Paolo Martinucci, Cristianità n. 410 (2021)
Dopo le canonizzazioni del beato Nicolò Rusca (1563-1618), l’arciprete di Sondrio, martire della fede per mano di protestanti svizzeri — allora la Valtellina apparteneva al cantone dei Grigioni —, e di san Luigi Guanella (1842-1915), fondatore della Congregazione dei Servi della Carità e dell’Istituto delle Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza, le terre della Valchiavenna e della Valtellina, costitutive della provincia di Sondrio, hanno dato alla Chiesa universale un altro esempio di santità, quello di suor Maria Laura Mainetti (1939-2000), della congregazione delle Figlie della Croce. Infatti, il 6 giugno 2021, suor Maria Laura è stata proclamata beata a Chiavenna, la cittadina che l’ha vista versare il sangue del martirio, con una cerimonia presieduta dal prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, card. Marcello Semeraro, concelebranti il vescovo di Como, mons. Oscar Cantoni, e numerosi altri presuli e presbiteri.
1. Il contesto famigliare
Teresina Elsa, questo il nome al secolo di suor Maria Laura, nasce il 20 agosto 1939, a Colico (Lecco), un paese situato all’estremo nord della sponda orientale del Lago di Como, ultima dei dieci figli di Stefano (1904-1963) e di Marcellina Gusmeroli (1908-1939), originari di Tartano (Sondrio) — piccolo paese montano situato alla quota di milleduecento metri —, trasferitisi nel borgo lacustre per motivi di lavoro. Infatti, dopo la nascita dei primi figli — Romilda (1927), Luigi (1928), Achille (1929) ed Ermanno (1930), morto alcuni mesi dopo la nascita (1) —, i due sposi, venduto ogni loro avere, avevano deciso di trasferirsi a Colico, dove avevano acquistato «[…] un terreno di circa 5.000 m2 e vi [avevano costruito] una casetta di quattro locali con annessa una stalla per due mucche e un paio di vitelli» (2). In questa modestissima abitazione avrebbero visto la luce altri fratelli: Ermanno (1932), Amedeo (1933), Giovanni (1934), Celso (1935) e Maria Enrica (1937), deceduta l’anno successivo. Dopo questa nascita, a Marcellina veniva consigliato «[…] di non mettere più al mondo dei figli perché la sua vita era a rischio. I due sposi, che non volevano venir meno ai precetti della Chiesa, si affidarono alla divina Provvidenza» (3).
Il parto di Teresina è «[…] molto difficile. Tuttavia la mamma, già il giorno seguente, [riprende] le proprie faccende domestiche. Ma solo due giorni dopo, atroci dolori la [costringono] a letto: setticemia. [Muore] il 2 settembre a soli 31 anni» (4).
Il nome Teresina, impostole al fonte battesimale della chiesa di Villatico, una frazione di Colico, il 22 agosto, è scelto perché il padre è molto devoto a santa Thérèse di Lisieux (1873-1897), la suora carmelitana e dottore della Chiesa comunemente conosciuta come Teresa del Bambino Gesù. Al riguardo il fratello Amedeo sostiene: «Vicino alla nostra casa c’era l’Istituto Scuola Apostolica di Santa Teresa del Bambino Gesù, tenuta dai Padri Betharramiti. Mio padre era molto devoto di questa nuova Santa da poco canonizzata. Ricordo che p. Giuseppe Airoldi, che assistette la mamma durante tutta la sua agonia, donò a mio padre una reliquia della Santa. Il papà volle pertanto chiamarla Teresina, mentre la mamma voleva il nome di Elsa. Allora le fu posto il nome di Teresina Elsa» (5).
Teresina viene affidata a due zie paterne, residenti a Tartano. Vi rimane fino a maggio del 1940, quando suo padre contrae un secondo matrimonio con Martina Della Bianca (1906-1989). La piccola rientra in famiglia, a Colico: spesso ammalata e di gracile costituzione, tanto da sembrare sempre sul punto di morire, gode — come afferma Amedeo — dello «speciale trattamento e molto materno» (6) di Martina, sempre «ricambiato totalmente da lei in modo sincero fino alla sua morte» (7); e viene assistita, oltre che dalla nuova mamma, da «[…] persone buone che si occuperanno di lei; prima fra tutte la sorella Romilda di appena 12 anni» (8). Il nuovo nucleo famigliare si amplia con la nascita dei fratellastri Livio (1941), Aurelia (1942), Piera (1943), Carmelina (1944) che muore un anno dopo, Maria Enrica (1946), Enrico (1950) e Giuseppina (1952).
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) le difficoltà economiche della famiglia aumentano: la prole è numerosa e il padre, senza un reddito fisso, stenta a procurarsi il necessario e quanto produce l’allevamento delle poche mucche non basta. La situazione viene a complicarsi ulteriormente quando questi ha la malaugurata idea di vendere il piccolo appezzamento di terreno e la casa di Colico con l’intenzione di acquistare «un’azienda agricola un po’ più grande […] in Brianza» (9). Il suo tergiversare nel concludere l’affare, in un periodo di alta inflazione, porta alla svalutazione di quanto aveva incassato. Nel giro di poco tempo si trova «[…] con un pugno di spiccioli di fronte al valore dell’azienda che nel frattempo era triplicato» (10), senza il terreno e senza il bestiame. Per sfamare la famiglia svolge lavori saltuari «[…] qua e là, così come si [presenta] l’occasione» (11).
Teresina, quindi, nasce in una famiglia «[…] numerosa, umile, modesta, che [conosce] la miseria e il lutto, ma [sa] forgiare con la sua fede solida e profonda» (12) i propri figli e, pur tra difficoltà di ordine economico, cresce «[…] gracile, ma serena, capace di suscitare tenerezza e amabilità perché sempre contenta e sorridente» (13).
La sua giornata inizia con la sveglia al mattino presto e lo studio a digiuno, perché in queste condizioni, sostiene il padre, la memoria è più attiva e l’apprendimento è facilitato, e continua con la partecipazione alla Messa, che, segnala il fratello, «[…] nella vicina Casa Apostolica si celebrava di seguito dalle 5 del mattino fino alle 8» (14). Alla domenica, poi, le Messe devono essere almeno due, «una al mattino presto e l’altra solenne alle 10,30» (15), con l’obbligo di ripetere a tavola l’omelia ascoltata (16) —, poi la scuola e l’aiuto in famiglia. Il padre è molto severo ed esigente circa la formazione religiosa e il rispetto delle norme morali: chi non ascolta bene le omelie udite in parrocchia corre il rischio di saltare il già povero pasto; chi commette qualcosa di disdicevole viene mandato a letto senza cena (17). La giornata si conclude con la recita delle orazioni e del rosario serale, «poi ancora qualche lettura e meditazione» (18).
Nei momenti liberi dai doveri famigliari la bambina gioca con le amiche coetanee, prediligendo «il salto della corda, nascondino o altri giochi» (19); ed è «[…] molto ubbidiente, gentile e sorridente con tutti e [soffre] se qualcuno dei suoi fratelli [viene] castigato» (20). Regolare è pure la sua frequenza al catechismo nella chiesa di Colico, dove il 13 ottobre 1948 riceve il sacramento della cresima dal vescovo di Como, mons. Felice Bonomini (1895-1974).
A testimonianza della sua bontà e del suo donarsi agli altri, il fratello Amedeo ricorda un episodio dell’amicizia coltivata con una ragazzina di nome Laura Valsecchi, figlia unica di un’agiata famiglia. Essendo questa gravemente ammalata e bisognosa di assistenza — suo padre era morto e la mamma era impegnata nel lavoro —, Teresina passa tanti pomeriggi al suo capezzale e lo fa fino alla sua morte. In ricordo di questa amicizia, ne adotterà il nome quando diventerà suora.
2. Gli studi e la vocazione religiosa
Nella Casa Apostolica operavano le suore della congregazione delle Figlie della Croce, fondata in Francia da sant’Andrea Uberto Fournet (1752-1834) e da santa Giovanna Elisabetta Bichier des Ages (1773-1838) nel drammatico periodo della Rivoluzione francese (1789). La superiora, madre Maria Amelia, già «grande amica della mamma [Marcellina]» (21), si interessa tanto della sua educazione da trovare «[…] una generosa signora che se ne [occupa] e l’[aiuta]» (22) — la mamma della sua amica Laura —, soprattutto quando, terminata la scuola elementare nel 1951, viene indirizzata a Parma, dove la congregazione gestisce l’Istituto Laura Sanvitale: qui frequenta la scuola media e l’istituto magistrale.
È ancora un’adolescente e Dio la chiama alla vocazione religiosa. Teresina, diventata suor Maria Laura, narrerà in uno dei suoi scritti: «“Ero ancora giovane quando, in confessione, rispondendo alla domanda che un Sacerdote mi aveva rivolto: ’Ma tu cosa vuoi fare nella tua vita?’; si fece in me il progetto di Dio: fare della mia vita qualcosa di bello per gli altri. […] Io non ci avevo mai pensato…Ho risposto subito… non so chi me lo ha suggerito, penso lo Spirito Santo che è dentro di me. La sua risonanza in me mi riempì di gioia. Sentivo che avrei dato un senso pieno alla mia vita”» (23).
Così, nel dare concretezza alla sua risposta, matura in lei la vocazione religiosa. Alla fine dell’ultimo anno delle magistrali Teresina comunica alla famiglia la sua decisione: vuole diventare una Figlia della Croce. Tuttavia, le si presenta un grave problema: la visita medica, che il postulantato richiede, diagnostica dei focolai di tubercolosi. Grandi sono la sua delusione e lo scoramento, temendo di non essere accettata. Si affida al Signore — così testimonia il fratello Amedeo — e la sua guarigione avviene nel giro di due mesi (24).
Con altre dieci giovani, nel mese d’agosto 1957, inizia il postulantato a Roma, nella casa provinciale delle Figlie della Croce, sulla via Cassia. E l’11 febbraio 1958, festa della Madonna di Lourdes, di cui ricorreva il centenario delle apparizioni, indossa l’abito religioso, assumendo i nomi di Maria in onore della madre di Cristo e di Laura, in ricordo della sua piccola amica deceduta prematuramente (25). Il 15 agosto 1959, festa dell’Assunta, emette a Roma i voti di povertà, castità e obbedienza; cinque anni dopo — il 25 agosto 1964 — nella casa madre di La Puye, diocesi di Poitiers (Francia), si consacra totalmente al Signore con i voti perpetui, offrendo al Signore — «sulla scia di sant’Ignazio [di Loyola (1491-1556)]» (26) — la propria libertà, la memoria, l’intelligenza e la volontà (27) e chiedendo la grazia di vivere la vera carità (28), una vita, come dirà, «disponibile fino a dare la vita come Gesù» (29).
3. La missione di educatrice e l’apostolato
Concluso il noviziato, suor Maria Laura rientra a Roma nel 1959. Qui frequenta l’Istituto Comprensivo Via Padre Semeria, conseguendo l’abilitazione magistrale. Il suo primo impegno come insegnante della scuola elementare è presso la casa della congregazione di Vasto (Chieti), dove rimane due anni. Inizia una fruttuosa attività scolastica e di sostegno all’iniziazione cristiana, di cui rimangono molte testimonianze all’interno degli istituti della congregazione. Dal 1963 al 1969 opera all’Istituto Immacolata di Chiavenna (Sondrio); negli anni che vanno dal 1969 al 1973 la ritroviamo a Roma come docente nella scuola elementare Santa Giovanna Elisabetta. Ritorna a Chiavenna nel 1973 e vi rimane fino al 1979; dal 1979 al 1984 è a Parma; nel 1984 di nuovo a Chiavenna come insegnante nella scuola elementare, poi, alla chiusura di questa, nella scuola materna e come educatrice in un pensionato appositamente istituito per un gruppo di studentesse frequentanti il locale istituto alberghiero; in questa cittadina rimarrà fino alla morte (30). Quindi, ben ventotto anni della sua quarantennale missione di educatrice cristiana saranno spesi nelle vicinanze della terra natia, nel nord della Lombardia.
In ogni luogo suor Maria Laura intesse relazioni durature e profonde, con gli alunni e con le loro famiglie, attraverso le relazioni epistolari, le comunicazioni telefoniche e, a seconda delle circostanze e delle occasioni, gli incontri personali (31).
Svolge le proprie attività nel silenzio e nell’umiltà, mostrando tuttavia di essere una religiosa forte, decisa e allo stesso tempo mite. I suoi interventi sono sempre centrati sulla parola di Dio, sulle finalità della missione della congregazione o tesi a sostenere qualcuno in difficoltà. Nei tempi sottratti all’attività di educatrice, è sempre in primo piano nello svolgere le faccende interne alla casa, avocando a sé i lavori più umili, senza ostentazione alcuna (32).
È «cordiale, sincera, fedele negli affetti e umanissima con tutti» (33), è semplice e sorridente, dotata di animo grande, di pensiero concreto e di buonumore. In lei, testimoniano tante consorelle, si intuisce «la sua corsa verso l’amore» (34), la carità più autentica, frutto della quotidiana meditazione della parola di Dio. Per non dimenticare coloro che a lei si rivolgono, tappezza la sua camera con dei foglietti adesivi, a mo’ di promemoria; a tutti sorride, come una sorella accogliente e disponibile, semplice nelle relazioni, capace di dare risposte immediate anche alle più piccole richieste (35). Suor Maria Laura lascerà scritto: «Sono felicissima, soprattutto perché ogni giorno scopro l’amore di Dio per me, malgrado i miei limiti e poi cerco di scorgerlo nel volto dei miei fratelli che incontro nella ferialità, con un’attenzione particolare ai più disagiati o in difficoltà» (36). Perché «Gesù disse “Ero malato e sei venuto a trovarmi. Avevo fame e mi hai dato… Avevo sete … Ero in carcere” (Mt 25). Dio è l’altro, è presente in tutti, è tutto in tutti (1Cor 15,28). Questo è il volto di Dio così come ci è stato rivelato da Gesù: il volto dei suoi fratelli più piccoli» (37).
Nel 1987 assume l’incarico di responsabile della comunità delle Figlie della Croce di Chiavenna. Un giorno, mentre con le consorelle si trova in cappella a pregare, sente suonare il campanello. Nonostante la giornata faticosissima, si alza, va ad aprire il portone, poi rientra in cappella e con il sorriso sul volto dice: «Voi pregate pure questo Gesù in cappella, io, Gesù, lo incontro di là» (38). Alla porta si era presentata una signora bisognosa di tanta attenzione nell’ascolto dei suoi problemi, da incoraggiare e da accudire in servizi umili (39).
Ancora più solerte e premurosa è nei confronti dei giovani, i quali sanno «[…] di poter contare su di lei perché ciascuno [è] per lei unico, importante» (40). Da «educatrice nata» (41) vuole conoscere il mondo e il linguaggio della cultura giovanile, interessandosi alle «[…] diverse esperienze realizzate, [non tirandosi] mai indietro per le proposte in loro favore» (42). E in questa prospettiva sfrutta al meglio le varie occasioni che le si presentano: «[…] catechesi, oratorio, campi scuola, scuola elementare prima e materna poi, pensionato, riunioni di ex alunni, incontri personali» (43); va sempre oltre l’attività di insegnante, accompagna le giovani, creando il clima adatto, stimolando la collaborazione (44).
4. Il martirio
Proprio questa sua dedizione verso la gioventù la condurrà all’estremo sacrificio di sé stessa: tre ragazze del luogo, Ambra Gianasso, Milena De Giambattista e Veronica Pietrobelli, tutte minorenni, l’attireranno in una trappola e la uccideranno, con l’intenzione, in un primo tempo dichiarata, di compiere un gesto clamoroso per «risvegliare Chiavenna» (45) e «[…] rompere la monotonia della vita noiosa che conducevano» (46). In realtà esse, come risulta dagli atti processuali, hanno «[…] quale loro esclusivo interesse la finalità […] del gruppo medesimo, quella di incontrare satana e avere dallo stesso una dimostrazione della sua esistenza e potenza. […] In questo contesto [matura] la decisione di immolare a satana una vittima innocente» (47). Si sono infatti abbeverate, prima, alla subcultura dell’occultismo e, successivamente, a quella del satanismo (48), «[…] leggendo riviste che circolano anche in ambiente scolastico, ascoltando le canzoni rock di Marilin [sic] Manson e seguendo trasmissioni sull’argomento. Le tre [vogliono] incontrare satana e per questo, senza alcun pudore, anche in ambiente pubblico, quale il bar da loro frequentato, attraverso un rituale [evocano] lo spirito maligno. Il rito [consiste] nel recitare il Padrenostro e l’Avemaria al contrario, allo scoccare della mezzanotte, davanti a uno specchio, sul quale [viene] disegnato un cerchio coronato da numeri “6”. […] Al termine di quella messa in scena, nello specchio avrebbero dovuto riflettersi gli occhi di fuoco di satana» (49). Ma questo non basta alle ragazze: occorre una successiva iniziazione, attraverso un rito sacrilego, partendo dal furto di una Bibbia «[…] per bruciarne sul sagrato della […] chiesa di San Lorenzo [la chiesa parrocchiale] le pagine e conservarne poi, la copertina (effettivamente recuperata dagli inquirenti); in questo atto [vengono] coinvolte altre amiche del trio, [che risultano] estranee, però, al delitto» (50).
Affascinate dalle tematiche della morte, del sesso e della droga, le tre vogliono ribellarsi alla morale tradizionale e sviluppano «l’interesse morboso e costante per le pratiche sataniche, attraverso l’acquisto, la lettura di libri e la pratica di rituali rudimentali» (51); «[…] temi oggetto di interminabili corrispondenze e annotazioni su diari, che riportano pure vari “motti” tratti dalle canzoni del controverso cantante rock Manson» (52), che si concretizzano ad extra in parodie blasfeme della religione cattolica, tendenti alla negazione dei valori della vita e della civiltà cristiana (53).
Pensano pure di entrare a far parte di sette sataniche più organizzate, ma vi rinunciano, temendo di essere coinvolte in iniziazioni di carattere sessuale; pertanto, optano per qualcosa di più semplice, «[…] che [consiste] nel miscelare in un bicchiere acqua benedetta con il proprio sangue, ricavato tramite il taglio alla mano o al polso, e ingerirlo» (54). Altri segni della loro ossessione: «I diari personali […] infarciti di numeri “6”, inni e invocazioni a satana, frammenti di crocifisso staccato dall’aula scolastica, disegni di croci capovolte realizzati con pennarello nero. Inoltre sul corpo delle tre giovani si riscontrano cicatrici conseguenti a gesti di autolesionismo che sono la verifica delle loro dichiarazioni: un interesse sempre più crescente ed esclusivo per satana e il mondo del male» (55).
Rafforzato il «sodalizio» con questo genere di ritualità, cominciano a pensare a un sacrificio a Satana, un atto che deve, a loro dire, scandalizzare la città di Chiavenna, un gesto «[…] contro il bene rappresentato dalla religione cattolica, nelle sue manifestazioni e nei suoi rappresentanti» (56): «[…] profanare una tomba, immolare un bimbo, una donna incinta, un prete, una suora» (57). Ciò, tuttavia, sembra loro di difficile realizzazione; decidono, pertanto, di applicarsi nelle manifestazioni antireligiose, scartando quindi ogni ipotesi di rivolgersi verso i laici, e centrando la loro progettazione criminale su soggetti religiosi; «[…] e la scelta definitiva sarà su suor Maria Laura» (58), che verrà quindi sacrificata a Satana.
Il piano prevede di ingannare la religiosa, attirandola in un luogo solitario, per poi ucciderla. Una delle tre telefona a suor Maria Laura e, mentendole, chiede aiuto per non abortire, essendo incinta in conseguenza di una violenza. Un’altra, Veronica, che dichiara il falso nome di Erica, la sera di sabato 3 giugno 2000 ottiene un appuntamento con la suora nella località Pratogiano, nelle vicinanze della chiesa parrocchiale di San Lorenzo. Tuttavia, la religiosa prudentemente avvisa una persona «esperta in questo genere di aiuto» (59), la quale si presenta con lei all’incontro. La ragazza, evidentemente infastidita per questa presenza inaspettata, se ne va immediatamente.
Suor Maria Laura pensa che il comportamento di «Erica» sia dovuto al pudore nel dover trattare l’argomento davanti a persona estranea e si promette di operare con maggiore sensibilità nei confronti di chi le chiederà aiuto. Nel frattempo, non desiste e cerca di convincerla a riprendere i contatti e a presentarsi direttamente all’Istituto Immacolata. La piccola comunità delle Figlie della Croce rimane in attesa alcuni giorni (60).
Alle 21 e 45 del 6 giugno, mentre le suore, terminata la preghiera comunitaria, si stanno ritirando nelle proprie camere, suona il telefono: è la finta Erica che, con voce alterata, chiede aiuto. La telefonata viene passata a suor Maria Laura, la quale, «per prudenza e una certa paura» (61), lasciato l’Istituto, decide di prestarle soccorso, non senza aver prima avvisato il parroco, don Ambrogio Balatti, circa la motivazione della sua uscita e il luogo dell’appuntamento. Questi decide di fare un breve sopralluogo nella località indicatagli, prima a piedi e poi in bicicletta. Incontra la religiosa in Piazza Castello: è serena, «tranquilla, anzi, contenta» (62), ha già incontrato la ragazza, che, al momento, si è allontanata, dicendo di recarsi nel luogo dove aveva i bagagli, per poi ritirarsi assieme a lei nell’Istituto. Il sacerdote le chiede se deve accompagnarla: la religiosa fa capire che non è proprio il caso, anche per evitare che si possa ripetere quanto era accaduto alcuni giorni prima.
Suor Maria Laura si allontana e va incontro a «Erica». Qui entrano in scena le altre due ragazze, che «[…] recitano la parte delle amiche che appoggiano la proposta della suora e si adoperano per aiutarla» (63): invitano la religiosa a raggiungere, nelle vicinanze, un luogo poco frequentato, dove, dicono, «Erica» ha posteggiato l’automobile con gli effetti personali (64).
Lungo il tragitto, in una zona al buio, le tre ragazze danno sfogo al loro odium fidei. Colpiscono suor Maria Laura «[…] inizialmente […] alla testa con un cubetto di porfido e con una coltellata, è fatta poi inginocchiare per fini simbolici-ritualistici […] e di nuovo ripetutamente colpita dalle ragazze che, nel contempo, lanciano insulti contro di lei e fanno uso scambiandoselo, di un grosso coltello per consumare il loro macabro rito. La suora prega e invoca il perdono per le sciagurate ragazze» (65). Mentre lei chiede aiuto e dice «Signore, perdonale», le urlano: «Bastarda, devi morire!» (66). La lasciano a terra «sola, torturata, sfigurata, […] rantolante» (67).
Nel corso delle esequie, celebrate venerdì 9 giugno, il vescovo di Como, mons. Alessandro Maggiolini, prima ancora dell’esito delle indagini sull’efferato delitto, già ne preconizza la palma del martirio: «Suor Maria Laura, tu ci consoli con una carezza e ci rassicuri che vivi presso il tuo e nostro Signore: Tu, una lieve donna tra coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide con il sangue dell’Agnello» (68).
Note:
1) Cfr. [Suor] Beniamina Mariani [F.C.], Suor Maria Laura Mainetti Figlia della Croce. Prendi il largo e fa’ della tua vita qualcosa di bello per gli altri, Editrice Velar, Gorle (Bergamo) 2020, pp. 8-9.
2) Ibid., p. 9.
3) Ibidem.
4) Ibidem.
5) Cit. ibid., p. 10.
6) Cit. ibid., p. 11.
7) Cit. ibidem.
8) Ibidem.
9) Ibidem.
10) Ibidem.
11) Cit. Ibidem.
12) Ibid., p. 13.
13 Eadem, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, con Prefazione di mons. Alessandro Maggiolini (1931-2008), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2005, p. 40.
14) Cit. in Eadem, Suor Maria Laura Mainetti Figlia della Croce. Prendi il largo e fa’ della tua vita qualcosa di bello per gli altri, cit., p. 12.
15) Cit. Ibidem.
16) Cfr. ibid., pp. 12-13.
17) Cfr. ibid., p. 13.
18) Cit. ibidem.
19) Ibidem.
20) Ibidem.
21) Eadem, Suor Maria Laura Mainetti Figlia della Croce. Prendi il largo e fa’ della tua vita qualcosa di bello per gli altri, cit., p. 15.
22) Eadem, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, cit., p. 45.
23) Cit. in Eadem, Suor Maria Laura Mainetti Figlia della Croce. Prendi il largo e fa’ della tua vita qualcosa di bello per gli altri, cit., p. 21. Tutte le citazioni in doppio virgolettato («“…”») di questo capitolo e di quello successivo riportano affermazioni di suor Maria Laura, così come si trovano nei suoi appunti o nelle sue lettere.
24) Cfr. ibid., pp. 15-16.
25) Cfr. ibid., pp. 16-17.
26) Eadem, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, cit., p. 50.
27) Cfr. ibidem.
28) Cfr. Eadem, Suor Maria Laura Mainetti Figlia della Croce. Prendi il largo e fa’ della tua vita qualcosa di bello per gli altri, cit., p. 18.
29) Cit. ibid., p. 19.
30) Cfr. Eadem, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, cit., p. 53.
31) Cfr. ibid., pp. 63-76.
32) Cfr. ibid., p. 54.
33) Ibidem.
34) Ibid., p. 55.
35) Cfr. ibid., p. 56.
36) Cit. in Eadem, Suor Maria Laura Mainetti Figlia della Croce. Prendi il largo e fa’ della tua vita qualcosa di bello per gli altri, cit., p. 21.
37) Cit. ibid., p. 23.
38) Cit. ibidem.
39) Cfr. ibidem.
40) Eadem, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, cit., p. 63.
41) Ibidem.
42) Ibidem.
43) Ibidem.
44) Cfr. ibidem.
45) Testimone d’Amore. Suor Maria Laura Figlia della Croce, Casa Madre, La Puye-Francia, Casa Provinciale- Roma, Comunità di Chiavenna, s. d., p. 6.
46) Cfr. B. Mariani, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, cit., p. 29.
47) Cit. ibidem.
48) Per un’esauriente analisi del fenomeno satanista, cfr. Massimo Introvigne, Il satanismo, Elledici, Torino 1997; Idem, Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici, dallo spiritismo al satanismo, SugarCo, Milano 2003 e Idem, I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo, SugarCo, Milano 2010.
49) B. Mariani, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, cit., p. 29.
50) Ibid., p. 30.
51) Ibid. p. 31.
52) Ibidem.
53) Cfr. ibidem.
54) Ibid., p. 30.
55) Ibidem.
56) Ibidem.
57) Ibidem.
58) Ibid., p. 31.
59) Ibid., p. 24.
60) Cfr. ibid., pp. 24-25.
61) Ibid., p. 25.
62) Ibidem.
63) Ibid., pp. 25-26.
64) Cfr. ibid., p. 26.
65) Testimone d’Amore. Suor Maria Laura Figlia della Croce, cit., p. 11.
66) B. Mariani, Maria Laura Mainetti. La suora di Chiavenna Figlia della Croce, cit., p. 26.
67) Ibidem.
68) Cit. ibid., p. 23.