Di Vladimir Rozanskij da AsiaNews del 06/12/2023
Mosca (AsiaNews) -Le autorità della Kolyma, la regione dell’Estremo oriente russo intorno al fiume omonimo tra Jakutsk e Magadan, hanno deciso di chiudere la stanza-museo dove il famoso scrittore Varlam Šalamov scrisse i Racconti della Kolyma, la più intensa narrazione della vita dei lager siberiani ai tempi di Stalin insieme ai libri di Aleksandr Solženitsyn e Vasilij Grossman. Il luogo del memoriale era predisposto nel villaggio di Debin, aperto dal 2005, nel centenario della nascita dello scrittore.
Šalamov era stato ricoverato nella clinica locale, ormai stremato per la fame e i pesantissimi lavori forzati del lager, posto in una delle zone più fredde di tutta la Russia, dove la temperatura può scendere anche a 60 gradi sottozero. Gli attivisti della memoria dei dissidenti avevano organizzato il mini-museo all’interno della clinica, che ora è stata chiusa d’ufficio dal ministero della salute della regione di Magadan, anche se la decisione è chiaramente arrivata “da più in alto”, come confidano i funzionari locali.
La decisione della chiusura è stata provocata dal reportage di una giornalista del luogo, che un mese fa ha visitato il Museo Šalamov raccontando delle condizioni precarie dell’edificio della clinica, per invitare le autorità a intervenire. Come spiega lo storico Ivan Džukha, che si è occupato della questione negli ultimi anni, “come sempre si voleva fare meglio, ed è andata come al solito… La clinica contro la tubercolosi era in effetti in cattive condizioni e la sua chiusura era prevista per il 2027, in funzione di una ristrutturazione, perché nessuno aveva il coraggio di proporre apertamente la sua demolizione”. L’edificio era uno dei più imponenti di tutta la Kolyma, e la sua importanza memoriale lo rendeva un “luogo sacro” di una memoria che oggi diventa sempre più fastidiosa per un regime che assomiglia molto a quello staliniano.
Šalamov sopravvisse quasi per miracolo dopo il ricovero, quando arrivò come dokhodjaga (“essere infimo”) e ormai quasi “arrivato al socialismo”, le espressioni dei lager per definire una persona ai limiti della morte. Invece si riprese, e nella camera dell’ospedale si mise a scrivere poesie e racconti, pur essendo ancora un detenuto, che si diffusero attraverso i canali del samizdat per tutto il Paese, giungendo fino in Occidente.
Il clamore sulla stampa per le condizioni del memoriale è stato considerato un intralcio alla retorica sempre più roboante che in Russia accompagna l’inizio della campagna elettorale per la rielezione della “guida suprema”, e i funzionari locali si sono spaventati per le possibili conseguenze. Il primario dell’ospedale ha scritto al ministro della salute, che ha coinvolto il governatore fino ad arrivare al Cremlino, da cui è arrivato l’ordine di chiusura.
Lo stesso Džukha (figlio di cittadini originari di Mariupol di etnia greca, e per questo inviati nel lager) un anno fa aveva radunato un gruppo di volontari per iniziare i lavori di restauro della stanza-museo, in accordo con la dirigenza della clinica, riordinando anche l’esposizione di vari oggetti della vita quotidiana degli zek, i detenuti dei lager. Insieme agli strumenti del lavoro forzato era possibile visitare la biblioteca personale di Šalamov, donata dalla famiglia di una intima amica dello scrittore, Irina Sirotinskaja, e anche gli originali dei suoi diari, scritti su carta di fortuna. Il museo si manteneva grazie alle offerte degli attivisti e dei visitatori.
L’edificio, pur in condizioni difettose, era stato costruito negli anni Trenta come orgoglio staliniano della “Kolyma del futuro”, con corridoi in cemento e batterie di riscaldamento di grande potenza, mobili di lavoro artigianale, e vi lavoravano medici di tutte le specializzazioni, presi tra gli stessi detenuti dei lager, con ben due reparti chirurgici e due per la cura della tubercolosi, e anche un intero settore femminile. Šalamov vi era finito dopo il secondo arresto nel 1937, ricevendo un’altra condanna a 5 anni per “attività controrivoluzionaria trozkista”, un’eresia antistaliniana che credeva nella rivoluzione universale, invece di venerare l’esaltazione della Russia superiore del dittatore georgiano. È passato quasi un secolo, e la mancanza di fede nella Russia continua a essere perseguitata e oppressa.