Ecc.za,
L’emergenza sanitaria seguita alla diffusione del Coronavirus sta colpendo tutti gli italiani, le migliaia di ammalati ma anche tutta la popolazione che è costretta a cambiare le principali abitudini della propria vita.
In conseguenza delle indicazioni delle autorità civili, anche la Conferenza episcopale ha fatto proprie le indicazioni del governo, compresa «l’interpretazione» che «include rigorosamente le Sante Messe», così disponendo la cessazione delle celebrazioni con la presenza dei fedeli.
Questo fatto ha colpito e addolorato sacerdoti e laici, ha sollevato le solite polemiche da parte di chi vuole trovare un nuovo pretesto per criticare pubblicamente i vescovi, ma ha suscitato in molti anche la domanda se non poteva essere trovata una soluzione diversa, che salvaguardasse il bene della Messa, almeno nei giorni feriali, come ha sottolineato il Patriarca di Venezia, quando le chiese sono frequentate da un numero ridotto di fedeli ed è certamente possibile che si dispongano a un metro l’uno dall’altro, come prevede l’ordinanza governativa.
D.
Lei cosa pensa in proposito?
R.
Non potendo far riferimento ad una competenza specifica nel merito della epidemia, inizialmente ho condiviso la sensazione di tanti che le misure restrittive fossero anche un po’ eccessive; poi seguendo gli sviluppi della situazione mi sono confermato nella convinzione che siamo di fronte ad un problema molto serio soprattutto per la “novità” di questo virus, da una parte, e i limiti oggettivi dei posti letto in rianimazione necessari per salvare i malati, dall’altra.
La necessità di limitare il contagio si impone e il modo migliore è sicuramente quello di evitare il più possibile contatti e prossimità.
Una siffatta linea di condotta ha portato inevitabilmente a considerare anche le situazioni di concentrazione di persone nelle chiese per la celebrazione della liturgia e per la preghiera, procedendo verso restrizioni sempre più severe fino alle ultime disposizioni, che impediscono le cerimonie religiose in forma assoluta.
Anche nella mia Diocesi, fino a quando è stato possibile, abbiamo favorito la celebrazione della Santa Messa con la partecipazione dei fedeli promovendo con attenzione tutte le necessarie precauzioni come la distanza tra le persone, l’omissione del segno di pace, ecc.
Al momento attuale ci adeguiamo alle norme e abbiamo sospeso le celebrazioni liturgiche con il popolo. Personalmente, come ha fatto la maggior parte dei Vescovi, ho ribadito ai sacerdoti l’opportunità e il dovere di celebrare ogni giorno la Santa Messa, facendolo sapere ai fedeli, non perché vi partecipino, ma affinché si uniscano spiritualmente con la preghiera, aiutati anche dalla trasmissione in TV, in radio o sui social di Sante Messe o altre preghiere.
Ho chiesto ai sacerdoti di tenere sempre aperte le chiese per la preghiera personale, di esporre il Santissimo Sacramento e di garantire la loro presenza per il Sacramento della Penitenza e per dare la Santa Comunione ai singoli fedeli che lo richiedano.
Da questo punto di vista trovo eccessive le polemiche in quanto la Chiesa non rinuncia alla Santa Messa, che incessantemente viene celebrata per la sua edificazione e per la salvezza di tutti; la mancata partecipazione fisica dei fedeli dovuta alla necessità contingente può e deve essere colmata dalla loro preghiera, dal ricorso alla Comunione spirituale, dalla disponibilità dei sacerdoti all’incontro personale e soprattutto dalla convinzione che il valore del Sacrificio di Cristo offerto sull’altare ha efficacia e dona frutti anche nella impossibilità, eccezionale e involontaria, di prendervi parte.
Aggiungo che, nella convinzione fondamentale che anche da questo tristissimo momento il Signore «farà concorrere tutto al bene» (cfr. Rm 8, 28), ai noi sacerdoti e ai fedeli è data una rinnovata occasione di riscoprire il fatto, spesso trascurato, che la Santa Messa ha valore infinito, universale, pieno ed efficace in se stessa, per quello che custodisce e celebra, e non in dipendenza dalle circostanze, anche preziose e significative come la presenza e la partecipazione materiale del popolo cristiano.
Non esiste una Messa celebrata senza l’intima unione di tutto il popolo di Dio in quanto, come ribadito dai testi conciliari, la liturgia è sempre espressione del culto pubblico integrale del corpo mistico di Cristo: «per il compimento di quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (Sacrosanctum Concilium, 7, 4 dicembre 1963).
Sempre il testo conciliare precisa: «Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata. Ciò vale soprattutto per la celebrazione della messa benché qualsiasi messa abbia sempre un carattere pubblico e sociale e per l’amministrazione dei sacramenti» (SC 27).
Si può dunque discutere sull’opportunità pedagogica di non privare i fedeli della partecipazione fisica alla Santa Messa, ma non si può dire che la Chiesa rimanga senza Eucaristia e neppure che i fedeli siano impediti ad una «fruttuosa e attiva partecipazione» in quanto, in questa circostanza grave ed eccezionale, possono e devono unirsi mediante la fede e la preghiera e, quando le circostanze lo permettono, possono anche accostarsi alla Santa Comunione fuori della Messa: in tale modo non sono mai privati dei frutti spirituali della divina Eucaristia e vengono costantemente e misteriosamente incrementati nella loro appartenenza al corpo di Cristo.
È importante che questa catechesi illumini i cuori dei fedeli e, oggi più che mai, li consoli, così come deve sostenere i sacerdoti in un momento complicato dell’esercizio del loro ministero, che dalla fatica e dal sacrificio può essere anche avvalorato.
D.
Come vive da vescovo questa disposizione che cambia la vita religiosa in tutte le diocesi italiane? Che disposizioni ha dato in proposito nella sua diocesi?
R.
Per quanto riguarda la vita religiosa più che di cambiamento (spero che la situazione si risolva nel minor tempo possibile) parlerei di lettura religiosa e profetica di questo difficile passaggio.
Con tanta preoccupazione i Vescovi italiani hanno aderito alle indicazioni delle autorità per la prevenzione del contagio da Covid19 e sinceramente non condivido le posizioni che da una parte leggono le norme come un’ingerenza indebita con eventuali secondi fini oppure che, dall’altra parte, considerano la risposta dell’episcopato come un segno di scarsa fede nella preghiera e nella Messa e come un inquinamento da secolarismo presuntuoso da attitudine scientista e tecnologica. Penso più semplicemente che, in una condizione di grande incertezza – anche da parte della scienza – l’osservanza di norme di salvaguardia costituisca un segno di collaborazione solidale e di rispetto della condizione di tante persone fragili fortemente esposte anche al rischio di vita. Tutto ciò senza privare i fedeli della preghiera, dei Sacramenti e della carità pastorale.
L’occasione di una tribolazione così grande, determinata da lutti, apprensione, sacrifici, fatiche e contraccolpi per l’umana convivenza, deve indurre pastori e fedeli ad una riflessione di fede, che consideri alcune tematiche oggi spesso dimenticate come il mistero del male, la assurda presunzione dell’autosufficienza umana, la provvidenza di Dio, la forza e il valore della preghiera, la gioia di formare un solo corpo nella Chiesa di Gesù e, non ultima, una riflessione sulla organizzazione della vita politica e sociale esaminando con rinnovata e coraggiosa attenzione i criteri che vengono posti a fondamento di essa.
Personalmente cerco di stare molto vicino ai miei sacerdoti e ai fedeli mediante i contatti telefonici e il sito diocesano per incoraggiare e per creare una rete di preghiera, che continui a donare a tutti una percezione “fisica” della comunione ecclesiale, derivante anche dalla consapevolezza che noi sacerdoti siamo vicini alla nostra gente condividendone il dolore e lo smarrimento e soprattutto alimentando in essi una visione di fede, che susciti la preghiera, sostenga la speranza e generi carità.
Come ho già ricordato, in Diocesi ho disposto che le chiese siano aperte, che i fedeli possano reperire facilmente i sacerdoti, che si continuino a celebrare le Sante Messe senza la partecipazione del popolo di Dio.
D.
C’è grande confusione in molti e circolano molte false notizie tipo “chiusura delle chiese”, “divieto di celebrazione della Messa”, “assenza della possibilità di accedere ai sacramenti”. Potrebbe aiutare a fare chiarezza e a smentire certe affermazioni che generano scompiglio e non aiutano i fedeli a farsi un’adeguata idea della situazione?
R.
Le chiese non sono chiuse e i fedeli non sono affatto privati del conforto della fede e dei sacramenti.
La contingenza attuale prevede che venga differito ciò che è possibile differire, che non si creino assembramenti di persone e dunque non sia possibile la celebrazione della Santa Messa con il popolo, e altri accorgimenti per limitare i contatti fisici e quindi la possibilità di contagio.
Ribadisco che la celebrazione quotidiana della Santa Messa, garantita dai vescovi e dai sacerdoti per il popolo e “con” il popolo anche se senza il popolo, è la nostra grande risorsa spirituale, il baluardo contro il male, la speranza più sicura che il male sarà sempre sconfitto.
Ricorderemo questa Quaresima, che ci impone un digiuno amaro e drammatico: vengono in mente le oscure parole di Gesù «verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno» (Mt 9, 15). Sono i giorni della tribolazione, che si manifesta in forme molteplici e oggi ha la fisionomia della paura e della insicurezza; tutto questo offusca lo splendore della fede e il digiuno, legato all’assenza dello sposo, diventa purificazione e grido.
La grande fatica che ognuno di noi vive in questo momento concorra a rinnovare l’invocazione corale della Chiesa, con cui si conclude la Bibbia: «Lo Spirito e la sposa dicono “Vieni!” E chi ascolta ripeta: “Vieni!”. Chi ha sete venga; chi vuole prenda gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22, 17).
Mercoledì, 11 marzo 2020