Marco Invernizzi, Cristianità n. 429 (2024)
Intervento, rivisto e annotato, svolto in occasione del convegno organizzato il 28 settembre 2024 a Piacenza, presso il PalabancaEventi, da Alleanza Cattolica su La Dottrina Sociale della Chiesa (cfr. la cronaca in questo numero, alle pp. 3-6).
Vi sono due fasi nella storia della dottrina sociale della Chiesa, che Giovanni Cantoni e Alleanza Cattolica hanno attraversato e che oggi meritano di essere ricordate.
La prima fase
La fase è quella degli anni Sessanta del secolo scorso. È la fase dell’eclisse della dottrina sociale, che sembrava addirittura scomparsa. Giovane militante dell’associazione, ricordo lo sbalordimento con cui venivamo accolti quando ci presentavamo come un’associazione che studiava e diffondeva la dottrina sociale della Chiesa.
Che cos’era successo? Quanto tempo era passato dal 1961, quando san Giovanni XXIII (1958-1963) nell’enciclica Mater et Magistra aveva scritto che la dottrina sociale era «parte integrante della concezione cristiana della vita» (1). Qualcuno guardava al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) per giustificare il silenzio, se non l’avversione, per la dottrina sociale, ma a torto. Al contrario, uno dei documenti più significativi del Concilio, quello sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, parlava di «animazione cristiana dell’ordine temporale» (2) come compito specifico della vocazione laicale. Vi era stato un tentativo, durante i lavori conciliari, di dichiarare superata la dottrina sociale, ma non aveva sortito alcun risultato. Il domenicano Marie-Dominique Chenu (1895-1990), grande studioso del Medioevo ma purtroppo avversario della dottrina sociale, in un piccolo libro ha spiegato la genesi e il fallimento di quel tentativo che lo vide protagonista (3).
Ma di che cosa si accusava la dottrina sociale? Di molte cose, certamente: di essere un’ideologia al servizio della lotta contro il comunismo, di essere un programma elettorale a favore dei partiti di ispirazione cristiana, di non essere «dentro la realtà» della storia, di non avere alcuna valenza di Magistero. Erano accuse contingenti, polemiche, facilmente smentibili, anche se furono usate per secondi fini. Il vero attacco alla dottrina sociale era teologico e riguardava il Mistero dell’Incarnazione e la cosiddetta Chiesa costantiniana. La fede doveva cercare di incarnarsi in una cultura e, quindi, provare a dar vita a una società, oppure doveva rimanere nel suo empireo, senza sporcarsi le mani e tentare di rendersi visibile? Certo, il Figlio di Dio fatto uomo offriva ovviamente delle garanzie di verità ed equità che nessuna incarnazione storica della fede avrebbe potuto dare. Ma era un motivo sufficiente per condannare e rifiutare la svolta dell’anno 313, quando l’imperatore Costantino (274-337) offrì alla Chiesa la libertà religiosa, gettando così le basi perché la fede cristiana diventasse la cultura dominante in Occidente — e anche in Oriente, a Costantinopoli —, dando vita alle due cristianità storiche sul suolo europeo? La Gerarchia cattolica del tempo avrebbe forse dovuto rifiutare l’offerta dell’imperatore? Si sarebbero dovute rimpiangere le persecuzioni? Qualcuno confonderà la cristianità con il cristianesimo e quest’ultimo con Cristo?
La Chiesa militante si macchierà di errori e anche di delitti nel corso dei secoli, per colpa di alcuni cristiani, infedeli o deboli, peccatori e a volte ipocriti. Ma allora, tutto quanto è stato fatto nel corso della Prima Evangelizzazione sarebbe da buttare via? Negli anni tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX presero corpo alcune critiche riconducibili all’eresia modernista, in nome di una Chiesa pura e di una fede senza macchie storiche, ma che in realtà nascondevano una volontà di «mondanizzazione». Erano idee che risalivano al protestantesimo e al liberalismo, riprese e adattate da quegli autori cristiani che nello sforzo, legittimo e doveroso, di adattare l’apostolato cattolico ai tempi nuovi che la fine della cristianità rendeva necessario, rischiavano di rendere il cattolicesimo subalterno al «mondo», anche secondo quella logica di mondanizzazione tante volte deprecata dai Pontefici di allora e oggi da Papa Francesco. Così operò, in quello stesso periodo di tempo, l’eresia modernistica condannata dal Magistero, in particolare con l’enciclica Pascendi (1907) e con la lettera ai vescovi francesi Notre charge apostolique (1910), entrambe di san Pio X (1903-1914); proprio Cantoni volle ripresentare quest’ultima con il titolo significativo di La concezione secolarizzata della democrazia (4).
Il «Corpus Leoninum»
La lotta della Chiesa contro il modernismo fu un atto importante, però non risolutivo. L’eresia, apparentemente sconfitta, si inabissò ma rimase nel corpo della Chiesa la domanda «sana» di rinnovamento che in parte l’aveva originata e che non trovò una risposta adeguata, nel senso che non era sufficiente riproporre un modello di cristianità scomparso o che stava scomparendo e soprattutto non rispondeva alle nuove domande che la società poneva. La Prima Guerra Mondiale (1914-1918), la nascita dei partiti ideologici di massa e soprattutto la secolarizzazione dei costumi spinsero ancor più i cattolici ai margini di una società sempre più lontana dalla fede. Leone XIII (1878-1903) aveva intuito la profondità di quanto stava accadendo e la necessità di una risposta profonda e aveva proposto un magistero fondato e articolato, un «corpo dottrinale» che tendenzialmente toccava tutti gli ambiti della società, che andava completamente ricostruita dopo il disordine introdottovi dai rivoluzionari e dai liberali. Fra questi ambiti, con l’enciclica Rerum novarum, nel 1891, per la prima volta vennero esposte in modo articolato le riflessioni dei Papi sulla società, in quella che da lì in poi sarà chiamata la «dottrina sociale della Chiesa», che peraltro si estenderà a tutti gli ambiti della vita umana, non soltanto quello economico (5). Cantoni spiegò come in realtà i princìpi della dottrina sociale risalissero al progetto originario di Dio sulla società, alla Creazione e poi alla Rivelazione e, dunque, la dottrina sociale della Chiesa non poteva e non doveva essere equiparata alle ideologie storiche alle quali si opponeva.
Venne poi il regime fascista (1922-1943), con il movimento cattolico ridotto ai margini della vita pubblica, nonostante una società non completamente secolarizzata, specialmente nei ceti rurali, e una Chiesa ancora influente. Dopo la Seconda Guerra Mondiale i cattolici italiani, come in altri Paesi europei, tornarono ad avere qualche voce in capitolo, andando stabilmente al governo del Paese con la grande vittoria elettorale del 18 aprile 1948, che allontanò il rischio di un trionfo socialcomunista. Valori ispirati alla dottrina sociale tornarono ad avere un ruolo di qualche rilievo nella vita pubblica, ma il partito «d’ispirazione cristiana» non volle o, comunque, non seppe incarnare nella vita pubblica l’insegnamento della Chiesa. Erano anni in cui si accentuava il processo di secolarizzazione, che esplose nel 1968 accelerando come non mai la penetrazione del laicismo nella vita sociale. Ancora una volta il magistero della Chiesa indicò proprio nel laicismo il male profondo — una «peste», l’aveva definito Papa Pio XI (1922-1939) nell’enciclica Quas primas del 1925 sulla Regalità sociale di Gesù Cristo — che stava portando la società lontano dalle sue radici cristiane (6), ma anche in questa circostanza, proprio all’inizio degli anni 1960, le ideologie secolaristiche ebbero il sopravvento.
Si giunse così agli anni 1970, che in Italia videro il tentativo di attuare un «compromesso storico» fra le due principali forze politiche, il Partito Comunista Italiano (PCI) e la Democrazia Cristiana (DC), una strategia nata per riportare i comunisti alla guida del Paese, come ai tempi del governo del Comitato di Liberazione Nazionale, nato durante la Resistenza anti-nazionalsocialista e antitedesca del 1943-1945, superando quel «fattore K» (7) che impediva al PCI l’accesso al governo del Paese.
Perché il «compromesso storico» si potesse realizzare bisognava trovare una giustificazione ideologica e in questo senso la dottrina sociale cattolica era un ostacolo che andava eliminato. Infatti, l’accordo fra le due forze politiche avrebbe dovuto prevedere un «compromesso culturale», cioè una de-ideologizzazione reciproca, premessa a una sorta di fusione fra un cristianesimo privo della sua dottrina sociale e un marxismo senza materialismo dialettico, cioè senza l’ateismo filosofico (8).
Il rilancio della dottrina sociale
Ma il tentativo fallì e la dottrina sociale cristiana tornò ad avere una qualche eco nel mondo cattolico. Questo accadeva verso la fine degli anni 1970, quando diventava Papa l’arcivescovo di Cracovia, il cardinale polacco Karol Wojtyła. In un libro-intervista — da lui curato proprio per rispondere al tentativo di azzerare la dottrina sociale — Vittorio Possenti spiega bene questo passaggio (9). Nel 1978 il docente di Filosofia all’Università di Ca’ Foscari a Venezia chiese all’allora arcivescovo di Cracovia una intervista proprio sull’argomento, ma, quando l’intervista fu pronta, nel frattempo l’intervistato era diventato Papa e per ovvie ragioni il testo non poté essere pubblicato, se non tanti anni dopo. Papa Wojtyła spiegava in quell’occasione l’importanza e la necessità della dottrina sociale e confermava questa opinione pubblicando, fra i primi testi del suo magistero, una enciclica sul lavoro umano, la Laborem exercens, nel 1981. Altre due encicliche, oltre a molti discorsi, celebrarono il rilancio della dottrina sociale da parte del Magistero: la Sollicitudo rei socialis nel 1987 e la Centesimus annus, nel 1991, nel centenario della Rerum novarum.
Cantoni: «pensare l’azione»
Nella prima fase della dottrina sociale, quella dell’eclisse, Cantoni era stato soprattutto un accanito ricercatore di testi, del Magistero pontificio in particolare, ma anche di testi episcopali e di manuali, che permettessero ai giovani di Alleanza Cattolica di studiarla. Scoprimmo così il corpo dottrinale elaborato da Leone XIII, il Corpus Leoninum, un vero e proprio progetto di ricostruzione della società dopo la Rivoluzione del 1789 e le sue conseguenze sociali e politiche, ma anche l’insegnamento, minore ma non meno profondo, del suo successore, san Pio X (1903-1914), le grandi encicliche sociali di Pio XI (1922-1939) prima e poi gli interventi, numerosi e puntuali, di Pio XII (1939-1958), fino alla già ricordata Mater et Magistra di san Giovanni XXIII e ai testi di san Paolo VI (1963-1978), Populorum progressio (1967) e Octogesima adveniens (1971). Cantoni lesse e ci fece leggere anche altri testi fra quelli allora disponibili, che ancora oggi rimangono ben presenti nella mia memoria, come il Catechismo sociale del domenicano tedesco Eberhard Welty (1902-1965) (10) o, pur con qualche riserva, La dottrina sociale cristiana del cardinale Joseph Höffner (1906-1987), arcivescovo di Colonia (11). Il fondatore di Alleanza Cattolica era un ricercatore di testi utili per formare dei giovani, non un intellettuale alla ricerca del libro più acuto; un uomo abituato a pensare l’azione senza perdersi in elucubrazioni astratte e inutili per raggiungere lo scopo che si prefiggeva.
La seconda fase
La seconda fase della dottrina sociale coincise con il pontificato di Giovanni Paolo II e con la volontà del Papa venuto dall’Est di riprendere e di rilanciare con forza il Magistero precedente, anche in campo sociale. Oltre alle tre encicliche anzidette, vi fu un Anno esplicitamente dedicato alla dottrina sociale, il 1991, nel centenario della Rerum novarum, indetto per segnalarne l’importanza per la Chiesa universale (12). E questo perché, secondo il santo Pontefice, la dottrina sociale cattolica rispondeva alle necessità dell’umanità contemporanea. Il Papa dedicò al tema del lavoro la sua prima enciclica sociale, la Laborem exercens, perché il lavoro come principale attività dell’uomo per trasformare e migliorare il creato, oltre che per realizzare sé stesso, era al centro della contesa ideologica con il marxismo, che si era storicamente impadronito dei bisogni e delle sofferenze della classe operaia sfruttandole per avviare una rivoluzione mondiale attraverso l’odio e la lotta di classe. Quando uscì l’enciclica in Polonia era in corso uno scontro fatale per il futuro del mondo fra gli operai polacchi che facevano riferimento al sindacato libero Solidarność — nato nel 1980 dopo il primo viaggio compiuto nella sua patria l’anno precedente — e il regime comunista che stava attuando una feroce repressione proprio contro la classe operaia e contro tutto il popolo polacco.
Cantoni accompagnò con entusiasmo crescente il magistero pontificio, pubblicando regolarmente su ogni numero di Cristianità uno stralcio da un testo del Papa, e commentando sistematicamente non soltanto le encicliche sociali, ma anche i tanti discorsi pontifici, che rappresentavano una specie di analisi puntuale, ricca anche di indicazioni operative, dei problemi che l’umanità doveva affrontare.
Una rinascita interrotta
Poi, però, il relativo entusiasmo, con cui lo slancio del Papa fu accolto nel mondo cattolico, a poco a poco si spense. Vi erano stati convegni, erano nate scuole di formazione, organizzate soprattutto da Comunione e Liberazione, e anche scuole diocesane di formazione alla politica, ma tutte queste forme di testimonianza, per quanto generose, non avevano avuto molto seguito.
È ancora presto per dire che cosa veramente accadde e perché la rinascita della dottrina sociale, come la chiamò Cantoni durante l’Anno ad essa dedicato, non produsse i frutti sperati.
Certo, di questo non si può incolpare il Magistero, che continuò a ricordarne l’importanza: basti ricordare l’enciclica di Benedetto XVI (2005-2013; †2022) Caritas in veritate nel 2009. Lo stesso Papa Francesco, criticato per la sua scarsa attenzione alla dottrina e che certamente ha uno stile pastorale diverso dai predecessori, il 9 settembre scorso, incontrando le autorità di un Paese al 90% cattolico come Timor Leste, durante l’importante viaggio in Asia e in Oceania, ha evocato concetti che ci sono familiari. Ha ricordato che la classe dirigente di un Paese ha bisogno della dottrina sociale cristiana se vuole discernere e costruire il bene comune e che la Chiesa offre questa sua dottrina a chi la vuole accogliere, aggiungendo che essa non è una ideologia ma la condizione per costruire un mondo fraterno, non dominato dall’odio.
La dottrina sociale rimane impressa nei documenti del Magistero. Dal 2005 è disponibile un testo importante e tendenzialmente completo, il Compendio della dottrina sociale, redatto dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e firmato da san Giovanni Paolo II. Ma la dottrina sociale cattolica è come una pianta, antica ma sempre fragile, che ha bisogno di essere innaffiata cioè, fuori di metafora, ha bisogno che qualcuno la studi e la diffonda, affinché possa essere messa in pratica. Non è detto che magicamente produca quello per cui è stata elaborata, cioè una civiltà cristiana, perché il Signore non ci ha garantito il successo, ma è vero che se questa pianta, innaffiata, crescesse e diventasse un bosco e poi una foresta, il popolo che ne beneficiasse conoscerebbe una vita migliore.
Da parte nostra, grati per aver goduto dell’esempio di Giovanni Cantoni, faremo la nostra piccola parte, oggi in particolare mettendo a disposizione di chi vorrà servirsene questa preziosa raccolta di saggi di Cantoni, curata dall’amico Oscar Sanguinetti e con la prefazione di mons. Michele Pennisi, arcivescovo emerito di Monreale.
Marco Invernizzi
Note:
1) San Giovanni XXIII, Lettera enciclica «Mater et magistra» sui recenti sviluppi della questione sociale, alla luce della dottrina cristiana, del 15-5-1961, n. 206.
2) Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’apostolato dei laici «Apostolicam actuositatem», del 18-11-1965, n. 7.
3) Marie-Dominique Chenu O.P., La dottrina sociale della Chiesa. Origine e sviluppo (1891-1971), trad. it.,Queriniana, Brescia 1977.
4) Cfr. san Pio X, La concezione secolarizzata della democrazia, Cristianità, Piacenza 1992.
5) Sul Corpus Leoninum di Leone XIII, cfr. Augusto Del Noce (1910-1989), L’epoca della secolarizzazione e altri saggi storici, politici e filosofici, a cura di Giuseppe Buttà, Gangemi, Roma 2024, pp. 319-323.
6) Cfr. Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero, del 25-3-1960, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana. Decreti, dichiarazioni, documenti pastorali per la Chiesa italiana, vol. I, 1954-1972, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1985, pp. 76-95. Cfr. anche la presentazione del testo di Francesco Pappalardo, «Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero» del 25 marzo 1960, in Cristianità, anno XXXV, n. 340, marzo-aprile 2007, pp. 13-18.
7) «K» stava per «Kommunism». Il termine venne coniato dal giornalista da Alberto Ronchey (1923-2010) — in un editoriale del Corriere della Sera del 30 marzo 1979, a commento dell’apertura del XV Congresso del Partito Comunista Italiano — per spiegare perché nei primi cinquant’anni dell’Italia repubblicana non vi fosse stato un ricambio tra le forze politiche governative. Cfr. altresì «[…] gerg., nel linguaggio politico della tarda età della guerra fredda, fenomeno per cui, nei paesi dell’Europa occidentale, in cui il partito comunista era al secondo posto, era considerato non praticabile un ricambio di governo» (Dizionario Italiano De Mauro, sub voce).
8) Cfr. Giovanni Cantoni, Sul «compromesso culturale», in Idem, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulle soglie dell’Italia rossa, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1980, pp. 165-220.
9) Cfr. Karol Wojtyła, La dottrina sociale della Chiesa, intervista di Vittorio Possenti, commento di Sergio Lanza, Lateran University Press, Roma 2007.
10) Cfr. Eberhard Welty O.P., Catechismo sociale, 3 voll., trad. it., Paoline, Roma 1966.
11) Cfr. Joseph Höffner, La dottrina sociale cristiana, trad. it., Paoline, Roma 1978.
12) Cfr. G. Cantoni, L’«Anno della dottrina sociale della Chiesa», in Idem, Scritti di dottrina sociale». 1961-2005, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 2024, pp. 163-171.