Maurizio Dente, Cristianità n. 100 (1983)
La plurisecolare azione rivoluzionaria sta, nel nostro secolo, tentando di pervenire alla conquista del potere mondiale attraverso il suo braccio secolare, l’Unione Sovietica. Quotidianamente nazioni libere cadono vittime della aggressione socialcomunistica, e altre, già schiave, vedono soffocati tutti i tentativi fatti per liberarsi dal giogo sotto il quale languono. Accanto alla violenza diretta si situa quella svolta attraverso moderni giannizzeri che diffondono su tutto il globo i germi della sovversione e della esasperazione delle naturali difficoltà storiche. La metodica denuncia dell’opera di sovvertimento, diretta oppure indiretta, che semina nel mondo morte e odio. La esemplarità delle reazioni di popoli, come quello afgano e quello libanese, in legittima difesa contro la Rivoluzione.
Contro l’imperialismo socialcomunistico
Per la vita delle nazioni nella libertà e nella verità
Di fronte al groviglio apparentemente inestricabile delle crisi locali – aspetti o riflessi dell’unica crisi in cui si dibatte quella che è stata la Cristianità occidentale -, Alleanza Cattolica è andata svolgendo in questi anni la sua azione propagandistica, con scopi ben precisi: anzitutto seguire attraverso le vicende internazionali lo sviluppo del processo rivoluzionario, descriverne le tappe e, qualche volta, anticiparne i passaggi; quindi mettere in guardia, mediante iniziative vessillari, la opinione pubblica cattolica e anticomunistica, fornendo a essa le coordinate ideologiche per una corretta lettura di eventi che la deformazione dei massmedia e la propaganda di parte rischiano di rendere incomprensibili o di travisare.
Dalla messa in guardia sul mito cileno, della «rivoluzione nella libertà» teorizzata dal democristiano Eduardo Frei, al monito sulla ambiguità di una soluzione golpistica segnalata come una possibile battuta d’arresto tattica voluta dalle più consapevoli tra le guide della Rivoluzione – Un «golpe» salva il mito della «via cilena»? era il titolo del n. 1 di Cristianità, che oggi pare tragicamente attuale -; della scomposizione della versione autogestionaria del socialismo francese all’esame delle sue analogie italiane, per dimostrare come l’universo frammentato della società autogestita non è che una somma di micro-mondi totalitari dominati dal rousseauiano principio della «volontà generale»: diversi pseudo-assiomi ideologici, ma anche complicità e omissioni che servono a comprendere «come vince la Rivoluzione», sono stati oggetto di analisi nei fascicoli di Cristianità; nelle campagne pubbliche di Alleanza Cattolica; nelle conferenze e negli incontri presso parrocchie, circoli culturali, case private; nell’opera individuale di animazione svolta da militanti convinti della efficacia dei piccoli mezzi, non scoraggiati di fronte al prepotere degli strumenti di informazione e al radicamento di luoghi comuni ideologico-politici riecheggiati e veicolati da quegli stessi ambienti che dovrebbero esserne immuni, e convinti che, nonostante tutto, «per quanto si sia inondati dai sofismi, un errore mille volte ripetuto resta un errore, sempre confutabile» (1).
In questo spirito Alleanza Cattolica ha cominciato, già nel 1976 – pressoché sola a fianco del Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi (2) -, una campagna di controinformazione sull’esempio offerto dal popolo cattolico libanese, che reagisce a una guerra di aggressione condotta dall’URSS attraverso i siriano-palestinesi (3), cui di recente si sono aggiunti i socialisti drusi e alcune fazioni musulmane, e alla presenza sul territorio nazionale di forze di occupazione israeliane.
Dietro le difficoltà incontrate in questa campagna, qualche volta dietro una solidarietà timorosa di rendersi pubblica, si sono potuti cogliere i risultati ottenuti da quella modalità della guerra psicologica che è la calunnia (4); le espressioni della cattiva coscienza dell’Occidente nei confronti di questa enclave cristiana nel mondo arabo, che nel millennio e mezzo della sua storia ha costantemente rifiutato di recidere i legami culturali con esso e di lasciarsi integrare dall’Islam (5) a prezzo di spaventose persecuzioni; e i frutti avvelenati del progressismo cattolico, che in questi anni ha tentato di «rimuovere» la fastidiosa immagine di cristiani combattenti, in radicale opposizione con la loro predicazione di una pace che non concepiscono agostinianamente come la tranquillità dell’ordine, ma, semplicemente, come assenza di guerra, dimenticando che essa non è passività o capitolazione dinanzi al disordine più o meno violento e che evangelicamente beati sono quegli operatori di pace che soffrono mille tormenti e anche la morte piuttosto di ubbidire alle imposizioni della ingiustizia e lasciarsi disorientare dalla falsa pace del mondo.
«Contro ogni socialismo», «perché nessun socialismo possa mai più diventare reale» (6) è stato lo slogan, direttamente tratto dagli insegnamenti della lezione polacca (7), con cui Alleanza Cattolica ha reagito agli eventi del 13 dicembre 1981: solidarietà fraterna con una nazione cattolica, indignazione e doverosa reazione contro un’altra pagina della storia sanguinaria del socialismo reale, ma, soprattutto, volontà di chiarificazione dottrinale davanti alla intossicazione della opinione pubblica subito avviata per occultare la sostanza degli avvenimenti polacchi, cioè la loro «lezione principale», come l’ha definita Aleksandr Solzenicyn (8).
Mentre gli esponenti di un arco di forze che andava dai trotzkysti, «eretici» del comunismo, ai rappresentanti del totalitarismo suadente della socialdemocrazia scendevano nelle strade e presidiavano le ambasciate, la propaganda ufficiale si preoccupava di inquinare il quadro descrivendo l’irrigidimento militare del governo comunistico come un golpe, quasi che Jaruzelsky non fosse il segretario del Partito Operaio Unificato Polacco, il POUP, oltre che il capo dell’esercito, e lasciando dunque capire che i carri armati, le centinaia di morti e gli arresti presentavano l’aspetto consueto delle repressioni militari piuttosto che il volto più vero di un regime socialistico il cui modello di coesistenza pacifica con la Chiesa, che ci si sforzava di accreditare, era andato in pezzi (9).
Piuttosto che unirsi a un coro composto da troppe voci ipocrite, a una condanna ambigua che, enfatizzando l’intervento militare mirava a salvare la ideologia socialistica, Alleanza Cattolica ha organizzato proprie iniziative intese a illustrare i termini reali della «conferma polacca», e a dare il proprio contributo affinché di qui a poco non ci si debba trovare a fare la conta delle vittime di un altro socialismo divenuto reale.
Per impedire il contrabbando della «via cilena»
All’inizio degli anni Settanta, un paese sudamericano diviene il laboratorio di una nuova, possibile strategia mondiale del comunismo: minoritario, a capo di una coalizione che comprende frange cattolico-progressistiche, con il voto determinante della Democrazia Cristiana in parlamento (10), il socialista Salvador Allende viene eletto, nel 1970, presidente della repubblica in Cile.
Gli aveva aperto la strada il programma di riforme socialistiche di struttura – tra cui quella agraria – del suo predecessore, il democristiano Eduardo Frei, uno dei maggiori responsabili della crisi che ancora travaglia quel paese cattolico.
Decisivo è, inoltre, l’atteggiamento compromissorio delle gerarchie ecclesiastiche: il cardinale primate, Raul Silva Henriquez, giunge al punto di dichiarare lecito per un cattolico votare un candidato marxista (11); settori della Chiesa cilena, dai gesuiti all’associazionismo istituzionale, prendono apertamente posizione per l’alleanza di sinistra denominata Unidad Popular, dopo avere svolto negli anni precedenti un profondo lavoro di agitazione rivoluzionaria.
In Cile, il socialismo entra subito in tensione con la libertà (12); ciò nonostante il mito della «via cilena» infiamma le sinistre europee: si vuole dimostrare che il comunismo può prendere il potere con libere elezioni e può mantenerlo nella libertà.
Ma come è stata possibile, nella realtà, la conquista del potere da parte dei socialcomunisti? Il n. 0 di Cristianità, che esce nell’estate del 1973, pubblica una lucida analisi che è una denuncia delle responsabilità: l’autodemolizione della Chiesa è il fattore capitale della demolizione del Cile (13).
Nel giro di tre mesi, da ottobre a dicembre del 1973, le edizioni Cristianità pubblicano due libri: Crepuscolo artificiale del Cile cattolico e Frei, il Kerensky cileno (14).
Il primo reca in copertina una fascetta esplicativa: «per capire i fatti avvenuti in Cile, per impedire il contrabbando della via cilena in Italia» …
L’esempio libanese: cristiani che resistono
Il 9 ottobre 1977 papa Paolo VI proclama santo il monaco maronita Charbel Maklouf. Per i cristiani libanesi accorsi a San Pietro e per quelli rimasti in patria si tratta di una parentesi di serenità e di una speranza che si accende per il futuro. La storia di una nazione è anche – se non soprattutto – fatta dai suoi santi e dai suoi martiri: quelli del Libano si fondono benissimo con le vicende di questo paese, costantemente sottoposto alla tentazione della resa, della omologazione religiosa e culturale a un Islam che è totalitario per vocazione, mentre dall’altra parte si trova la non facile alternativa della persecuzione e della lotta. Una linea ideale congiunge gli esordi della nazione libanese ai drammatici avvenimenti odierni: da san Marone, di cui 350 discepoli sono massacrati nel 517 per la loro fedeltà al cristianesimo, a san Charbel – 23 anni di vita eremitica, di preghiera e di penitenza -, a Bashir Gemayel, che aveva dichiarato di sentirsi pronto al sacrificio (15) e il cui destino è simile a quello di un altro uomo politico cattolico: il presidente ecuadoriano Gabriel Garcia Moreno (16).
Alleanza Cattolica segnala il carattere esemplare della vicenda libanese a una opinione pubblica frastornata da una informazione lacunosa, superficiale, avversa di principio a questi ostinati cristiani che resistono, tendente a presentare la guerra in Libano come una guerra civile e non una guerra di aggressione combattuta per procura. Vengono organizzate decine di incontri, conferenze e veglie di preghiera nelle principali città italiane con esponenti delle comunità religiose cattolico-orientali e maronita e rappresentanti delle Forze Libanesi Unificate. A Milano, il 21 ottobre 1976, il V incontro degli amici di Cristianità è centrato sul tema Libano, un popolo cattolico in legittima difesa: il 18 dicembre 1978, a una manifestazione organizzata con il Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi interviene l’archimandrita greco-cattolico padre Mircea Clinet; nel Natale del 1979, alla santa messa officiata dal procuratore generale dell’Ordine Libanese Maronita presso la Santa Sede, padre Joseph Mahfouz, si prega per una giusta pace nel Libano; a Genova, il 23 gennaio 1981, presso la prestigiosa sala Quadrivium, un rappresentante delle Forze Libanesi Unificate in Europa, Camille Tawil, espone le ragioni del suo popolo insieme al dottore della biblioteca ambrosiana, mons. Enrico Galbiati, e allo storico professor Marco Tangheroni. Altri incontri si tengono a Modena, Ferrara, Napoli, in Sicilia.
Polonia: la fine di quale speranza?
I carri armati di Jaruzelsky segnavano, la mattina del 13 dicembre 1981, la fine della speranza della fuoriuscita della Polonia dal socialcomunismo (17) o, piuttosto, la fine di quel «modello polacco» costruito in un paese che per varie ragioni – storia, tradizione, radicamento della Chiesa cattolica – era divenuto, per il comunismo, un luogo privilegiato per esperimenti che già qualcuno suggeriva di imitare?
Per i militanti di Alleanza Cattolica la «conferma polacca» era una nuova occasione per meditare su una verità evidente ma non, per questo meno utile da ripetere di fronte alle tante «categorie di comodo» (18), come la «deformazione asiatica», il «capitalismo di Stato», il «culto della personalità», utilizzate per giustificare ogni nuovo fallimento storico del socialismo.
Comprendere il senso degli avvenimenti in Polonia, ricavarne una lezione da trasmettere per evitare una loro ripetizione, oltre alla doverosa solidarietà con un popolo fratello sono stati gli scopi delle iniziative e delle prese di posizione di Alleanza Cattolica, divenuta «segno visibile», anche se «pusillus grex», in mezzo «all’indifferenza ed alla superficialità di molti», in numerose città d’Italia, come affermato a Napoli, alla veglia di preghiera e di solidarietà con la resistenza polacca, dal rappresentante di S.E. il cardinale Ursi, il 23 dicembre 1981 (19).
Afghanistan: un ricordo da tenere vivo
L’interrogativo posto da un settimanale a grande tiratura era retorico: nessuno pensava, in Occidente, in quel drammatico esordio degli anni Ottanta, mentre il ponte aereo faceva affluire uomini e carri dell’Armata Rossa in Afghanistan, che si potesse «morire per Kabul» (20).
La lontananza di quest’altro scenario del socialismo reale, considerato a torto secondario, e la mancanza di informazioni provenienti da una resistenza anticomunistica «primitiva» e per nulla attrezzata sul piano propagandistico contribuivano a «giustificare» il silenzio della grande stampa. Analogamente tacitavano la coscienza dei pacifisti – già impegnati dal 1979 a impedire il recupero occidentale del gap negli armamenti nucleari accumulato nei confronti dei sovietici -, e quella degli intellettuali che, di tanto in tanto, rivolgono a sé stessi, con valore liberatorio, l’interrogativo «come mai il silenzio sull’Afghanistan dopo la mobilitazione sul Vietnam?», senza avere il coraggio di darsi la risposta.
Per rompere il silenzio, Alleanza Cattolica organizza manifestazioni con rappresentanti della resistenza afgana e con testimoni oculari della guerra di sterminio condotta dai sovietici con le armi chimiche e la tecnica della «terra bruciata» nei confronti della popolazione civile.
L’Afghanistan è un ricordo da tenere vivo. Le iniziative continuano: a Lecce, il 16 aprile scorso, una testimonianza di eccezione: è offerta dalla presenza del principe Abdullah Hassan della famiglia reale afgana, da poco rientrato dal suo paese dove ha prestato opera di chirurgo negli ospedali da campo dei mojaheddin.
A Piacenza, Alleanza Cattolica dà vita, insieme a numerose altre organizzazioni, al Comitato per la libertà in Afghanistan. Con la organizzazione di una mostra fotografica intitolata Afghanistan prima e dopo, a Palazzo Farnese, e con la promozione di marce pubbliche di solidarietà – l’ultima nel terzo anniversario della invasione sovietica -, la città è forse la più attiva d’Italia nel sostenere la resistenza degli afgani: farla conoscere alla opinione pubblica è tutto quanto si può fare, da qui, per i mojaheddin anticomunisti. Ma è molto più del silenzio e della rassegnazione.
La verità sulla «via cilena», la segnalazione della vicenda dei cristiani libanesi come paradigma di un futuro sempre possibile per i cattolici, la mobilitazione dopo i fatti polacchi per ripetere una «verità dimenticata»; ma anche la documentazione sulla guerra delle Falkland (21) sulla volontà del popolo di El Salvador di resistere attraverso il voto alla guerriglia socialcomunistica e all’azione di trasbordo ideologico, della infida Democrazia Cristiana di Duarte (22) e le notizie sulla resistenza armata per non dimenticare il Vietnam a sette anni dalla «liberazione» comunistica (23), sono alcuni tra i principali interventi davanti agli scenari sempre nuovi della crisi internazionale: così Alleanza Cattolica pensa a sé stessa, al proprio ruolo, come a quello di una sentinella di vedetta, che guarda lontano, quanto più possibile, per vedere dove va la Rivoluzione e gettare l’allarme. A tutte le coscienze rette, a tutti coloro che hanno ancora la volontà e il coraggio di reagire.
Maurizio Dente
Note:
(1) JACQUES PLONCARD D’ASSAC, Manifeste nationaliste, Plon, Parigi 1972, p. 140.
(2) CLCL, Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi, via Castelmorrone, 8 – 20129 Milano.
(3) «Noi lottiamo contemporaneamente contro i palestinesi, i siriani e la sinistra internazionale. Il Libano aveva accolto con liberalità i rifugiati palestinesi al momento del loro esodo nel 1948. Meno di vent’anni dopo, eccoli accanirsi a distruggere il paese che li ha ospitati, per dominarlo. L’aggressione palestinese era stata programmata, organizzata, alimentata dalla Siria. Staccate i palestinesi dalla Siria e tutto il terrorismo crolla. […] La sinistra internazionale ha tutto l’interesse ad annientare questo paese che ha rappresentato per tanto tempo il modello realizzato di una economia libera. La comunità cristiana ne costituisce il nocciolo e il legame vivente con il mondo occidentale. Essa costituisce quindi la vittima naturalmente designata alla vendetta di Mosca» (BASHIR GEMAYEL, Le ragioni politiche dei cristiani libanesi, intervista a cura di Camille Tawil, in Cristianità, anno VI, n. 43, novembre 1978).
(4) «Ogni mezzo per indebolire questa resistenza verrà continuamente utilizzato e, non riuscendo a scalfirla con metodi politici o militari, ecco che periodicamente ritornano le calunnie e le menzogne per screditarla davanti alla opinione pubblica libanese e internazionale» (B. GEMAYEL, Insinuazioni calunniose contro la resistenza cristiana in Libano, intervista a cura del Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi, ibid., anno VIII, n. 66, ottobre 1980). Vittime di questa guerra psicologica, che è anche guerra delle parole, i cristiani libanesi, organizzati nelle Forze Libanesi Unificate, vengono regolarmente definiti dalla stampa «falangisti», «cristiano-conservatori» e «milizie di destra», con chiari intenti demonizzatori; in questo stesso senso vanno ricordate le dichiarazioni dell’esponente della Organizzazione per la Liberazione della Palestina Abu Jhad al Corriere del Ticino del 19-9-1980 – subito riprese e amplificate dalla stampa italiana come da una unica orchestra – sul presunto addestramento per opera dei Kataeb – il movimento fondato da Pierre Gemayel – di terroristi «di destra». Si tratta di una tecnica di disinformazione consistente nel rilanciare sull’avversario accuse di cui si è oggetto e ben diversamente fondate, come d’altronde è emerso in occasione di diversi processi a terroristi comunisti.
Più recentemente si è assistito anche al tentativo di addossare ai Kataeb, o a non meglio identificate «squadre cristiane», le uccisioni di palestinesi nei campi di Sabra e Chatila, di contro al silenzio quasi totale in cui è passato, il 14 settembre scorso, il primo anniversario dell’assassinio del presidente eletto del Libano Bashir Gemayel e di decine di dirigenti del Kataeb nell’attentato dinamitardo contro la sede del movimento a Beirut est.
(5) «Sì, siamo colpevoli di essere i depositari di una eredità. […] È anacronistico morire perché si vuole rimanere liberi? Gli insegnamenti dell’Occidente li abbiamo sempre accolti con molta attenzione e con molto profitto. Nella grave crisi morale che esso oggi attraversa, ci sia permesso di ricordargli, con l’esempio di questi giovani che muoiono volgendo le spalle al mare, il senso del coraggio e della dignità» (B. GEMAYEL, Le ragioni politiche dei cristiani libanesi, cit.).
(6) Cfr. ALLEANZA CATTOLICA, La conferma polacca, manifesto del dicembre 1981, in Cristianità, anno IX, n. 80, dicembre 1981.
(7) Cfr. GIOVANNI CANTONI, «Polonia docet», ibidem.
(8) Cfr. L’Express, 15/21-1-1982.
(9) Il problema di una pacifica coesistenza della Chiesa con il comunismo – impossibile a meno che la Chiesa non accetti di presentare una immagine sfigurata di Dio stesso, rinunciando a insegnare alcuni precetti del decalogo- è organicamente affrontato nel saggio del professor PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, La libertà della Chiesa nello Staio comunista. La Chiesa, il decalogo e il diritto di proprietà, trad. it., Cristianità, Piacenza 1978. Sulle illusioni alimentate a proposito del modello polacco; cfr. G. CANTONI, «Che cosa può fare l’Occidente per aiutare la Polonia», in Cristianità, anno IX, n. 70, febbraio 1981.
(10) Ecco i risultati delle elezioni presidenziali, a suffragio universale, del 4 settembre 1970: Allende 36, 3%, Alessandri (conservatore) 34,9%, Tomic (democristiano) 27,8%. Sommando i voti dei due partiti non marxisti, Allende era in netta minoranza. ma in parlamento la Democrazia Cristiana decide di fare confluire i propri voti su di lui invece che su Alessandri. Il Cile imbocca un tunnel di odio, di miseria e di lutti da cui, a dieci anni di distanza, non è ancora uscito.
(11) Cfr. il quotidiano di Santiago Ultima hora, 24-4-1969.
(12) Il MIR, Movimiento de Izquierda Revolucionaria, formazione armata della estrema sinistra, opera la classica manovra di spostare al centro il governo socialcomunistico con le proprie azioni terroristiche. Per il comunismo – che opera con il binomio «paura-simpatia» – esso svolge il ruolo di atterrire i moderati, gli incerti, i deboli: meglio Allende che gli estremisti! Intanto il sistema privato dell’informazione viene smantellato: più di 90 radio passano direttamente o indirettamente sotto il controllo del governo, i giornali di opposizione vengono minacciati, la pubblicità statale negata alla stampa non allineata.
(13) Cfr. L’autodemolizione della Chiesa, fattore capitale della demolizione del Cile, manifesto della TFP cilena, in Cristianità, anno 1, n. 0, luglio-agosto 1973, ora in P. CORRÊA DE OLIVEIRA e TFP CILENA, Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico, ed. it., Cristianità, Piacenza 1973.
(14) Cfr. FABIO VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA, Frei, il Kerensky cileno, trad. it., Cristianità, Piacenza 1973.
(15) «Trentatré anni è l’età del sacrificio e non ancora quella in cui si cominciano a coltivare le ambizioni. Infatti, finché il territorio libanese rimane occupato da forze straniere e finché si tratta essenzialmente di liberarlo, nessuno di noi ha il diritto di nutrire ambizioni e il senso nazionale più elementare impone ai miei compagni e a me di soffocarle» (B. GEMAYEL, Insinuazioni calunniose contro la resistenza cristiana in Libano, cit.). Sulla formazione della nazione libanese cfr. anche p. JOSEPH MAHFOUZ O.L.M., L’essenza del maronitismo e il suo ruolo nella conservazione del cattolicesimo in Oriente, in Cristianità, anno VIII, n. 66, ottobre 1980. Sulle ultime vicende, per un panorama anche informativo sul problema libanese, cfr. CAMILLE TAWIL, Libano. Persecuzione e resistenza, Arte Grafica, Verona 1979.
(16) Il parallelo in G. CANTONI, Il martirio di Bashir Gemayel e il risveglio del Libano cattolico, in Cristianità, anno X, n. 90, ottobre 1982, che prende spunto dal drammatico avvenimento per offrire una interpretazione religiosa, politica e storica della crisi libanese.
(17) Cfr. G. CANTONI, «Polonia docet», cit.
(18) Cfr. ALEKSANDR SOLZENKYN, Presentazione a IGOR SAFAREVIC, II socialismo come fenomeno storico mondiale, trad. it., La Casa di Matriona, Milano 1980, pp. 1-3.
(19) Dal messaggio di don Vincenzo Branno parroco della Chiesa dell’Ascensione in-Napoli, durante la veglia di preghiera e di solidarietà con la Polonia organizzata da Alleanza Cattolica, alle rampe Brancaccio, il 23-12-1981, con l’adesione dei diversi gruppi ecclesiali.
(20) Cfr. G. CANTONI, È suonata «l’ora della Russia»?, in Cristianità, anno VIII, n. 57, gennaio 1980.
(21) Cfr. Cristianità, anno X, n. 86-87, giugno-luglio 1982, fascicolo interamente dedicato alla guerra delle Falkland.
(22) Cfr. MARCO INVERNIZZI, Note sulle elezioni in El Salvador, ibid., anno X, n. 84, aprile 1982.
(23) Cfr. NGUYEN, Vietnam: la resistenza armata si organizza, ibidem.