A un anno dall’assassinio della giovane di origine curda Mahsa Amini, avvenuto il 16 settembre 2022 a Teheran, che ha dato inizio alle violente manifestazioni di protesta contro il regime degli ayatollah, estese rapidamente a tutto il territorio dell’Iran per diversi mesi, quale è la situazione attuale dell’opposizione nel favoloso Paese una volta chiamato Persia?
di Stefano Nitoglia
L’opposizione che, stranamente, raccoglie maggiori adesioni nel mondo neoconservatore italiano e americano è il movimento social-comunista dei Mujahedin-e Khalq MEK, in italiano Mujahedin del Popolo, di Mariam Rajavi, accusato di aver compiuto diversi attentati terroristici nella Persia dello scià e anche in quella di Khomeyni, che però, oltre a queste singolari simpatie, non incontra quelle dell’opposizione iraniana operante sul campo (cfr. Stefano Nitoglia, L’Iran e le diverse resistenze, 3 gennaio 2023, in https://alleanzacattolica.org/liran-e-le-diverse-resistenze/).
Esiste pure un’opposizione monarchica, che si concentra attorno alla figura di Reza Ciro Pahlavi, figlio del defunto scià Mohammad Reza Pahlavi (1919-1980). In una intervista al quotidiano dei vescovi Avvenire del 15 settembre, il pretendente al “Trono del Pavone”(così viene icasticamente indicata la figura dei regnanti persiani da quando questo trono, costruito a Delhi nel XVII secolo per celebrare il governo dell’imperatore Mughal Shah Jahan, tempestato di gioielli preziosi, tra cui l’enorme Diamante Koh-I-Noor, fu preso da Nadir Shah di Persia dopo che il suo esercito invase Delhi nel 1739), ha fatto alcune interessanti affermazioni.
Dopo aver definito il suo ruolo e la sua missione come servizio al movimento di liberazione «per il ritorno alla sovranità nazionale e a elezioni libere», il principe ereditario e pretendente al trono, rispondendo a una domanda dell’intervistatore sulla possibilità di un ritorno a un Iran «laico e tollerante», ha affermato: «Non solo è concepibile, ma è quello che siamo stati storicamente. La Repubblica islamica è una parentesi nella nostra storia che dobbiamo chiudere. Odio, discriminazione e segregazione sono estranei a noi iraniani. Gli iraniani hanno vissuto fianco a fianco in pace, per migliaia di anni, nonostante le differenze di fede, lingua, tribù o regione. Questo è ciò che rende unica la nostra nazione. Attendo con ansia il giorno in cui gli iraniani non saranno più considerati “minoranza” o “maggioranza” per il loro status religioso o di altro tipo, ma saranno invece visti come cittadini uguali».
Reza Ciro è dotato di buone idee e di buona volontà ma, come si dice negli ambienti dell’opposizione iraniana (anche monarchica) e come è apparso a chi lo ha recentemente incontrato a Roma, non ha il carisma e l’intelligenza politica del padre e, inoltre, non è ben voluto in Iran, per cui sembra difficile che l’opposizione monarchica possa avere successo e portare a una restaurazione, almeno in tempi brevi, della monarchia in Iran.
Va segnalata anche la posizione “eccentrica”, rispetto al regime teocratico, assunta da circa 5 anni dall’ayatollah Seyyed Javad Alavi Boroujerdi, di 72 anni, nipote di Hosseini Boroujerdi, unico a godere, nel secolo scorso, del titolo di “Grande ayatollah” marjaʿ al-taqlīd, ovvero “fonte di imitazione”, e che per questo godeva di grandissimo prestigio in Iran. Javad Alavi Boroujerdi ha speso parole di solidarietà per Mahsa Amini: «Lei era la figlia di tutti noi e quello che è successo a nostra figlia è stato molto amaro per tutti noi», si dichiara a favore di una maggiore laicità del sistema, guarda con simpatia al passato preislamico dell’Iran, si è dichiarato contrario all’obbligo dell’hijab (il velo) per le donne e ha difeso i bahai, considerati eretici dall’islam sciita e per questo perseguitati: «I bahai credono in qualcosa. In Iran abbiamo persone che non credono in niente. Quindi dovremmo ucciderli? ». Ci sono alcuni che vedono in queste posizioni l’inizio di una spaccatura all’interno della gerarchia religiosa iraniana, con un possibile sbocco verso un islam più moderato, anche se gli elementi per giudicare il fenomeno al momento sono ben pochi e molto deboli.
L’opposizione “laica” interna è frammentata e in crisi. Dopo un anno le proteste, duramente represse dal regime con arresti, assassinii e impiccagioni, sono andate lentamente scemando in tutto l’Iran anche se oggi, nel primo anniversario della morte di Mahsa si segnalano graffiti e striscioni di protesta a Teheran e slogan contro la Guida Suprema Ali Khamenei, gridati da un centinaio di persone a Zâhedân, nella provincia sud orientale del Sistan, nel Belucistan iraniano, dove le manifestazioni sono continuate per tutto l’anno, ogni venerdì, e dove si segnala un duro sermone contro il regime pronunciato dall’imam sunnita della locale moschea, che ha ricordato l’uccisione della giovane, le 500 persone morte durante le proteste e i 20.000 arresti
Pur continuando le proteste, sebbene affievolite, è difficile che in mancanza di una leadership riconosciuta all’interno e di aiuti da parte delle potenze occidentali dall’esterno esse possano sfociare in qualche risultato positivo, almeno in tempi brevi. L’unica speranza – a parte quella di chi crede in un’evoluzione in senso moderato del regime sulla scia dell’ayatollah Boroujerdi, assai improbabile – sembra essere, per il momento, legata a un cambiamento generazionale. Oggi i giovani costituiscono il 70 per cento della popolazione. Le ragazze sono il 60% delle matricole universitarie e il 70% nelle facoltà scientifiche. Questi giovani e queste ragazze sono nati per la maggior parte molti anni dopo l’arrivo di Khomeyni, oltre 44 anni fa, e non sono influenzati dal clima di euforia rivoluzionaria, del resto ben presto svanito, che caratterizzava quei tempi e che tanti lutti e disgrazie ha lasciato durante il suo corso. Come tutte le rivoluzioni, peraltro. La storia dovrebbe essere magistra vitae, secondo il noto detto. Ma, evidentemente, siamo cattivi scolari.
Lunedì, 18 settembre 2023