Iuliu Hossu, La nostra fede è la nostra vita. Memorie, trad. it., a cura di Marco Dalla Torre, note all’edizione italiana di Giuseppe Munarini, Dehoniane, Bologna 2016, pp. 520, € 38,00
Nel quadro della persecuzione anticristiana a opera del «socialismo reale», le Chiese cattoliche di rito orientale hanno subìto un «trattamento speciale». Così in Romania, dove il patriarcato di Transilvania era rientrato, nell’anno 1700, in comunione con Roma: con la presa del potere, nel 1946, da parte del partito comunista romeno, forte della massiccia presenza dell’Armata Rossa nel Paese, la Chiesa fu sottoposta a una pressione sempre maggiore, fino all’incarcerazione quasi contemporanea di tutti i vescovi nell’ottobre 1948 e alla soppressione della Chiesa greco-cattolica con la legge del 1° dicembre di quell’anno.
Nei successivi quarant’anni i cattolici di rito bizantino sopravvissero solo nelle catacombe, sorretti dalla forte e commovente fedeltà dei loro pastori: nessuno dei dodici vescovi — ai primi sei incarcerati ne seguirono altrettanti, ordinati in clandestinità ma ben presto scoperti e a loro volta imprigionati — cedette alla promessa di esser ricoperto di onori se fosse passato alla Chiesa ortodossa.
Cinque anni fa, per la prima volta in Italia, questa epopea è divenuta nota con la pubblicazione delle memorie di mons. Ioan Ploscaru (1911-1998), vescovo di Lugoj, Catene e terrore. Un vescovo clandestino greco-cattolico nella persecuzione comunista in Romania (Dehoniane, Bologna 2013), giunte alla quarta ristampa. Mons. Ploscaru, primo vescovo della «seconda generazione», riuscì a sopravvivere al carcere di sterminio e alla fine del regime. Ora nella stessa collana le Dehoniane presentano un’altra testimonianza, bellissima e tragica, di quello che allora era il presule più in vista nell’episcopato romeno, mons. Iuliu Hossu (1885-1970), con il titolo di La nostra fede è la nostra vita. Memorie.
Si tratta di un testo stenografato in fretta e in segreto, nell’autunno 1961, con il costante timore di essere scoperto dalla Securitate, la polizia segreta romena. Mons. Hossu, incarcerato già da tredici anni, si trovava in «domicilio obbligatorio» nel monastero ortodosso di Căldărușani, in una condizione di totale isolamento. Solo suo fratello Traian (1891-1978) aveva il permesso di visitarlo e proprio lui gli portò tre quaderni e una boccetta di inchiostro. In tre settimane il vescovo scrisse una lunga e appassionata «lettera» ai fedeli della sua diocesi e al suo successore, per quando Dio avrebbe deciso che la sua Chiesa sarebbe uscita dalle catacombe. Traian custodirà questi preziosi quaderni fino a che la libertà sarebbe tornata davvero: con la caduta del regime di Nicolae Ceaușescu (1918-1989) essi tornarono alla luce e vennero pubblicati in Romania nel 2003.
Per mons. Hossu, già anziano, la prigionia continuò fino alla morte, nel 1970. L’anno prima il Papa beato Paolo VI (1963-1978) gli fece conoscere il proprio desiderio di nominarlo cardinale. Il governo rumeno sarebbe stato d’accordo a patto che Hossu avesse lasciato la Romania, ma il vescovo non ritenne giusto abbandonare il suo popolo in catene e preferì rimanere in patria sino alla fine. Il Santo Padre nel concistoro del 28 aprile 1969 fece sapere che, oltre a quelli pubblici, vi erano due nuovi cardinali in pectore. Iuliu Hossu diveniva così il primo cardinale della Chiesa greco-cattolica rumena; il secondo è stato il salesiano Stepán Trochta (1905-1974), vescovo di Litoměřice, in Cecoslovacchia.
Tre anni dopo la sua morte, durante il Concistoro del 5 marzo 1973, il Pontefice ne rese pubblico il nome: «La nostra scelta […] si era fissata su un altro insigne servitore della Chiesa, altamente benemerito per la sua fedeltà e per le prolungate sofferenze e privazioni di cui essa gli fu causa; simbolo e rappresentante egli stesso della fedeltà di molti vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli della Chiesa romena di rito bizantino: il venerato fratello Iuliu Hossu, vescovo di Cluj-Gherla, venuto a mancare il 28 maggio 1970.
«Fu lui stesso a farci giungere — conosciuta la nostra determinazione — l’ardente preghiera di non darvi seguito: con ragioni di una tale dignità, di tale edificante distacco dalla sua persona e di commovente spirito di servizio alla sua Chiesa, che ci sentimmo obbligati a rispettare il suo desiderio, almeno nel senso di non annunciare allora la sua elevazione alla porpora» (p. 410).
Del card. Hossu e degli altri sei vescovi greco-cattolici rumeni martiri sotto il regime comunista è in fase avanzata la causa di beatificazione.
Il testo di Hossu era, per ovvi motivi di prudenza, privo di titoli. Come titolo è stata scelta la frase che egli ripeteva tutte le volte che gli veniva rinnovata la proposta di abbandonare la Chiesa cattolica per passare a quella ortodossa, fin da subito infiltrata dal regime: «La nostra fede è la nostra vita» (p. 67). Si può dire che la Chiesa greco-cattolica romena subì la persecuzione per la sua fedeltà al Papa: un cristiano sa che senza Pietro la fede e la Chiesa si sgretolano.
L’opera si compone di tre parti. Nel Quaderno primo. Resta con noi, Signore, il giorno già volge al declino (pp. 35-190) il cardinale racconta gli avvenimenti dal 1947, l’anno in cui si preparava «l’attacco alla nostra Chiesa» (p. 39), al 1950, passando per il 29 ottobre 1948, data dell’arresto suo e di tutto l’episcopato greco-cattolico, rinchiuso con venticinque sacerdoti e in condizioni molto precarie in edifici fatiscenti trasformati in luoghi di prigionia. Racconta in particolare delle fortissime pressioni esercitate dal regime comunista sui sacerdoti affinché passassero alla Chiesa ortodossa: «Ricorderò uno fra i tanti sacrifici sopportati per la fede. Padre Feneșan di Suceag, nei pressi di Cluj, con nove bambini, negò di apporre la propria firma: preferì diventare custode di porci nella fabbrica di mattoni di Cluj, pulendo le stalle con sua moglie» (p. 87).
Il Quaderno secondo. La causa del dolore e della sofferenza (pp. 191-303) narra del periodo fra il maggio 1950 e il gennaio 1955, trascorso nella prigione di Sighet, con i vescovi cattolici di rito latino, dove furono accolti con la frase: «Mettiamo i bufali in stalla!
«[…] Sì, è proprio così: i “bufali” che erano arrivati non erano più vescovi, né sacerdoti, né cristiani, né romeni, ma schiavi dei comunisti senza Dio e senza patria» (pp. 193-194).
Nel Quaderno terzo. L’esilio nella nostra cara patria (pp. 305-397) il cardinale racconta la prima parte degli anni di «domicilio obbligatorio» in diversi monasteri, fino al 29 novembre 1961, quando affidò tutti gli scritti al fratello Traian perché li custodisse in un rifugio sicuro e con la speranza «che la semente gettata nel solco profondo possa dare frutto per la glorificazione di Dio, il Padre buonissimo, e per la fioritura della Chiesa rinata dalle pene della grande tribolazione» (p. 396).
Colpiscono, di queste pagine, l’amore ardente per Cristo e la sua Chiesa, la gratitudine per averlo ritenuto degno di soffrire per lui, la mancanza di risentimento per i suoi carcerieri, visti come inconsapevoli strumenti nelle mani di Dio, e l’amore commovente per i fedeli a lui affidati, che amava e da cui sapeva di essere amato.
L’opera è preceduta dalla Prefazione (pp. 5-8) di mons. Florentin Crihălmeanu, vescovo eparchiale di Cluj-Gherla, intitolata Un testamento spirituale, una confessione di fede e un modello da seguire: le Memorie del nostro pastore, il card. Iuliu Hossu, in cui il presule descrive così il suo eroico predecessore: «Mite e conciliante, ma con uno spiccato senso della verità e della giustizia, il pastore di Cluj-Gherla sapeva fare una netta distinzione tra i fratelli della Chiesa sorella e quelli che si erano lasciati ingannare dai “senza Dio”; fra la nazione — il Paese amato — e quelli che erano arrivati al suo timone» (p. 7).
Ad arricchire questa edizione concorre anche il paziente lavoro di ricerca storica di Giuseppe Munarini, grande conoscitore della realtà romena, che, oltre alla traduzione, ha steso le quasi trecento note, per spiegare luoghi, avvenimenti e consuetudini ignoti a un lettore non romeno, e 165 brevi schede raccolte nei Cenni biografici dei personaggi ricordati nell’opera (pp. 417-516).
In appendice, oltre alle suddette schede, vi è anche un estratto — intitolato Il cardinale dal pastrano dalla pelle di pecora (pp. 401-416) — della comunicazione resa da padre Silvestru Augustin Prunduș, ieromonaco dell’Ordine Basiliano di San Giosafat, in occasione del centenario della nascita del cardinale.