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IRAN: una “lectio difficilior” del Nobel a Narges Mohammadi

11 Ottobre 2023 - Autore: Stefano Nitoglia

Narges Mohammadi

L’assegnazione del premio Nobel per la pace a Narges Mohammadi si presta a due letture. Una, corrente, in chiave positiva, l’altra, maliziosa, che sostieneche il riconoscimento è usato dal regime degli ayatollah per sostenere una falsa opposizione interna “moderata”, insomma una “opposizione del Re”

di Stefano Nitoglia

Il premio Nobel per la pace 2023 è stato assegnato il 6 ottobre all’avvocata e attivista iraniana per i diritti delle donne Narges Mohammadi, vicepresidente del Centro per la difesa dei diritti umani, imprigionata dal regime teocratico iraniano nel maggio del 2016 e attualmente ancora in prigione. Il comitato per l’assegnazione del premio Nobel afferma che Mohammadi ha ricevuto il premio per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per i suoi sforzi nella promozione dei diritti umani e della libertà per tutti. «La coraggiosa lotta di Narges Mohammadi – si legge nel comunicato del comitato – ha comportato enormi costi personali. Il regime iraniano l’ha arrestata 13 volte, condannata 5 volte e condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate». Narges Mohammadi è la seconda donna iraniana a ricevere il Nobel per la pace. Prima di lei, 20 anni fa, è stato assegnato a Shirin Ebadi, avvocata, attivista e fondatrice del Centro per la difesa dei diritti, di cui la Mohammadi è vicepresidente.

L’assegnazione del Nobel alla Mohammadi è stata salutata con entusiasmoda tutto il mondo libero. Lo stesso principe Reza Ciro Pahalavi, pretendente al trono dell’Iran, sulsocial network “X”, il 6 ottobre,ha scritto: «L’assegnazione del premio per la pace da parte del comitato Nobel in Norvegia a Narges Mohammadi è in riconoscimento del movimento per la libertà delle donne e della lotta nazionale del popolo iraniano per la libertà. Gli iraniani combattono da 44 anni per liberarsi della brutale dittatura della Repubblica islamica. Spero che questo premio sia un catalizzatore per spostare la politica occidentale verso la fornitura di strumenti concreti per massimizzare il sostegno al popolo iraniano e alla sua rivoluzione nazionale, e non solo come una mossa simbolica per distogliere l’attenzione dagli intrecci con questo regime criminale».

L’ultima frase del principe ereditario appare sibillina. Infatti, negli ambienti della diaspora iraniana contraria alla teocrazia islamica khomeinista, vi sono alcuni che sostengono che a partire dalla cosiddetta “rivoluzione verde” del 2009 si sia creata una finta opposizione interna al regime, formata dai cosiddetti riformisti, che in realtà è controllata da regime. Secondo queste fonti la Mohammadi -le cui condizioni carcerarie in realtà non sarebbero molto dure -verrebbe manovrata,probabilmente a sua insaputa,da questa finta opposizione interna, la quale, comunque, userebbe il premio in questa chiave.

Non abbiamo elementi per dire se ciò sia vero o meno ma, comunque, essendo una tesi che gira negli ambienti della diaspora, riteniamo che essa vada riportata, in una sorta di “lectio difficilior” del contesto iraniano. La situazione attuale in Iran è molto complicata. C’è un gruppo all’interno dell’esercito e anche del “clero” che può essere considerato riformista e sta cercando di adottare misure per indebolire gli estremisti. L’opinione della maggior parte degli esperti è, però, che nulla cambierà finché sarà vivo Khamenei, la Guida Suprema, che possiede il controllo di tutti gli strumenti politici, militari e giuridici, in poche parole, di tutto il potere iraniano.

Attualmente i Pasdaran (in farsi sepahepāh-e pāsdārān-e enghelāb-e eslāmi), comunemente noti come Guardiani della rivoluzione, organo militare istituito in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979, hanno il controllo dell’economia, della sicurezza e dell’esercito,ma fingono di non averlo. La domanda è: quando Khamenei morirà, questo gruppo, sarà in grado di giocare lo stesso gioco a “nascondino” o dovrà farsi avanti e prendere il comando? E chi lo prenderà, se i pasdaran continueranno a fare il loro gioco? In ultima analisi, la domanda è: quando cambierà veramente la situazione in Iran e tornerà la libertà?

Una cosa è certa, si dice negli ambienti della diaspora iraniana, se l’attuale amministrazione USA a guida Biden fosse stata veramente interessata alla caduta di questo regime, non avrebbe neutralizzato il recente movimento fuori dall’Iran, né all’interno dell’Iran. Per ora essa preferisce che questo regime rimanga al potere e per questo ha screditato il giovane e inesperto Reza Pahalavi, incoraggiandolo ad andare in Israele nell’aprile scorso, per un viaggio che è stato presentato come uno sforzo per ricostruire le relazioni tra le due nazioni, ma che ha penalizzato il movimento monarchico.

Oltre alla falsa opposizione dei riformisti, vi è un’altra opposizione al regime teocratico, che, però, è molto frastagliata,tanto che si deve parlare di opposizioni al plurale. Persone e movimenti che diffidano gli uni degli altri e sono spaccati anche al loro interno, senza un centro direttivo né un leader comune. Ci sono i giovani, soprattutto le donne, che sono scesi in piazza senza paura per protestare dopo l’uccisione di Mahsa Amini e continuano a farlo anche se in misura sempre più ridotta a causa della repressione violentissima delle forze di polizia. Ci sono i monarchici, che si riconoscono nella figura di Reza Ciro, piuttosto appannata, movimenti di sinistra, come i Mojaheddin del popolo, della cui pericolosità e inaffidabilità abbiamo scritto (cfr. Iran: a un anno dall’assassinio di Mahsa Amini, quali prospettive?, 18.09.2023), gruppi etnici, quali i Baluci, del Balucistan iraniano, regione al confine con il Pakistan, la cui opposizione è fondata su motivi religiosi, essendo sunniti,  a differenza della maggioranza degli iraniani, che sono sciiti, i curdi che vivono nel Nord-Ovest dell’Iran e in parte in Iraq, i nomadi, circa un milione di persone: grandi e antiche tribù, come i Qashqa’i, i Bakhtiari e i Lur, e gruppi più piccoli come i Khamseh di Bavanat. Tutti gruppi che vengono combattuti dall’attuale regime – come anche da quello dello Scià-, per la loro sete di indipendenza, infine l’opposizione della diaspora, che vive all’estero.

Mercoledì, 11 ottobre 2023

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