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Isis e Cina alla conquista dell’Africa

8 Aprile 2022 - Autore: Silvia Scaranari

Cina e Africa

Mentre l’attenzione internazionale è sulla guerra russo-ucraina, le manovre cinesi e jihadiste distruggono l’Africa

di Silvia Scaranari

Da più di un mese tutti guardiamo all’Ucraina e alla Russia come l’unico problema dell’ora presente. In verità, gli esperti ci ricordano che nel mondo sono in atto altri 50-60 conflitti sanguinari e destabilizzanti. Se l’Ucraina ha prodotto nelle ultime settimane milioni di rifugiati, sempre gli esperti ricordano che oggi ci sono dagli 80 ai 90 milioni di rifugiati nel mondo, esclusi quelli generati dall’attuale guerra.

In particolar modo l’attenzione mondiale rischia di perdere di vista quello che succede in Africa, in Indonesia, in Pakistan, in India, in Iran etc. L’Africa è da decenni in una situazione devastante, e lo sarà ancor di più nell’immediato futuro. Sollevo solo due problemi: l’Isis e la Cina.

Diverse volte si è già scritto che l’Isis, dopo le dure sconfitte subite in Medio Oriente, ha spostato la sua attenzione verso l’Africa, in particolare nella zona sub-sahariana. Qui è riuscito a cancellare o fagocitare diversi nuclei di al-Qaeda, creando lo Stato Islamico del Grande Sahara, con basi in Mali (da cui la Francia ha deciso di ritirarsi, lasciandogli mano libera), Niger, Burkina Faso, il Nord della Nigeria (sottomettendo in gran parte Boko Haram), Ciad e Camerun. Nuclei armati agiscono anche in Congo e nella Repubblica Centroafricana, in Mozambico controllano la regione petrolifera di Capo Delgado e sono arrivati a fare incursioni in Sud Africa.

In Nigeria, forse, le operazioni più violente. La popolazione è costituita circa da un 53% di musulmani e un 45% di cristiani. L’Isis, o le diverse multiforme sigle del jihadismo (il già citato Boko Haram o l’ISWAP-Stato Islamico dell’Africa Occidentale riformulato nella sua nuova versione), agiscono semi indisturbati su due fronti: l’aggressione e i rapimenti. L’aggressione ai villaggi è funzionale alla razzia e al rapimento di giovani ragazzi e donne, gli uni avviati all’arruolamento nelle fila armate, le altre cedute/vendute come mogli o lavoratrici. I rapimenti sono invece rivolti a personalità per cui si aspetta un congruo riscatto, che serve come fonte di finanziamento.

Ma l’Isis, già esperta di autofinanziamento in combutta con la criminalità organizzata nel commercio di droga e nella tratta di esseri umani, oggi ha allargato le sue competenze, arrivando all’acquisto di giacimenti di Coltan in Kenya e in Tanzania. E qui nasce un problema serio, la rotta di collisione con la Cina. La Cina ha investito molto nella Repubblica democratica del Congo, dove l’integralismo islamico è violentemente presente. Ma ha anche comprato diversi giacimenti in Mozambico e Tanzania, e questo ha scatenato le ostilità dei jihadisti che, peraltro, già accusavano il Dragone di genocidio verso i “fratelli” musulmani uiguri.

Come noto, la Cina ha investito molto sulla costa orientale dell’Africa, perché è una zona fondamentale per le sue nuove “vie della seta”. In quest’ottica, lo scorso 18 marzo ha consegnato un carico di armi e mezzi pesanti al governo dell’Etiopia, con il dichiarato scopo di assistere Mogadiscio nella lotta al terrorismo. Il generale somalo Odowa Yusuf Rage ha ufficializzato l’aiuto della Cina e ha detto che ulteriori spedizioni sono già programmate.

Intanto, l’11 marzo un attentato è costato la vita ad un cinese e a 4 operai, impegnati nel tracciamento di una autostrada in Kenya. Questo attentato segue quello dello scorso gennaio in Kenya, quando guerriglieri somali sono entrati in un cantiere della China Communications Construction Company, incendiando e facendo esplodere bombe.

Il jihadismo dimostra chiaramente di non condividere la presenza cinese sul territorio africano, ma la Cina non ha nessuna intenzione di farsi intimorire da queste bande armate. Da un lato, il jihadismo vuole trasformare il volto dell’Africa nera in un sistema teocratico assoluto, dall’altro il Dragone ha tutto l’interesse a fagocitare terre ricchissime e postazioni di interesse strategico fondamentale. La Cina combatte il jihadismo, certo, non per grandi ideali di libertà e democrazia; il jihadismo combatte la svendita di terra africana alla Cina. Il tutto avviene sulle teste degli africani, che rischiano in entrambi i casi di ritrovarsi con regimi certo non troppo tolleranti. Una bella competizione, mentre il mondo ha la faccia voltata da un’altra parte.

Venerdì, 8 aprile 2022

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Info Silvia Scaranari

Silvia Scaranari nasce a Lanzo Torinese nel 1960. Laurea in Lettere moderne a Torino nel 1983 e poi laurea in Filosofia a Parma.
Insegnate liceale dal 1983, approfondisce i propri interessi sul mondo islamico collaborando dal 1993 con il Centro Federico Peirone, ente diocesano dedicato allo studio dell’islam e al dialogo con il mondo musulmano. Redattrice della rivista Il Dialogo-al Hiwar fin dalla sua fondazione, ha pubblicato diversi studi sull’islam da sola, o in collaborazione, presso Guerrini Associati, L’Harmattan, Elledici, Spettatore Libri, Paoline. Ancora adolescente conosce Alleanza Cattolica con cui collabora tuttora.

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