Prosegue la serie di interviste che Alleanza Cattolica sta proponendo ad alcuni vescovi d’Italia. Mentre continua l’emergenza sanitaria a causa dell’accanirsi di un virus che sembra difficile da controllare e quindi da sconfiggere, continua anche l’azione silenziosa della Chiesa italiana soprattutto a vantaggio dei meno fortunati, azione spesso non recepita adeguatamente dalle autorità civili. Sarà importante ricordare ai governi che verranno dopo questa emergenza come il compito della Chiesa non può limitarsi al solo aspetto materiale della persona umana, e come la dimensione pubblica della fede sia un bene irrinunciabile per la stessa società civile. Abbiamo posto alcune domande all’arcivescovo di Pisa mons. Giovanni Paolo Benotto.
D. Che cosa sta succedendo nella Sua diocesi? Come si vive in questo momento e quali sono le indicazioni del vescovo per mostrare la vicinanza dei Pastori ai fedeli e a tutti i cittadini?
R. L’emergenza del coronavirus, come ovunque, ha costretto l’interruzione dell’attività pastorale diretta sia per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche con il popolo, sia per le attività catechistiche che di solito si svolgono nelle parrocchie, sia per tutto ciò che riguarda le iniziative comunitarie. Ciò però non ha impedito di ricorrere a forme alternative che, se oggettivamente non possono certo sostituire la vita sacramentale o di relazione comunitaria, tuttavia hanno il pregio di mantenere vivi i contatti, perché il gregge di Dio non abbia a disperdersi. Per cui sono moltissime le parrocchie che adoperano le più moderne e varie tecnologie, per continuare la catechesi a distanza e per offrire momenti di riflessione sulla Parola di Dio o per trasmettere le celebrazioni liturgiche (senza popolo).
Ciò che non è stato interrotto è il servizio ai poveri realizzato dalla Caritas, pur adottando regole di prevenzione che non appesantiscano la già grave crisi sanitaria in atto. A livello diocesano continuano il proprio servizio due mense dei poveri su tre (il cibo viene dato e asportato per essere consumato all’aperto); continuano le docce e soprattutto l’Emporio della Solidarietà di San Ranieri al quartiere cep, con un aumento notevole di “utenti” a causa della cessazione di molte attività lavorative (per primi sono saltati i lavori saltuari o a giornata e comunque il lavoro nero). La crescita di “utenti” comporta un aggravio economico per la Caritas a cui però sta venendo incontro, come sempre, la Provvidenza del Signore, attraverso la generosità di chi può contribuire.
D. La Chiesa Cattolica rappresenta purtroppo ormai una minoranza, ma in che modo potrebbe invece aumentare la propria presenza nella vita pubblica? Quali gesti coraggiosi potrebbe compiere, che vadano oltre la pastorale ordinaria e aiutino gli italiani a conoscere l’importante lavoro educativo e assistenziale svolto dai cattolici anche in questo momento drammatico?
R. Credo che in questo momento, più di sempre, sia preziosa la relazione personale che da parte del mondo ecclesiale ci può essere con la realtà sociale e politica. Quando ci sono relazioni vere e rispettose si può chiedere e non mancano le risposte. E’ ovvio che si deve chiedere motivando e facendo cogliere la realtà vera che non sempre appare e di cui spesso non si ha consapevolezza. Se appunto c’è dialogo, lasciando da parte le polemiche che non servono a nulla, c’è sempre la possibilità di richiamare a valori autentici che stanno in fondo al cuore di ciascuno e, senza nulla pretendere, si possono di nuovo proporre quei riferimenti valoriali eterni che nessuno, che sia retto, non abbia già, almeno come seme, nel proprio intimo. Si tratta allora di farli riemergere perché siano fecondi di bene. Il Signore, a quel punto, si fa strada da sé e più spesso di quanto non sembri, alla fine viene indicato con il suo nome, proprio quel Dio di cui, magari, ci si era dimenticati. Questo però avviene se soprattutto i membri della Chiesa sono stati capaci di stringere relazioni significative con tutti, al di là di visioni ideali diverse. Alla fine anche la preghiera e la benedizione di Dio viene invocata da tutti, come sta avvenendo in questo momento e di cui ho prove inconfutabili.
D. A seguito delle disposizioni concernenti la sospensione delle cerimonie religiose pubbliche e la limitazione all’ingresso negli edifici di culto, autorevoli giuristi hanno ritenuto di vedere una aperta violazione delle norme concordatarie oltre che un’ingiustificata e pericolosa restrizione alla libertà religiosa. Pensa che esista il rischio che un tale atteggiamento, che incide inevitabilmente sulla dimensione pubblica del culto, possa contribuire a ridurre la fede ad affare esclusivamente privato ed intimistico e, di fatto, a limitare la libertà di pubblica professione dei fedeli?
R. Che tutti siano consapevoli del grande lavoro di prossimità e di assistenza fatto dalla Chiesa soprattutto attraverso la Caritas ed altre realtà ecclesiali, è un dato di fatto, testimoniato indirettamente anche dalle norme varate dal Governo perché la gente stia a casa durante l’emergenza del coronavirus. Paradossalmente, mentre, di fatto, si è impedito alle persone di recarsi a pregare nelle chiese – sia pure senza assembramenti e nel rispetto delle necessarie precauzioni sanitarie – nessuna limitazione, se non di ordine sanitario precauzionale, è stata adottata per le attività assistenziali caritative della Chiesa. Questo perché, anche se non si dice, si sa bene che se venisse meno la rete ecclesiale di aiuto e di sostegno ai poveri e agli emarginati, potrebbe scoppiare una deflagrazione ugualmente tremenda quanto il virus. Senza alimentare polemiche, ad emergenza superata, sarà necessario riflettere e far capire che la Chiesa è sempre stata e continua ad essere “un ospedale da campo”, che ha la missione di curare l’essere umano nella sua pienezza e quindi deve poter essere anche fucina di educazione e di maturazione umana e cristiana integrale e comunità in cui tutti possano sentirsi di casa, proprio perché nessuno è escluso dal poter diventare ed essere figlio di Dio e in Cristo, fratello di tutti.
Mercoledì, 8 aprile 2020