazione, è, invece, il mettersi in dialogo con la realtà, è entrare nei suoi dinamismi, è comprendere quale domanda ci viene posta perché possiamo diventare partecipi del vivere e protagonisti del cammino. Andare alla ricerca di una spiegazione è come tentare ancora di usare la realtà e, purtroppo, anche le persone. Aprirsi al dialogo con la realtà e le persone è proprio di chi non si accontenta di rimanere in sé stesso, soddisfatto e soffocato dal proprio egoismo, ma in ogni cosa scopre una vitalità che trascende la situazione, sente di poter dialogare con la presenza di Colui che non è soggetto al tempo o allo spazio, ma è il Signore della vita, è Colui che ha posto il segno della sua presenza in tutto ciò che ha chiamato a partecipare alla vita. Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato che “… i cristiani affermano che tutte le attività umane, che sono messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall’amore disordinato di sé stessi, devono venire purificate ed essere rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo”. Il Cristo è Colui che redime l’umanità dal peccato e, per la presenza del suo Spirito ispira, purifica e fortifica “quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita” (GS 37-38). La fede nel Cristo, la luce del suo Vangelo, aprono l’umanità al dialogo con la vita e ne scaturisce la vocazione ad essere persone che dialogano con la vita, diventano protagonisti, orientano la storia del mondo verso la verità della vita. Come ci insegna l’esperienza viva della Chiesa, questa è una verità che può essere annunciata al mondo attraverso la via che ha percorso il Maestro, il Cristo Signore, la via più vera ed efficace che è anzitutto quella della testimonianza.
D. A seguito delle disposizioni contenute nei decreti del Presidente del Consiglio e, recentemente, anche nel decreto legge nr. 19 del 25 marzo, concernenti la “sospensione” delle cerimonie religiose e la “limitazione” all’ingresso negli edifici di culto, autorevoli giuristi hanno ritenuto di vedere una aperta violazione delle norme concordatarie oltre che un’ingiustificata e pericolosa restrizione alla libertà religiosa. Non ritiene che, in tal modo il principio di laicità dello Stato ha conosciuto una pericolosa involuzione, passando dall’indifferenza nei confronti dell’organizzazione religiosa a forme di vera e propria proibizione degli atti di culto, seppur giustificate dall’emergenza sanitaria? Pensa che possa esservi il rischio che un tale atteggiamento, che incide inevitabilmente sulla dimensione pubblica del culto, possa riproporsi in futuro dinanzi a nuove “emergenze”, così progressivamente relegando la fede ad affare esclusivamente privato ed intimistico e, di fatto, limitandone per i fedeli la libertà di pubblica professione?
Mi permetto di dire che non vedo questo pericolo. Ci sono due motivi che mi fanno sperare il non realizzarsi di questa, assolutamente infausta, possibilità. Il primo è ancora nelle consapevolezze che ci sono consegnate dalla storia. Nessuna forma di limitazione della pubblica professione della fede o di persecuzione è mai riuscita a impedire o ad annullare la fede dei credenti, la vita della Chiesa e l’annuncio del Vangelo. Già gli Atti degli Apostoli ci narrano che quando la prima persecuzione contro i discepoli del Cristo costrinse tanti fratelli ad andare via da Gerusalemme, “Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo annunciando la Parola” (At 8,4). Il secondo è proprio nella realtà che stiamo vivendo in questi giorni in cui vediamo con speranza che la testimonianza di carità fraterna della Chiesa sta incrociando la vita di tante persone, e che lo zelo pastorale dei sacerdoti e di tanti fedeli, attraverso vie e strumenti che non avevamo ancora pensato di usare in forma così ampiamente diffusa, propone il Vangelo e sollecita la riflessione e l’attenzione di una notevole parte della nostra società. Credo sia importante che noi cristiani viviamo intensamente la vocazione ad essere “lievito”, fermento vivo nel dialogo con la storia del nostro tempo e con ogni esperienza e situazione dell’umanità.
Martedì, 31 marzo 2020