Alleanza Cattolica sta chiedendo ai vescovi italiani di raccontare come stanno operando nelle rispettive diocesi per mostrare la loro vicinanza ai fedeli in questo momento drammatico. Abbiamo intervistato l’arcivescovo di Udine, Andrea Bruno Mazzocato
D. Che cosa sta succedendo nella sua diocesi? Come si vive in questo momento e quali sono le indicazioni dell’arcivescovo per mostrare la vicinanza dei Pastori ai fedeli e a tutti i cittadini?
R. Le norme di prevenzione dettate dal Governo per ridurre il diffondersi del contagio del COVID-19 hanno rivoluzionato la vita delle comunità cristiane, come in tutta l’Italia. In pochi giorni ci siamo trovati dentro uno sconvolgimento di cui ancora fatichiamo ad avere piena coscienza. Devo riconoscere che in Friuli i sacerdoti e i fedeli stanno reagendo con disciplina e pacatezza, pur in un comprensibile clima di incertezza e di ansia. E’ un po’ l’indole del popolo friulano che nella storia ha saputo affrontare gravi prove – tra le più recenti ricordiamo il devastante terremoto del 1976 – con forza d’animo e coesione sociale.
Anche la mia agenda di vescovo è stata completamente rivoluzionata e mi sono trovato di fronte a impreviste urgenze. In mezzo al concerto, anche confuso, di voci che hanno invaso la piazza mediatica, mi sto chiedendo come posso rendermi presente nella mia missione di Pastore. Ho cercato strade per far giungere la mia voce che facesse sentire la vicinanza del Vescovo e, contemporaneamente, offrisse uno sguardo di fede e di speranza sul momento di prova in cui ci troviamo. Ho inviato, in particolare, un messaggio ai sacerdoti, uno ai diaconi e un terzo al popolo di Dio. Erano attesi e hanno avuto una positiva accoglienza. Continuo, poi, a celebrare sia alla domenica che nei giorni feriali la S. Messa in una chiesa molto significativa: il Santuario cittadino della Beata Vergine delle Grazie dove nel 1500 le Autorità del tempo hanno fatto un voto a Maria in mezzo ad una grave pestilenza. La celebrazione viene trasmessa in diretta sia dai mezzi di comunicazione diocesani che dall’emittente locale Telefriuli, molto vista dalla popolazione. Ho così l’opportunità di offrire ancora una meditazione sulla Parola di Dio incarnata nel momento storico in cui ci troviamo.
D. Viviamo in un’epoca che è il risultato di una profonda opera di scristianizzazione. Quali sono secondo Lei le ragioni culturali e storiche che hanno contribuito a estromettere la dimensione religiosa dalla vita pubblica del nostro Paese e quindi a far sì che nelle classi dirigenti sia assente il richiamo alla preghiera e alla penitenza come mezzi per affrontare l’emergenza sanitaria e cercare di sconfiggere il coronavirus?
R. La domanda è molto impegnativa e chiederebbe un’ampia analisi storica e culturale. Mi limito ad una breve riflessione. Il virus della secolarizzazione non è arrivato dall’esterno ma si è sviluppato all’interno del mondo e della cultura europea; all’interno di quello che veniva definito “regime di cristianità”. Il virus ha progressivamente corroso questo “mondo cristiano”. Come mai? Che anticorpi sono mancati? Per rispondere a queste domande, credo che la Chiesa dovrebbe farsi una specie di esame di coscienza più approfondito di come, in genere, riscontro. I primi ad essere chiamati in causa dovrebbero essere coloro che hanno avuto la responsabilità di guide del popolo di Dio: Vescovi, presbiteri, teologi. L’argomento dell’esame di coscienza, a mio parere, non dovrebbe essere principalmente (se penso all’Italia) il rapporto tra Chiesa e la società nelle sue varie espressioni, compresa quella politica; tema comunque molto rilevante. Più a fondo, dovremmo interrogarci sul declino dell’esperienza di fede e, propriamente, dell’esperienza di fede cristiana. In questo, mi ritrovo in profonda sintonia con gli interventi, a volte drammatici, di Papa Benedetto XVI.
Spero che questa prova a cui ci sta sottoponendo il COVID-19 ci porti al risveglio della nostra coscienza, come lo furono i tempi di prova vissuti dall’antico popolo di Dio. Certo, come fu per quel popolo, ci vuole la voce di qualche profeta che aiuti a comprendere con l’occhio della fede le vicende dolorose che ci affliggono. Nel mio piccolo sto riflettendo e cerco di parlare in questo senso.
D. La Chiesa Cattolica rappresenta purtroppo ormai una minoranza, ma in che modo potrebbe invece aumentare la propria presenza nella vita pubblica? Quali gesti coraggiosi potrebbe compiere, che vadano oltre la pastorale ordinaria e aiutino gli italiani a conoscere l’importante lavoro educativo e assistenziale svolto dai cattolici anche in questo momento drammatico?
Certamente ci possono essere dei gesti significatici, posti al momento opportuno, che sono richiamo anche all’opinione pubblica. Vedo che il Santo Padre Francesco e alcuni confratelli Vescovi ne stanno ponendo alcuni che trovano spazio nel mondo della comunicazione e incidono nelle persone.
Pensando più a lungo termine, credo torni il tema ricorrente della presenza di un qualificato laicato cattolico nel mondo sociale, politico, economico. Non mi inoltro su un discorso che è alquanto articolato. Mi limito ad una specie di slogan: per avere la presenza nella vita pubblica di laici cattolici è necessario aver formato, prima, autentici “cattolici”. Forse andrebbero riscoperti con più chiarezza teologica e spirituale i percorsi che permettono la formazione di coscienze cristiane affidabili. Noto la diffusa tentazione a darli per scontati mentre, a mio parere, spesso non sono più conosciuti. Su questo mi sento chiamato in causa direttamente come Vescovo.
Lunedì, 23 marzo 2020