LORENZO CANTONI, Cristianità n. 239 (1995)
Il contesto culturale
Le nuove possibilità d’intervento offerte dalle conoscenze tecnico-scientifiche alla medicina contemporanea hanno creato — e stanno creando — condizioni per un grande disorientamento fra gli operatori sanitari, che sono chiamati a discernere e a decidere, a volta a volta, quali interventi praticare e quali no. Tale disorientamento riguarda però anche i ricercatori, chiamati ad aprire, ad approfondire o ad abbandonare vaste aree di ricerca; i politici, chiamati a distribuire le risorse fra le diverse attività “sanitarie” — interventi e ricerche —, e ciascuna persona che — come paziente o prossimo a un paziente o semplice curioso — si accosta alla medicina con pregiudizi, aspettative e timori nuovi.
La ricerca delle cause culturali che hanno predisposto a questo disorientamento incontra, come nodo cruciale di un itinerario invero assai complesso, un duplice riduzionismo: della persona al suo corpo e del corpo a una semplice cosa-macchina; si tratta di un cammino che ha, fra le sue tappe principali, la scissione operata da Cartesio all’interno dell’uomo, come composto di res cogitans e di res extensa, di pensiero e di estensione radicalmente separati, e la lettura materialistica di questo homo duplex, che ha ridotto il pensiero ad attività del corpo, guardando poi all’uomo come a una macchina, anche se altamente sofisticata. Non è difficile intravedere, in questo secondo passaggio, sia l’opera dell’illuminismo — L’Homme machine è il titolo di un testo di Julien Offroy de La Mettrie, pubblicato nel 1748 —, sia l’itinerario dell’ideologia evoluzionistica, secondo cui quella umana sarebbe semplicemente — non sarebbe null’altro che — una specie animale (1).
In questo contesto culturale la conoscenza medica non può che essere pensata sull’esempio delle scienze naturali, che hanno avuto come proprio modello epistemologico la fisica newtoniana, e l’attività sanitaria sull’esempio della tecnica, che ha come propri “attori” tipici l’ingegnere e il meccanico (2). E come i tecnici — ingegneri e meccanici — costruiscono, aggiustano, migliorano e distruggono, così gli operatori sanitari devono fare altrettanto rispetto alla macchina-uomo: questa è la coscienza di sé consentita da un tale contesto culturale, così come l’aspettativa sociale che si è venuta a creare. Quest’aspettativa sociale, poi, ha caricato gli operatori sanitari di pesi veramente gravosi, fino a teorizzare un “diritto alla salute”, che essi avrebbero il dovere di garantire. In una società secolarizzata, che considera la macchina-corpo come il tutto della persona umana, chi si interessa della sua efficienza — costruzione, riparazione, miglioramento ed eventuale distruzione — non può che vestire i panni di sommo e unico sacerdote.
La concettualizzazione di cui ho detto e le pratiche che ne conseguono si scontrano direttamente con l’esperienza degli operatori sanitari, che vivono la loro attività — conoscenza e pratica terapeutica — come servizio alla persona nascente, malata e morente; essi incontrano e sperimentano in questa loro vocazione molto più che una semplice attività scientifica e tecnica. Di fronte al mistero della vita, della sofferenza e della morte il medico è chiamato a diventare egli stesso un grande problema a cui una cultura secolarizzata non può che offrire risposte monche, una magna quaestio (3) a cui solo la verità totale sull’uomo può rispondere. Solo Dio può rispondere pienamente a questa domanda: l’uomo — anche l’operatore sanitario — è sempre e solo un “chirurgo ferito” (4).
Gli interventi del Magistero della Chiesa cattolica
Come è chiaro anche dai rapidi cenni precedenti, la posizione della Chiesa cattolica — il suo Magistero e la prassi che da essa è stata promossa e sviluppata — è in netto contrasto con le coordinate ideologiche di cui la società secolarizzata si è servita e si serve per pensare le attività connesse con la salute e con la malattia. Non è un caso che un’istituzione ora così “ovvia” come quella ospedaliera sia nata e si sia sviluppata in ambito cristiano (5); per una facile verifica empirica si possono leggere gli elenchi telefonici e le Pagine Gialle alle voci Ospedale, Casa di Cura e Casa di Riposo: i nomi non saranno avari di suggerimenti in tal senso.
Se dunque la Chiesa, sposa di Colui che si è chiamato medico (6), ha da sempre risposto con i fatti e con le parole alle sfide costituite da modelli culturali incompatibili con il cattolicesimo, negli ultimi anni — e proprio in presenza di un accrescersi quantitativo e di un approfondirsi qualitativo di tali sfide — ha dedicato un’attenzione crescente del suo Magistero all’ambito biomedico.
Le nuove tecniche analgesiche e rianimatorie, il settore della trapiantologia, contraccezione, metodiche di pianificazione familiare, aborto, fecondazione artificiale, ingegneria genetica ed eutanasia hanno, a volta a volta, suscitato negli operatori sanitari nuovi interrogativi sulla loro valutazione morale alla luce della verità integrale sull’uomo, interrogativi cui il Magistero cattolico non ha mai tardato a rispondere autorevolmente, riannodando ogni volta la risposta a tutto l’insegnamento della fede (7). A questi insegnamenti si è accompagnata una ricca riflessione filosofica e teologica, intesa a indagare l’eticità delle varie attività sanitarie in generale, e di quelle consentite dalle nuove tecnologie in particolare, costituendo così un ampio corpus di bioetica cattolica (8).
Papa Giovanni Paolo II ha dedicato un’attenzione tutta particolare al mondo della sanità (9), pubblicando sul tema della sofferenza la lettera apostolica Salvifici doloris sul senso cristiano della sofferenza umana, dell’11 febbraio 1984 (10), istituendo il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari con il motu proprio “Dolentium hominum”, dell’11 febbraio 1985, e — l’11 febbraio 1994 — la Pontificia Accademia Pro Vita con il motu proprio “Vitae mysterium”. Il ricorrere della stessa data, l’11 febbraio, non è casuale: vi si celebra la memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes e, dal 1993, è la Giornata Mondiale del Malato.
A questi interventi straordinari vanno aggiunti numerosi discorsi dedicati al tema della sofferenza e delle pratiche sanitarie, gli interventi di Congregazioni e di organismi vaticani su temi specifici e, di fondamentale importanza per chi voglia ricostruire l’insegnamento della Chiesa su questo ambito, la promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, in cui, anche se non compare mai il termine “bioetica”, ne vengono affrontati partitamente i temi principali (11).
L’ampiezza e la vastità dei testi magisteriali a disposizione degli operatori sanitari ha fatto sentire a molti l’utilità — se non la necessità — di poter disporre di un’esposizione del Magistero cattolico che presentasse, oltre a quella dell’autorevolezza, le caratteristiche della completezza e della brevità, offrendo così insieme una sintesi della posizione della Chiesa e indicazioni per eventuali percorsi di approfondimento. Per corrispondere a tale esigenza, alla fine del 1994 il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari ha pubblicato la Carta degli Operatori sanitari (12).
La “Carta degli Operatori sanitari”
Nella Prefazione (pp. 5-6) S. Em. il card. Fiorenzo Angelini — presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari —, dopo aver segnalato che “[…] non può che considerarsi lusinghiero che la Congregazione per la Dottrina della Fede abbia approvato e confermato integralmente e tempestivamente il testo della Carta ad essa sottoposto: una ragione di più per riconoscere ad essa piena validità e sicura autorevolezza” (p. 5), indica nella Carta una risposta all’esigenza “di offrire una sintesi organica ed esauriente della posizione della Chiesa su tutto quanto attiene all’affermazione, in campo sanitario, del valore primario ed assoluto della vita: di tutta la vita e della vita di ciascun essere umano” (p. 5). Da qui l’organizzazione stessa del testo: “Perciò, premessa una introduzione sulla figura e sui compiti essenziali degli operatori sanitari, o meglio, dei “ministri della vita”, la Carta riunisce le sue direttive intorno al triplice tema del generare, del vivere e del morire” (p. 6). Il metodo scelto per la redazione di questo “codice deontologico” (p. 5) è quasi sempre quello di “cedere direttamente la parola agli interventi dei sommi pontefici o di testi autorevoli pubblicati dai Dicasteri della Curia Romana” (p. 6).
L’Introduzione, dal significativo titolo Ministri della vita (nn. 1-10, pp. 7-18), indica nel servizio alla vita umana la natura dell’attività degli operatori sanitari, esso costituisce una forma di testimonianza cristiana: “Modalità primaria ed emblematica di “questo prendersi cura” è la loro presenza vigile e premurosa accanto agli ammalati. In essa l’attività medica e infermieristica esprime il suo alto valore umano e cristiano” (n. 1). L’attività dell’operatore sanitario si fonda su una relazione interpersonale, egli “[…] è il buon samaritano della parabola, che si ferma accanto all’uomo ferito, facendosi suo “prossimo” nella carità (cf. Lc 10, 29-37)” (n. 3).
Viene poi rilevato che “il servizio alla vita è tale solo nella fedeltà alla legge morale, che ne esprime esigentemente il valore e i compiti” (n. 6); l’operatore sanitario “[…] attinge le sue direttive di comportamento a quel particolare campo dell’etica normativa che oggi viene denominato bioetica. In esso, con vigile e premurosa attenzione, si è pronunciato il magistero della Chiesa, in riferimento a questioni e conflitti sollevati dal progresso biomedico e dal mutevole ethos culturale. Questo magistero bioetico costituisce per l’operatore sanitario, cattolico e non, una fonte di principi e norme di comportamento che ne illumina la coscienza e la orienta — specialmente nella complessità delle odierne possibilità biotecnologiche — a scelte sempre rispettose della vita e della sua dignità” (n. 6).
Il primo capitolo, Il generare (nn. 11-34, pp. 19-33), analizza partitamente La manipolazione genetica (nn. 12-14), La regolazione della fertilità (nn. 15-20) e La procreazione artificiale (pp. 21-34).
Relativamente al tema della manipolazione genetica vengono distinti con precisione gli interventi veramente e direttamente curativi, moralmente leciti, da quelli alterativi del patrimonio genetico, che “[…] sono contrari alla dignità personale dell’essere umano, alla sua integrità e alla sua identità” (n. 13). Dopo aver richiamato i criteri per una valutazione morale dei metodi di regolazione della fertilità, e in particolare la natura insieme e inscindibilmente unitiva e procreativa dell’atto coniugale, il documento afferma che “[…] mentre è lecito, per gravi motivi, avvalersi delle conoscenze della fertilità della donna, rinunciando all’uso del matrimonio nei periodi di fecondità, risulta illecito il ricorso ai mezzi contraccettivi” (n. 17). Il problema non è tanto quello di “[…] una distinzione a livello semplicemente di tecniche o di metodi, in cui l’elemento decisivo sarebbe costituito dal carattere artificiale o naturale del procedimento. […]
“[…] la ragione ultima di ogni metodo naturale non è semplicemente la sua efficacia o attendibilità biologica, ma la sua coerenza con la visione cristiana della sessualità espressiva dell’amore coniugale” (n. 18).
Quanto alla procreazione artificiale, la Carta sottolinea che “il desiderio del figlio, per quanto sincero e intenso, da parte dei coniugi, non legittima il ricorso a tecniche contrarie alla verità del generare umano e alla dignità del nuovo essere umano” (n. 25). In particolare, sono moralmente leciti esclusivamente quei “mezzi artificiali destinati unicamente sia a facilitare l’atto naturale, sia a procurare il raggiungimento del proprio fine all’atto naturale normalmente compiuto” (n. 23): è il caso dell’inseminazione artificiale omologa.
Il vivere è il tema del secondo capitolo (nn. 35-113, pp. 35-83), a sua volta articolato in sedici paragrafi (13) che affrontano le molteplici questioni legate alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione. Si tratta, come è chiaro, di un’area tematica che non consente alcuna prospettazione riassuntiva, ma che trova i suoi momenti unificatori nella dichiarazione che “dal momento in cui l’ovulo è fecondato si inaugura una nuova vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto” (n. 35), e nell’affermazione che “ogni intervento sul corpo umano “non raggiunge soltanto i tessuti, gli organi e le loro funzioni, ma coinvolge anche a livelli diversi la stessa persona”.
“L’attività sanitaria non deve mai perdere di vista “l’unità profonda dell’essere umano, nell’evidente interazione di tutte le sue funzioni corporali, ma anche nell’unità delle sue dimensioni corporale, affettiva, intellettuale e spirituale”. Non si può isolare “il problema tecnico posto dal trattamento di una determinata malattia dall’attenzione che deve essere offerta alla persona del malato in tutte le sue dimensioni. È bene ricordarlo, proprio quando la scienza medica tende alla specializzazione di ciascuna disciplina”” (n. 40).
Il terzo e ultimo capitolo, Il morire (nn. 114-150, pp. 85-111) (14), richiama con forza che “servire la vita significa per l’operatore sanitario assisterla fino al compimento naturale.
“La vita è nelle mani di Dio: Lui ne è il Signore, Lui solo stabilisce il momento finale. Ogni fedele servitore vigila su questo compiersi della volontà di Dio nella vita di ogni uomo affidato alle sue cure. Egli non si ritiene arbitro della morte, come e perché non si ritiene arbitro della vita di alcuno” (n. 114).
Si tratta di un tema — quello dell’assistenza al morente — che richiede un’attenzione rinnovata e costante (15): il contesto culturale sopra tratteggiato, infatti, tende a rifuggire la morte e il morente perché questi pongono alla medicina e agli operatori sanitari domande cui essi — se sono semplici tecnici della salute — non sanno affatto rispondere. Il morente è allora illuso sulla gravità del suo stato, o emarginato, oppure si cerca di far rientrare la morte nell’ambito degli eventi che si determinano tecnicamente, producendoli: è il caso dell’eutanasia, o rimandandoli: è il caso dell’accanimento terapeutico; “per il medico e i suoi collaboratori non si tratta di decidere della vita o della morte di un individuo. Si tratta semplicemente di essere medico, ossia d’interrogarsi e decidere in scienza e coscienza, la cura rispettosa del vivere e morire dell’ammalato a lui affidato” (n. 121).
Bisogna, in particolare, “[…] evangelizzare la morte: annunciare il Vangelo al morente” (n. 131), evangelizzazione che ha “[…] nella carità, nella preghiera e nei sacramenti le forme espressive e attuative privilegiate” (n. 131).
La Carta si chiude con un prezioso Indice analitico delle materie (pp. 115-119) e con l’Indice generale (pp. 121-122).
La “Carta degli Operatori Sanitari” e la “nuova evangelizzazione”
Compito dei pochi cenni fatti è stato quello di indicare la vastità e la completezza di questo prezioso documento, proponendo piuttosto un invito alla lettura che un impossibile riassunto. Si tratta certamente di un documento fondamentale per quella formazione “[…] in materia morale e nella bioetica” di “tutti gli operatori sanitari” (n. 7) invocata dall’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi nel 1991 (16), e di una pietra miliare nel cammino della nuova evangelizzazione.
Nelle parole del card. Fiorenzo Angelini: “In apertura della Carta è detto che l’attività dell’operatore sanitario è “una forma di testimonianza cristiana”.
“Con umiltà, ma anche con fierezza, possiamo quindi ritenere che questa Carta degli Operatori sanitari si iscrive nell’impegno della “nuova evangelizzazione” che, nel servizio alla vita, particolarmente in coloro che soffrono, ha, sull’esempio del ministero di Cristo, il suo momento qualificante.
“L’auspicio, quindi, è che questo strumento di lavoro diventi parte integrante della formazione iniziale e permanente degli operatori sanitari, così che la loro testimonianza sia dimostrazione che la Chiesa, nella difesa della vita, apre il suo cuore e le sue braccia a tutti gli uomini, perché a tutti gli uomini si rivolge il messaggio di Cristo” (p. 6).
Lorenzo Cantoni
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(1) Cfr. Ermanno Pavesi (a cura di), Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, Di Giovanni, San Giuliano Milanese (Milano) 1994.
(2) Cfr. Hans-Georg Gadamer, Apologia dell’arte medica, in Idem, Dove si nasconde la salute, trad. it., Cortina, Milano 1994, p. 47: “L’immagine primaria che la moderna scienza naturale possiede della natura non è quella di una totalità che si autoequilibra. Alla sua base non si trovano né l’esperienza della vita, né quella dell’equilibrio, bensì quella della produzione e della costruzione pianificata. La scienza moderna, ben al di là del suo valore specifico, nella sua essenza è meccanica pura, mechané, ossia creazione artificiale di effetti che non sopraggiungono da soli. […] Le nostre riflessioni dimostrano tuttavia che la situazione della medicina resta inevitabilmente legata al presupposto dell’antica idea di natura. Tra le scienze che studiano la natura la medicina è l’unica che non va mai interamente concepita come tecnica, poiché identifica sempre la sua capacità pratica con il ripristino di quanto è naturale. Nell’ambito delle scienze moderne la medicina rappresenta una singolare unità di conoscenza teoretica e di sapere pratico, una coesione che non può essere intesa come applicazione della scienza alla prassi. Dunque consiste in un genere speciale di scienza pratica di cui nel pensiero moderno si è smarrito il concetto”. Cfr. anche il mio Il segno del corpo. Alcuni appunti fra semeiotica medica, polizia scientifica e semiotica linguistica, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 3, luglio-settembre 1994, pp. 92-99.
(3) Cfr. Stanis~aw Grygiel, La salvezza e la salute, in E. Pavesi (a cura di), Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, cit., p. 23: “In linea di massima al medico viene affidato l’uomo […] che sta affrontando lo sfacelo del corpo e la propria morte. Il medico, quindi, affronta il dramma […] dell’essere dell’uomo.
“Ed è proprio ciò che viene spesso purtroppo dimenticato e trascurato dal medico. In tal caso egli limita la cura del malato al funzionamento del suo corpo, cercando di aiutare l’uomo che è diventato magna quaestio a ricuperare la salute intesa in termini del possesso”; e p. 28: “La magna quaestio alla quale l’uomo non è capace di rispondere è lanciata verso l’aldilà. Solo Dio può dire la Parola che è un’adeguata Risposta all’uomo che è diventato tale quaestio“.
(4) Cfr. Thomas S. Eliot, Quattro quartetti, trad. it., Garzanti, Milano 1989, East Coker, IV: “Il chirurgo ferito maneggia l’acciaio / Che indaga la parte malata; / Sotto le mani insanguinate sentiamo / L’arte pungente e pietosa di chi guarisce / E scioglie l’enigma del diagramma della febbre”.
(5) Cfr. Heinrich Schipperges, Il giardino della salute. La medicina nel medioevo, trad. it., Garzanti, Milano 1988; cfr. anche Luciano Sterpellone, I santi e la medicina. Medici, taumaturghi, protettori, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994.
(6) Cfr. Mc. 2, 17; e Lc. 5, 31.
(7) Cfr. un’antologia di interventi a partire dal 1949 in Patrick Verspieren S.J. (a cura di), Biologia, medicina ed etica. Testi del Magistero cattolico raccolti e presentati da Patrick Verspieren S.J., trad. it., Queriniana, Brescia 1990.
(8) Non è possibile indicare neppure per sommi capi l’estensione di tale corpus: cfr. — per tutti — Elio Sgreccia, Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano 1994, 3a ed., in 2 voll., e la bibliografia ivi indicata.
(9) Cfr. Dionigi Tettamanzi (a cura di), Chiesa e bioetica. Giovanni Paolo II ai medici e agli operatori sanitari, Massimo, Milano 1988.
(10) Cfr. Il Nuovo Areopago, anno 4, n. 1 (13), primavera 1985, numero monografico sul tema L’uomo e il dolore pubblicato in occasione della promulgazione di tale documento.
(11) Cfr. un’analisi del Catechismo della Chiesa Cattolica da questa prospettiva, in Giovanni Russo, La bioetica nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, in Medicina e Morale. Rivista Internazionale bimestrale di Bioetica, Deontologia e Morale Medica, nuova serie, anno XLIV, gennaio-febbraio 1994, pp. 91-120.
(12) Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli Operatori sanitari, Città del Vaticano 1994. Il documento, pubblicato in prima edizione nell’ottobre del 1994, è giunto alla terza nel dicembre dello stesso anno. Tutti i riferimenti nel testo senza diversa indicazione rimandano a questo documento; là dove — come perlopiù accade — esso cita altri testi, questi non saranno espressamente indicati.
(13) Origine e nascita della vita (nn. 35-37), Il valore della vita: unità di corpo ed anima (nn. 38-41), Indisponibilità e inviolabilità della vita (nn. 42-45), Il diritto alla vita (nn. 46-49), La prevenzione (nn. 50-52), La malattia (nn. 53-55), La diagnosi (nn. 56-58), La diagnosi prenatale (nn. 59-61), Terapia e riabilitazione (nn. 62-67), Analgesia e Anestesia (nn. 68-71), Il consenso informato del paziente (nn. 72-74), Ricerca e sperimentazione (nn. 75-82), Donazione e trapianto di organi (nn. 83-91), Le dipendenze (nn. 92-103), Psicologia e psicoterapia (nn. 104-107), Cura pastorale e sacramento dell’Unzione degli infermi (nn. 108-113).
(14) È articolato nei seguenti paragrafi: I malati terminali (nn. 115-118), Morire con dignità (nn. 119-121), L’uso degli analgesici nei malati terminali (nn. 122-124), La verità al morente (nn. 125-127), Il momento della morte (nn. 128-129), L’assistenza religiosa al morente (nn. 130-135), La soppressione della vita (nn. 136-138), L’aborto (nn. 139-146), L’eutanasia (nn. 147-150).
(15) Cfr. Elio Sgreccia, Antonio G. Spagnolo e Maria Luisa Di Pietro, L’assistenza al morente. Aspetti socio-culturali, medico-assistenziali e pastorali. Atti del Congresso Internazionale. Roma, 15-18 marzo 1992, Vita e Pensiero, Milano 1994.
(16) Cfr. Sinodo dei Vescovi. Assemblea Speciale per l’Europa, Dichiarazione conclusiva, in L’Osservatore Romano, 20-12-1991, n. 10.