Francesco Pappalardo, Cristianità 324 (2004)
Il 26 novembre di cinquecento anni fa moriva a Medina del Campo, presso Valladolid, Isabella la Cattolica (1451-1504), regina di Castiglia e di León. Personaggio straordinario, cui si devono, fra l’altro, la conclusione della Reconquista, cioè la liberazione della penisola iberica occupata dai musulmani quasi otto secoli prima, i viaggi di Cristoforo Colombo (1451 ca.-1506) nel Nuovo Mondo e l’inizio dell’evangelizzazione delle Americhe, Isabella è ancora al centro di polemiche. Se da un lato la causa di beatificazione che la riguarda è ormai in fase avanzata, dall’altro lato l’istituzione del tribunale dell’Inquisizione e l’espulsione di ebrei e musulmani dalla penisola sono ritenute in alcuni ambienti ostacoli insormontabili per il riconoscimento della santità della regina.
a Isabella la Cattolica (Effedieffe, Milano 1992), prefato da Marco Tangheroni (1946-2004), e La Chiesa ha ucciso l’impero romano e la cultura antica? (Effedieffe, Milano 2001), con un invito alla lettura di Rino Cammilleri.
Utilizzando una gran mole di documenti, in dieci capitoli e quattro allegati (pp. 167-180), comprensivi di una bibliografia ordinata e commentata, Dumont si propone, come ricorda Vittorio Messori in Un invito alla lettura (pp. IX-XII), di smontare la “leggenda nera” contro colei che “[…] fu madre della Spagna e delle Americhe” (p. XII).
Nel capitolo I, La culla profetica (pp. 3-12), egli introduce il lettore ai luoghi e ai personaggi che hanno segnato l’esistenza d’Isabella, con attenzione particolare a Madrigal de las Altas Torres, un piccolo paese presso Avila, nella Vecchia Castiglia, dove la futura regina nasce, il 22 aprile 1451, Giovedì Santo, da re Giovanni II (1405 1454) e da Isabella di Portogallo (m. 1496), sua seconda moglie. Madrigal fu la culla spirituale della Castiglia isabellina, perché vi nacquero Maria Briceño y Contreras, prima educatrice di santa Teresa d’Ávila (1515-1582), e Alfonso de Madrigal (1410-1455), maestro dei due principali collaboratori della regina nell’azione di riforma del clero, degli ordini religiosi e dell’episcopato, il girolamino Fernando de Talavera (1428-1507) e il francescano Francisco Jiménez de Cisneros (1436-1517), arcivescovo di Toledo. A Madrigal nacque anche il venerabile Vasco de Quiroga (1470-1565), primo vescovo di Michoacan in Messico, uno degl’interpreti migliori dell’ansia evangelizzatrice d’Isabella, e vi morì l’agostiniano Louis de León (1528-1591), convertito di origine ebraica, uno dei più grandi scrittori e poeti religiosi della Spagna, esponente di spicco del “genio giudaico-cattolico” (p. 9).
Nel capitolo II, Matrimonio e avvento al trono (pp. 13-39), lo storico illustra la formazione d’Isabella, educata amorevolmente dalla madre e guidata spiritualmente dai francescani. Chiamata alla corte di Segovia dal fratello, il nuovo sovrano re Enrico IV (1425 1474), dà prova di maturità chiedendo e ottenendo il permesso di vivere in casa propria per evitare la vita dissoluta della corte; all’età di diciassette anni mostra di possedere un carattere energico e deciso, rifiutando la proposta dei seguaci del fratello minore Alfonso (1453-1468), scomparso prematuramente, di essere proclamata regina invece di re Enrico, la cui politica aveva suscitato l’opposizione armata di una parte della nobiltà e del paese. Il 19 ottobre 1469, dopo aver rifiutato numerosi pretendenti proposti dal sovrano, sposa don Ferdinando (1452 1516), principe ereditario di Aragona e re di Sicilia. Incoronata regina il 13 dicembre 1474, a Segovia, manifesterà subito uno spiccato senso dello spettacolo e della magnificenza, nonché “[…] l’arte di imporre messe in scena stupefacenti che fanno di lei un efficace ministro della propaganda e della comunicazione ante litteram, quasi una regista di film di successo” (p. 33).
Isabella si trova alla guida di una società ricca di vitalità e di energie, ma indebolita da contese intestine e dall’amministrazione poco attenta dei suoi predecessori. Grazie al coinvolgimento della nazione nell’attività riformatrice e al rispetto per le autonomie regionali e per i fueros, cioè per l’insieme di consuetudini e di privilegi delle comunità locali e dei corpi intermedi, ella gode di un largo consenso, che le permette di giungere in breve tempo alla pacificazione del paese, descritta nel capitolo III (pp. 40-58), La creazione dello Stato moderno. La valorizzazione di strutture centrali già esistenti, l’estensione a tutto il territorio di controlli amministrativi più efficaci e il ripristino dell’autorità della Corona, soprattutto nel campo della giustizia e dell’amministrazione finanziaria, sono merito della coppia regale, ma è improprio parlare della nascita di uno “Stato moderno” in assenza di un monopolio della produzione del diritto e di una sfera unica dello spazio pubblico.
Un altro problema serio affrontato dai sovrani è quello della convivenza fra ebrei e cristiani, deteriorata anche a causa del problema dei falsi convertiti al cristianesimo, tale — secondo l’autorevole storico della Chiesa Ludwig von Pastor (1854-1928) —da mettere in questione l’esistenza della Spagna cristiana. Dopo diversi tentativi di assimilazione, nel secolo XV la Corona aveva fatto propria la politica conversionistica, di cui è protagonista innanzitutto san Vincenzo Ferrer (1350-1419) che, a partire dal 1411, suscita grandi entusiasmi fra la popolazione castigliana e spinge interi gruppi di ebrei al fonte battesimale. Le conversioni sono molto numerose — forse ventimila fra il 1412 e il 1419 —, particolarmente fra i rabbini, i notabili e gli ebrei di corte, tanto che si parlerà di una disfatta teologica ebraica. Il progresso d’integrazione, però, si arresta presto proprio a causa dell’abbondanza delle conversioni e del dubbio sulla loro sincerità, dubbio che si amplifica fino a diventare un vero e proprio allarme. Sollecitato dalla regina e dal marito Ferdinando — che avevano invano promosso una campagna pacifica di persuasione nei confronti dei giudaizzanti — nel 1478 Papa Sisto IV (1471-1484) istituisce l’Inquisizione in Castiglia, con giurisdizione soltanto sui cristiani battezzati e, dunque, su quanti si fingevano cattolici per trarne vantaggi. Nel capitolo IV, dedicato a L’Inquisizione (pp. 59-83), lo storico di Lione spiega che i nuovi tribunali erano dotati di regole eque e di procedure non arbitrarie, i giudici pronti a sconsigliare l’uso della tortura o a scoraggiare denunce infondate e delazioni, le sentenze molto più miti e indulgenti dei tribunali civili del tempo. Lo spoglio statistico delle sentenze, da cui si ricava la bassa percentuale delle condanne, soprattutto di quelle alla pena capitale, ha ormai fatto venir meno l’immagine dell’Inquisizione come tribunale sanguinario. I processi dimostrano, inoltre, che molti dei nuovi cristiani continuavano in realtà a essere fedeli alla religione dei padri e che le antiche reti familiari e di amicizia fra ebrei e conversos sopravvivevano alle conversioni.
L’espulsione del 1492, illustrata nel capitolo V, intitolato appunto L’espulsione degli ebrei (pp. 84-100), non deriva, dunque, dalla pressione popolare o da una presunta ostilità antiebraica dell’aristocrazia o addirittura della Chiesa — Dumont ricorda che gli espulsi furono accolti con grande generosità negli Stati Pontifici da Papa Alessandro VI (1492-1503) —, bensì dal tentativo estremo di salvare i risultati della politica conversionistica attraverso il taglio definitivo dello stretto legame che ancora legava ebrei e conversos. I due sovrani, sperando nella conversione della grande maggioranza degli ebrei e nella loro permanenza nel regno, fanno precedere il provvedimento da un’intensa campagna di evangelizzazione, che però ottiene pochi risultati immediati. Gli attacchi subiti da Dumont dopo la pubblicazione dell’edizione spagnola e di quella francese — ricorda Messori — non hanno potuto demolire il serio impianto di documentazione di prima mano su cui l’opera si fonda, e autori non sospetti di simpatie per lo storico francese ne hanno confermato indirettamente le tesi. Fra tanti Anna Foa, nella storia degli Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione. XIV-XIX secolo (Laterza, Bari-Roma 1999), afferma che l’espulsione fu l’esito, imprevedibile e non necessario, dell’oscillazione dei due sovrani fra due politiche, quella volta alla conservazione della tradizionale tolleranza nei confronti delle minoranze religiose e quella legata alla difesa dell’omogeneità religiosa e politica del Paese. Non è un caso che l’Inquisizione dopo i primi vent’anni riduca notevolmente la sua attività, tanto che quando Isabella muore in Castiglia esistono solo sette dei sedici tribunali delle origini.
Quanto detto per i falsi conversos vale anche per i moriscos, cioè gli ex musulmani del regno islamico di Granada, i cui abitanti non erano spagnoli ma berberi e arabi impadronitisi delle terre appartenenti ai cristiani autoctoni, massacrati o costretti all’esilio in gran numero. La riconquista di quel regno è il risultato dello sforzo corale non solo di un popolo, desideroso di ricuperare le proprie terre e di riportarvi la fede, ma anche di tutta la Cristianità, che vi contribuisce con aiuti finanziari e militari, combattendo l’ultima crociata dell’Occidente (1482-1492). Alla comunità islamica viene concesso di restare coesa, socialmente e religiosamente, anche se Isabella non rinunzierà mai a una politica di conversione e di assimilazione, descritta da Dumont nel capitolo VI, Granada e i “moriscos” (pp. 101-116). Per circa un secolo i sovrani spagnoli alternano politiche blande e interventi severi di fronte alla riottosità e all’inquietudine dei mori, convertiti solo in apparenza, che animano diverse e sanguinose rivolte, vere riprese della guerra islamica in Spagna, e mantengono legami con i pirati barbareschi, finché, nel 1609, ne viene decisa l’espulsione.
L’entusiasmo religioso e nazionale che sostiene la lotta per Granada spiega anche il fatto che i sovrani accolgano, proprio nella roccaforte andalusa, due mesi dopo la vittoria, il progetto, apparentemente irrealizzabile, del genovese Cristoforo Colombo. La speranza di Isabella è quella di condurre altri popoli alla vera fede e non bada né a spese né a difficoltà per sostenere l’evangelizzazione delle nuove terre. La regina, che già nel 1478 aveva fatto liberare gli schiavi dei coloni nelle Canarie, proibisce subito la schiavitù degl’indigeni nel Nuovo Mondo e la decisione viene rispettata da tutti i suoi successori. “Garantendo allo stesso tempo la libertà temporale e la libertà spirituale degli indiani — scrive Dumont nel capitolo VII, Cristoforo Colombo e l’America (pp. 117-129) — Isabella è la madre di quella che diventerà la libera America cattolica” (p. 129). Grazie all’impegno della regina e dei suoi successori l’incontro fra popoli così diversi, come gl’iberici e gl’indoamericani, è molto fecondo, favorisce un’autentica integrazione razziale — che si realizza sotto il segno del cattolicesimo, senza incontrare le difficoltà proprie della colonizzazione di marca protestante — e determina la nascita di una nuova e originale civiltà cristiana.
Nel capitolo VIII, La prima Riforma cattolica (pp. 130-149), viene illustrata la riforma del clero, realizzata quasi un secolo prima che il Concilio di Trento (1545-1563) la estendesse a tutta la Chiesa, che favorisce la formazione di un episcopato molto preparato e all’altezza del servizio universale cui la Chiesa spagnola fu presto chiamata. Per promuovere gli studi ecclesiastici la regina fonda numerose università, anzitutto quella di Alcalá de Henares, che diventa il più importante centro di studi biblici e teologici del regno. Altro merito suo è la riforma degli ordini religiosi, maschili e femminili, i cui membri crescono notevolmente di numero e forniscono alla Chiesa non soltanto una legione di santi e di missionari — che si prodigarono specialmente nell’evangelizzazione delle Canarie, dell’emirato musulmano di Granada, delle Americhe e delle Filippine —, ma anche una schiera di uomini di vasta cultura e di profonda religiosità, che negli anni seguenti diedero importanti contributi alla Riforma cattolica e al Concilio tridentino.
La grandezza di Isabella non si esprime solo nella sua opera politica, sociale e religiosa, ma anche “nella riscoperta nella bellezza” (p. 150), tanto da potersi parlare di uno “stile Isabella”, espresso da preziosi monumenti — illustrati puntigliosamente nel capitolo IX, La bellezza (pp. 150-158) —, a loro volta frutto della collaborazione di molti artisti stranieri, del ritorno dell’arte alle origini cristiane e dell’alleanza del genio ebraico con il cattolicesimo. “La Spagna, oggi, deve a Isabella il fatto di trovarsi in Europa, incoronata dalla bellezza cristiana, e non in Maghreb o in Israele” (p. 158).
Benché presso i contemporanei fossero quasi unanimi il plauso per le virtù d’Isabella e l’ammirazione per la sua vita esemplare — di cui Dumont dà conto nel capitolo X, La santità (pp. 159-166) —, la diffusione di una “leggenda nera” sulla Spagna cattolica, le guerre di religione dei secoli XVI e XVII, la difficoltà di consultare i documenti relativi alla vita e alla politica della regina hanno ritardato notevolmente l’apertura della causa di beatificazione. Ma la fama di santità è cresciuta nei secoli, anche con il procedere dell’indagine storica, così che nel 1958 si è aperta nella diocesi di Valladolid la fase preliminare del processo di canonizzazione, giunto ormai a una tornata decisiva con il giudizio positivo espresso, il 6 novembre 1990, da una commissione storica nominata dalla Congregazione delle Cause dei Santi sulla Positio historica super vita, virtutibus et fama sanctitatis della serva di Dio.
L’auspicio di Messori è che il quinto centenario della morte della “Regina cattolica” — il titolo onorifico di Re Cattolici fu attribuito dalla Chiesa, nel 1496, a Isabella e al marito Ferdinando — possa coincidere con la beatificazione della sovrana, per la quale Dumont si è tanto impegnato sotto il profilo del ristabilimento della verità storica (cfr. Anastasio Gutierrez Poza C.M.F. [1911-1998], La serva di Dio Isabella la Cattolica, modello per la nuova evangelizzazione, intervista a mia cura, ibid., anno XX, n. 204, aprile 1992, pp. 11-16).
Francesco Pappalardo