PierLuigi Zoccatelli, Cristianità n. 404 (2020)
Presieduti da S.E. mons. Antoine Nabil Andari, vescovo ausiliare dell’eparchia di Joubbé, Sarba e Jounieh — sede propria del Patriarca di Antiochia dei Maroniti —, alle ore 17 di domenica 2 agosto, nella chiesa Saint-Siméon di Ghosta — villaggio del distretto di Kesrouan, nel governatorato del Monte Libano, in Libano — si sono svolti i funerali di Jocelyne Khoueiry, morta a Jbeil (Byblos) il 31 luglio, dopo una lunga malattia, presso il Centro ospedaliero universitario Notre Dame des Secours, dell’Ordine Libanese Maronita. Al rito funebre ha partecipato un gran numero di fedeli, all’interno e all’esterno della chiesa — in ragione delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria del COVID-19 —, e fra di essi numerosi sacerdoti e religiosi, nonché personalità del mondo istituzionale e politico: fra costoro, Amine Gemayel, presidente della Repubblica Libanese nel 1982-1988; il deputato Roger Azaz in rappresentanza del Capo dello Stato, Michel Aoun; il leader politico e militare della resistenza cristiana in Libano, Fouad Abou Nader; il parlamentare Samy Gemayel, attuale presidente del partito Kataeb.
Tratteggiare un profilo biografico di Jocelyne Khoueiry significa ripercorrere la storia del Libano contemporaneo, tanto la sua vita si è intrecciata con le vicende del Paese dei cedri e nelle sue complesse sfaccettature geopolitiche, belliche e socio-religiose. Non a caso la vita di Jocelyne è già stata oggetto di una biografia in due edizioni — la prima del 2005 e la seconda, rivista e aumentata, del 2015 — per opera delle giornaliste e scrittrici francesi Nathalie Duplan e Valérie Raulin, di cui esiste pure una traduzione italiana (1).
Nata il 15 agosto 1955 — nella solennità dell’Assunzione di Maria — nella capitale libanese e cresciuta nel quartiere Saïfi di Beirut Est, non lontano dal porto e dal mare, la giovane Jocelyne cresce sotto la guida dei genitori Boulos e Kamleh, in una famiglia che conterà otto figli, di cui Jocelyne è la quarta. In un periodo di rapidi sconvolgimenti, che condurrà alla «distruzione del Libano come popolo, come patria e come Stato», nel corso del quale «indubbiamente la questione palestinese ha esercitato sugli avvenimenti del Libano un’influenza tanto profonda quanto remota» (2), Jocelyne Khoueiry si appassiona alle vicende politiche della sua nazione fin dagli anni del liceo, quando s’iscrive alle scuole superiori presso l’istituto di Chahrouri nel quartiere di Achrafieh, sempre a Beirut Est, dove inizia a frequentare le attività politiche del Kataeb — le Falangi Libanesi, in arabo al-Katā’eb al-Lubnāniyya, fondate nel 1936 da Pierre Gemayel (1905-1984) —, contrassegnate dal motto: «Dio, Patria, Famiglia». È già iscritta al corso di giornalismo presso l’Università Libanese — terminerà il ciclo di laurea nel 1978 —, quando nel 1975 scoppia quella che sarà chiamata «la guerra in Libano (1975-1990)» (3), ciò che spingerà Jocelyne ad arruolarsi nelle milizie del Kataeb, insieme a molti giovani cattolici libanesi, per prendere parte alla difesa della comunità cristiana, minacciata nella propria esistenza e nella propria libertà.
In questa fase della sua vita, Jocelyne si rende particolarmente celebre come capo (raïsseh) dei reparti femminili combattenti — arriverà a comandare più di mille giovani —, partecipando nel 1975 alla cosiddetta «battaglia degli hotel», difendendo in particolare, insieme a sei ragazze, un edificio strategico nella piazza dei Martiri la notte del 6 maggio 1976 e riuscendo a neutralizzare in quella circostanza un attacco di almeno un centinaio di miliziani palestinesi.
Sarà proprio durante quella notte di battaglia — come ella stessa ricorderà a più riprese in seguito — che Jocelyne sperimentò una specialissima protezione della Vergine Maria, alla quale affidò l’incolumità delle sue commilitoni, pregando la Madonna di proteggerle. L’episodio, drammatico e al tempo stesso percepito come un dono miracoloso, segnerà in profondità Jocelyne, che pur continuando la sua routine politico-militare inizierà a meditare in sé sulla sua autentica vocazione cristiana.
Proprio di questa vocazione ha voluto parlare il Patriarca dei Maroniti, card. Béchara Boutros Raï O.M.M., nell’orazione funebre letta durante la funzione di commiato del 2 agosto. In essa — come ha ricordato Fady Noun in un recente articolo, ripreso in traduzione italiana dal portale AsiaNews — «il porporato ha insistito non sul percorso da combattente di Jocelyne Khoueiry, ma sul suo cammino di fede che l’ha condotta, con la stessa passione, quasi cinque anni fa, al conseguimento di un dottorato in teologia all’università dello Spirito Santo a Kaslik. Lasciando da parte gli anni 1975-1979, dove faceva parte delle “forze regolari” del partito in guerra del Kataeb, e gli anni 1980-1985, quando si è unita alle Forze Libanesi (FL) e ha profuso ogni sforzo per “evangelizzarle”, tanto che un ex miliziano convertito di nome Assaad Chaftari l’ha paragonata a una “pastorale militare”, il patriarca ha parlato di “conversione radicale della vita”, caratterizzata da un incrollabile attaccamento all’Eucaristia e alla Vergine Maria» (4).
Da autentica comandante qual era, un tale compito Jocelyne lo aveva reclamato e se lo era visto attribuire in prima istanza, nel 1980, durante un importante incontro a quattr’occhi con il capo politico e militare della resistenza cristiana libanese, sheikh Bachir Gemayel (1947-1982), eletto presidente della Repubblica, ma che il 14 settembre 1982, nove giorni prima dell’investitura ufficiale, nella festività liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce, cadrà vittima di un attentato. Questi le affidò il compito di occuparsi della formazione morale e valoriale delle militanti libanesi. Come ricorderà lei stessa in un’intervista del 1989: «Proprio nel 1980, con le altre donne che dirigevano con me il settore femminile delle Forze Libanesi, mi sono resa conto che il nostro cristianesimo era inadeguato, spesso una semplice indicazione di appartenenza, e che eravamo lontane dal vivere la fede, la speranza e la carità evangeliche come devono farlo autentiche fedeli della Chiesa cattolica.
«Abbiamo così scoperto una dimensione che andava oltre sia l’aspetto nazionale che quello militare della nostra lotta, cioè abbiamo messo a fuoco una Verità con la maiuscola: una Verità che certamente contiene tutto quanto avevamo fatto fino ad allora, ma pure lo oltrepassa. In sostanza, abbiamo capito che la storia ha un senso e che Gesù Cristo è il Signore della storia e quindi la dirige con la sua Provvidenza e con il suo Amore» (5).
Così, il 31 maggio 1988 — nella festa della Visitazione della Beata Vergine Maria —, assieme a quaranta responsabili femminili della resistenza, Jocelyne Khoueiry si dimette dallo Stato Maggiore delle Forze Libanesi per dare inizio a una nuova forma di apostolato nella società libanese, fondando il movimento laicale femminile cattolico La Libanaise-Femme du 31 Mai, con lo scopo «[…] di servire il Libano alla luce dell’insegnamento della Chiesa cattolica e di formare la donna perché assuma e svolga correttamente il suo ruolo nella Chiesa e nella società» (6). In virtù della profonda sintonia in termini di apostolato e di vocazione all’impegno culturale e politico, Alleanza Cattolica — che fin dagli anni 1970 seguiva con intensa partecipazione i destini della resistenza cristiana in Libano (7) — incontra ben presto il movimento fondato da Jocelyne Khoueiry, cosicché per un intero trimestre, dall’ottobre al dicembre del 1989, ella e alcune sue militanti saranno invitate per condurre una tournée di conferenze nell’intera Penisola, con numerosi incontri e conferenze pubbliche promosse da Alleanza Cattolica e realizzate grazie alla collaborazione di diverse realtà ecclesiali e associative (8). Una collaborazione feconda, quella fra Alleanza Cattolica, Jocelyne Khoueiry e La Libanaise-Femme du 31 Mai, che durerà anche negli anni 1990 e che si andrà sviluppando proprio nei mesi cruciali in cui s’intensificava la violenza straniera contro il Libano — ciò che conferma la tesi secondo la quale si trattava di «una guerra per gli altri» (9), come l’aveva puntualmente definita il giornalista, politico e diplomatico libanese Ghassan Tuéni —, quando sarà il magistero di san Giovanni Paolo II (1978-2005) a ricordare al mondo intero che «[…] il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente!» (10).
La generosità nell’impegno socio-culturale e di apostolato di Jocelyne Khoueiry, anche come fondatrice d’iniziative e associazioni, non termin però qui. Nel 1995, dopo la lettura e la meditazione dell’enciclica Evangelium vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana, percependo l’urgenza del tema, Jocelyne dà vita all’associazione Oui à la vie, nata per risvegliare le coscienze sul senso morale della vita: l’associazione sarà ben presto incorporata nella Commissione episcopale per la famiglia e la vita dell’Assemblea dei Patriarchi e Vescovi cattolici del Libano. Ancora, nel 2000, Jocelyne fonda il Centre Jean-Paul II, finalizzato a svolgere opere di servizio sociale e di il dialogo culturale. Ma la sua azione non si esaurisce nelle molteplici attività svolte nella madrepatria, non da ultimo come conseguenza di varie responsabilità a lei affidate dalla Santa Sede: nel 2010 partecipa ai lavori dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, nel 2014 è relatrice all’Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, e nello stesso anno viene chiamata a far parte del Pontificio Consiglio per i Laici.
Come suo desiderio, il corpo di Jocelyne Khoueiry è stato vegliato presso la cappella delle monache carmelitane scalze del Carmelo della Théotokos e dell’Unità nel villaggio di Harissa, nel distretto di Kesrouan. Si tratta del monastero alle cui porte Jocelyne aveva bussato sul finire degli anni 1970, con il proposito di abbracciare la vita consacrata e che rimarrà nei decenni successivi un centro d’irradiazione spirituale di fondamentale importanza per lei e per le sue militanti. Al termine della veglia, e prima dell’arrivo degli addetti alle pompe funebri, le monache carmelitane sono rimaste sole con l’amica e loro figlia spirituale per tanti decenni «per poi, colte da ispirazione, mettere il loro mantello di monache di clausura sul corpo di Jocelyne e considerarla in via ufficiale una di loro», dopo averla incoronata di fiori e incensata. Cosicché sul monte di Harissa, dove a poche centinaia di metri dal Carmelo sorge l’imponente santuario di Nostra Signora del Libano — patrona e protettrice del Paese dei Cedri —, Jocelyne Khoueiry ha coronato il suo desiderio spirituale più intimo e può ora contemplare il Volto di Dio, sotto il manto della Vergine del Carmelo, della Regina Libani, che ha intensamente amato e pregato per sé e per la sua così tanto amata nazione e che a noi rimane d’implorare, per la nostra personale salvezza e per la rinascita del Libano.
PierLuigi Zoccatelli
Note:
1) Cfr. Nathalie Duplan e Valérie Raulin, Jocelyne Khoueiry l’indomptable, Le Passeur, Parigi 2015; trad. it. della 1a ed., Il cedro e la croce. Jocelyne Khoueiry, una donna in prima linea, Marietti, Milano 2008.
2) Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Libano, Lettera pastorale «Un Libano degno dell’uomo», del 10-12-1988, trad. it. in Cristianità, anno XVII, n. 169, maggio 1989, pp. 3-7 (p. 4).
3) Cfr. il mio La guerra in Libano (1975-1990),in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale (a cura di), Dizionario del Pensiero Forte, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/la-guerra-in-libano-1975-1990> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 23-9-2020).
4) Fady Noun, Jocelyne Khoueiry, cristiana appassionata, da Kataëb alle carmelitane di Harissa, 3-8-2020, nel sito web <http://www.asianews.it/notizie-it/Jocelyne-Khoueiry,-cristiana-appassionata,-da-Kata%C3%ABb-alle-carmelitane-di-Harissa-50712.html>.
5) Cit. in Marco Invernizzi, Per un Libano al servizio della Chiesa, in Cristianità, anno XVII, n. 167-168, marzo-aprile 1989, pp. 15-16.
6) Ibid., p. 16.
7) Cfr. Giovanni Cantoni (1938-2020), Il martirio di Bashir Gemayel e il risveglio del Libano cattolico, ibid., anno X, n. 90, ottobre 1982, pp. 1-3.
8) Cfr. Testimonianza per il Libano, ibid., anno XVIII, n. 178, febbraio 1990, pp. 15-18.
9) Cfr. Ghassan Tuéni (1926-2012), Une guerre pour les autres,Jean-Claude Lattes, Parigi 1985.
10) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica a tutti i vescovi della Chiesa cattolica sulla situazione nel Libano, del 7-9-1989, n. 6.