di Giancarlo Cerrelli
Si stenta a credere ai propri occhi esaminando la proposta di legge regionale dal titolo: “Disposizioni contro le discriminazioni generate dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale”, n. 251/2017 presentata dall’on. Giuseppe Giudiceandrea presso il Consiglio Regionale della Calabria il 22 giugno 2017.
Se dovesse essere approvata tale proposta di legge, la Calabria sarebbe la prima regione in Italia che si doterebbe di un piano programmatico per la diffusione e l’imposizione, in ogni ambito del proprio territorio, dell’ideologia gender, ideologia che ha lo scopo di togliere importanza al dato biologico sessuale, a favore del dato culturale e così favorire un’indifferenziazione sessuale.
Sono numerose le disposizioni previste dal disegno di legge che destano serie preoccupazioni.
Esaminiamone alcune:
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La proposta di legge usa più volte il costrutto ideologico “identità di genere” senza specificarne il significato e i limiti interpretativi; cosicché tale locuzione, potrà essere riempita di qualsivoglia contenuto da chi vorrà avvalersi del dispositivo legislativo regionale;
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La Regione – in ossequio all’art. 1 della proposta di legge regionale – assieme ai Comuni e a ogni altra istituzione avrà modo di favorire la penetrazione nel corpo sociale calabrese dell’ideologia di genere e tutto ciò avverrà con la scusa di contrastare presunte discriminazioni e violenze di genere che, invero, non sono affatto un’emergenza e un’urgenza sociale nella realtà calabrese; una prova di ciò è data dal fatto che il progetto di legge non è stato in grado di fornire alcun dato, che sia scientificamente attendibile, circa le violenze di genere perpetrate nel territorio calabrese, tale da giustificare un simile provvedimento che impegna risorse pubbliche.
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Con il disposto di cui all’art. 2 della proposta di legge, che prevede che “la Regione promuova ogni azione necessaria all’integrazione sociale e lavorativa che tenga conto dell’orientamento sessuale e di genere”, si pongono le basi per una reale discriminazione sociale e lavorativa di coloro che a parità di condizioni non sono omosessuali. Tale legge sembra voler conferire un titolo di preferenza alle persone omosessuali rispetto agli altri cittadini.
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L’art. 3 del progetto di legge prevede, invece, a cura della Regione, una rieducazione dei docenti, del personale non docente e dei genitori degli studenti per contrastare i ruoli di genere. Lo scopo che, invero, si vuole attuare con questa norma è il superamento dei cosiddetti stereotipi di genere, cioè si vuole insinuare che sia una falsa credenza quella che afferma che vi siano due sessi e che vi siano alcune differenze naturali di ruolo. L’ideologia gender pretende, invece, l’indifferenziazione sessuale, favorendo piuttosto una molteplicità di orientamenti sessuali (si pensi che Facebook ne prevede 58) tra cui scegliere in base alla propria percezione.
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L’art. 4 è l’abstract inquietante e allarmante dell’intera proposta di legge. Entrano in gioco, infatti, i veri destinatari e protagonisti di tale proposta di legge: le associazioni LGBTIQA (Lesbiche, Gay, Bisex, Transgender, Intersex, Queer, Asexual). Tali associazioni avranno il compito di “misurare gli standard di responsabilità sociale delle imprese circa le eventuali discriminazioni basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Queste associazioni potranno, pertanto, propiziare la chiusura o la comminazione di sanzioni a imprese che non si conformeranno alla dittatura del pensiero gender. Con tale legge, difatti, sarà istituita una sorta di potere di controllo sulle imprese che in modo arbitrario e anche con eventuali ricatti sarà fonte di privilegi per una sola categoria di persone che avrà titolo di preferenza esclusivamente in base all’orientamento sessuale.
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La proposta di legge all’art. 5 dà, inoltre, alle associazioni LGBTIQA la possibilità di collaborare con le Aziende sanitarie locali e con i servizi socio assistenziali per “aiutare le persone ad accettare il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.” Una tale collaborazione rientra nel piano di rieducazione della popolazione alla cultura gender. Gli adolescenti si troveranno, così, a dover subire lezioni di educazione sessuale nei consultori e a scuola da associazioni che promuovono la fluidità sessuale con la scusa di combattere le discriminazioni.
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La proposta di legge prevede tra l’altro di modificare la modulistica nei vari uffici per contrastare le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Le modifiche saranno rappresentate dalla sostituzione dei termini tipo padre e madre a favore di genitore 1 e genitore 2 etc.
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È inquietante anche l’art. 6 che prevede che la Regione promuova iniziative di formazione – leggasi indottrinamento – per prevenire la violenza basata dall’orientamento sessuale o l’identità di genere, partendo guarda caso proprio dall’ambito familiare e scolastico.
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Se qualcuno pensasse che tutto ciò sia fatto senza l’esborso di soldi pubblici si sbaglia. La proposta di legge prevede, infatti, una spesa di 50 mila euro dei nostri soldi per dare forza a organizzazioni che hanno di mira un’azione militante volta a imporre una dittatura del pensiero unico che renda sempre più fluida la nostra identità sessuale.
La Regione Calabria è da auspicare che, piuttosto, impegni le proprie risorse e le proprie energie verso ciò che possa far crescere realmente il popolo calabrese, che soffre la piaga della disoccupazione, di collegamenti insufficienti, di un turismo che non decolla, di sacche di vera e propria povertà, di una cultura assistenzialista e malavitosa che non favorisce un vero sviluppo morale ed economico del territorio.
La Regione Calabria non segua le sirene di un falso progresso, mascherato da civiltà; si impegni, piuttosto, a favorire il recupero delle proprie radici culturali morali e religiose e non finanzi una cultura di morte, come quella gender, che con la scusa di superare le discriminazioni è volta a cancellare la nostra millenaria civiltà.