Gabriele Fontana, Cristianità n. 427 (2024)
Relazione, rivista e annotata, al convegno su Occidente. La fine di un’epoca, l’alba del futuro, organizzato a Bergamo, il 13 aprile 2024, da Alleanza Cattolica in collaborazione con Centro Studi Rosario Livatino, Nonni 2.0, Ditelo Sui Tetti! e Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti.
Cominciamo con il porre alcune domande. Siamo alla fine di un’epoca? L’Occidente, con le sue capacità tecniche e il suo ruolo-guida nella costruzione di una civiltà, che è stata ampiamente imitata e si è affermata ben oltre i suoi pur ampi confini geografici, è alla fine di una sua epoca? O forse è proprio il suo ruolo di protagonista nella trasformazione della realtà materiale del mondo che sta portando non solo alla fine di un’epoca, quella di un progresso materiale indeterminato, ma addirittura a una millenaristica fine del mondo?
Partiamo da una «profezia»: «La distruzione dell’ambiente che perpetriamo attraverso l’attuale economia mondiale metterà certamente in serio pericolo la sopravvivenza dell’umanità al più tardi nel XXI secolo. Tutti gli scienziati dimostrano che la combustione di carburanti fossili e la contaminazione di suolo, acqua e aria per mezzo di agenti inquinanti e fertilizzanti chimici condurranno alla distruzione della flora e della fauna della terra, alla rovina del clima del mondo, allo scioglimento degli strati di ghiaccio del Polo Nord e del Polo Sud e in generale metteranno in pericolo la vita su questa terra. La moderna società industriale ha rotto l’equilibrio organico della terra e indirizzato verso la morte ecologica universale» (1). No, non si tratta della profezia di una ex adolescente scandinava, ma del teologo protestante tedesco Jürgen Moltmann (1926-2024), la cui opera più nota si intitola, ironicamente, Teologia della speranza (2). E la profezia non è di ieri, ma di quasi quarant’anni fa.
Questa formulazione — invero piuttosto rozza — del problema ambientale, nella quale indirettamente vengono richiamate le responsabilità della civiltà occidentale nella sua dimensione di «civiltà tecnica», appare tuttora come una buona rappresentazione di un sentire diffuso nella pubblica opinione. Opinione che pare ignorare, nel prevalere del «senso di colpa», se non dell’«odio verso sé stessi», il miglioramento della qualità di vita che tale civiltà ha comportato.
Dobbiamo aggiungere quest’accusa all’autoflagellazione del politically correct, della cultura woke? Domandiamoci ancora: è possibile trascurare l’importanza dell’ambiente per la vita umana? (3) L’uomo è un essere relazionale, caratteristica ed elemento fondamentale della sua dignità. Ma ciò vale solo per le relazioni con gli altri esseri umani?
Possiamo certamente dire che anche ciò di materiale che circonda l’uomo va a costituire una relazione, quella dell’uomo come «abitante» di un ambiente, inteso quest’ultimo termine nel significato più ampio. L’ambiente domestico, il villaggio, la città, il luogo di lavoro, il paesaggio, l’ambito naturale, i monumenti e le testimonianze storiche contribuiscono anch’essi alla costruzione dell’umano (4). Qui l’uomo ha la sua casa.
In questo tipo di relazione l’uomo introduce la sua peculiare capacità di progettualità e di applicazione di strumenti, la tecnica, per poter modificare la realtà che lo circonda, che lo influenza, ma che egli influenza a sua volta (5). La tecnica però non è neutra, ma è guidata dalla cultura, che ne orienta i fini (6).
Il termine «ambiente» rimane alquanto generico, ma certamente possiamo oggi parlare di una «questione ambientale» come approccio problematico a molti aspetti della realtà, che funge da contesto della vita sociale e individuale che l’uomo vive nel suo «ambiente».
Parlare di ambiente significa richiamare il termine «ecologia», usato e abusato. L’etimologia del termine ci aiuta: viene, infatti, da oikos, casa, e logos, discorso, e quindi, al di là del più ristretto significato letterale, possiamo intenderlo come il ragionamento intorno alle relazioni di tutti gli organismi, uomo compreso, con la realtà che abitano. Di per sé nasce come scienza nell’ambito della biologia, e, in quanto scienza, si basa su dati, osservazioni, modelli interpretativi e richiede un elevato livello di conoscenze e di specializzazione (7). Più facilmente ne constatiamo in realtà l’uso banalizzante del marketing.
Se andiamo però ora a considerare il termine «ecologia integrale», introdotto dal magistero sociale della Chiesa (8), dobbiamo ragionare in termini di analogia rispetto alla «scienza ecologica». Andando oltre la semplice riflessione su un equilibrato uso dei beni della terra, il concetto comprende, oltre all’ecologia ambientale, un’ecologia «sociale» e un’ecologia «umana»; quindi, senza escludere l’approccio scientifico, trascende in una riflessione eminentemente antropologica (9). Comprende una nozione fondamentale, ma non unica, ovvero che l’uomo, in una corretta interpretazione del suo rapporto con i beni della terra, non ne è padrone assoluto, ma deve esserne l’oculato custode (10).
Il cattivo uso dei beni della terra e una scorretta antropologia si riflettono nel «paradigma tecnocratico», ovvero nella preminenza assoluta data al risultato efficacemente ottenibile per mezzo della tecnologia: ciò che è tecnicamente possibile è di conseguenza buono, com’è caratteristico di certo pensiero progressista.
Paradigma tecnocratico che per altro ritroviamo nella retorica mitizzante, che vede in tutta una serie di promesse tecnologiche la risoluzione dei problemi ambientali, come le fonti energetiche rinnovabili, i materiali alternativi, l’uso estensivo dell’energia elettrica a partire dai trasporti e i processi di abbattimento delle emissioni.
La soluzione ai problemi ambientali è il «ritorno alla natura»? Nel linguaggio comune con «natura» si intende tutto il mondo biologico e fisico, prima e indipendentemente dall’intervento dell’uomo. In pratica tutto ciò che non è tecnica o cultura. Il rapporto dell’uomo con la «natura» non è e non è mai stato solo positivo, tanto meno idilliaco; anzi, l’uomo si trova a godere dei beni della natura, ma deve anche lottare contro le avversità naturali, di ogni genere, a cui tende porre rimedio con la propria azione. Parimenti, con la propria azione, cioè la tecnica, tende a trarre vantaggio dalla natura. Che così resta comunque «madre e matrigna».
Ogni visione idilliaca della natura ci trascina in una prima e fondamentale dimensione dell’utopia, che potremmo definire come l’«immacolata concezione della natura», forse proiezione ulteriore dell’«immacolata concezione dell’uomo», la cui smentita è quotidiana, a dispetto del mito del «buon selvaggio». In questo contesto l’origine del male, del «male ambientale», viene attribuita soprattutto all’azione dell’uomo. Ma pensare che tutto ciò che è naturale sia buono significa sfuggire alla realtà.
Peraltro, molto di quello che viene chiamato natura in realtà non lo è, come i nostri bei paesaggi modellati nei secoli dal paziente lavoro umano. L’esplorazione del pensiero che si può definire «ecologista» o «ambientalista» richiede di trovarne le radici nella modernità e nel rapporto fra l’uomo e la realtà naturale, con la realtà semplicemente, che si è andata articolando e anche contrapponendo in antitesi non risolte.
Infatti, un pensiero che parte dal misconoscimento della posizione peculiare dell’uomo nel creato, qualitativamente distinto dagli altri esseri viventi, in pratica nell’affermazione del biocentrismo e nel rifiuto di un antropocentrismo, anche se auspicabilmente equilibrato, si traduce nella concezione dell’uomo come l’intruso che altera equilibri ideali. Di conseguenza questo pensiero considera la civiltà occidentale, industriale e tecnologica, come imposta a tutto il mondo e come incompatibile con gli equilibri ecologici. Con un estremo fondamentalismo si arriva a considerare l’umanità come «cancro» del pianeta.
In questo contesto fioriscono le visioni più radicalmente ideologiche del pensiero e dell’azione ambientalista, fino alle forme più violente. Biocentrismo ed ecocentrismo radicale giungono infine ad essere premessa per una concezione di tipo religioso, ma laicistica e priva di trascendenza, dove la salvaguardia degli equilibri ambientali e della natura sono l’elemento di riunificazione dell’umanità: visione corredata dai suoi rituali simbolici, dai suoi modelli di comportamento, alimentari e non, dalla mitologia di una originaria età paradisiaca, stato di grazia in una natura incontaminata, nella prospettiva millenaristica della catastrofe a causa dei «peccati ecologici» dell’umanità (11).
In una dimensione più politica, anche nell’ambito dell’evoluzione del marxismo, si è sviluppato un ambientalismo ideologico in forma libertaria, pacifista, anti-istituzionale, no global, secondo il quale la crisi ambientale sarebbe conseguenza della logica indiscriminata di profitto del capitalismo, che determina un’alienazione dell’uomo dalla natura. Da ciò deriva anche la proposta di utopistici metodi alternativi di produzione, spesso basati sul «piccolo è bello».
La prospettiva sottesa, ma largamente condivisa in ambito ambientalista, al di là di questa e altre formalizzazioni ideologiche, è quella secondo cui la crisi ambientale si risolve attraverso il controllo sociale dell’economia, di fatto sinonimo di socialismo (12). Le più ampie prospettive di limitazione della libertà personale ed economica che ne deriverebbero sono un rischio da prendere seriamente in considerazione.
Nell’acronimo ESG — Environmental Social Governance — il tema ambientale giunge a saldarsi con altri aspetti di un’auspicata evoluzione sociale, a partire dagli aspetti economico-finanziari. Questa prospettiva è intesa a qualificare le attività di imprese e altre organizzazioni sociali, a orientarne gli investimenti nel rispetto dei parametri previsti, che servirebbero a promuovere insieme benessere umano, fine della povertà, ineguaglianza, discriminazione, e contemporaneamente a contrastare il cambiamento climatico e a sostenere la protezione dell’ambiente (13).
Queste istanze nel 2015 sono state riunite dall’Organizzazione delle Nazioni Unite negli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), da realizzarsi entro il 2030 (14). In parallelo possiamo prendere atto della complessa politica ambientale in parte attuata o in via di attuazione da parte dell’Unione Europea (15), riassunti nella strategia generale definita Green Deal (16). Una prospettiva che si concretizza in interventi nei diversi settori economici e ambiti produttivi, con modalità fortemente dirigistiche e tecnicamente discutibili (17). Le recenti proteste del mondo agricolo sono uno dei sintomi del disagio sociale che ne consegue (18).
Il concetto di sviluppo sostenibile, spesso richiamato in questo contesto, fa stato della necessità di non consumare risorse oltre la possibilità di mantenerle stabili nel tempo, per le generazioni future. Nelle sue teorizzazioni formali, prevede che la sostenibilità si declini anche in termini economici e sociali e non solo ambientali, sulla base di un equilibrio «tripartito», il che fa sì che il concetto possa anche essere declinato con realismo quando si voglia uscire da modalità di accostamento di tipo ideologico.
Senza voler negare che esista una «questione ambientale», come affrontarla uscendo dalla palude degli ideologismi?
La risposta non può essere che quella di un «ritorno al reale», cercando di individuare i problemi nella loro dimensione oggettiva, senza sminuirli, ma senza arrendersi alle tante narrazioni dove frequentemente si mescolano elementi di verità con affermazioni che dalla realtà si discostano, spesso per superficialità e conformismo; non senza il sospetto che siano funzionali a indirizzare verso progetti di cambiamento sociale e di limitazione della libertà.
Un esempio è la lettura corrente del tema dei cambiamenti climatici, i quali, peraltro, sono una costante, sia nel susseguirsi delle ere geologiche, sia nei periodi storici più recenti, e per i quali abbiamo ampie testimonianze. «La storia del mutamento climatico è la storia stessa dell’umanità», è l’annotazione in copertina di un testo «classico» di storia del clima nella sua edizione italiana (19).
La descrizione dei cambiamenti climatici è un esercizio scientifico alquanto complesso, richiede competenze specifiche e mal si presta alle semplificazioni di cui è attualmente oggetto, oscillanti fra atteggiamenti che profetizzano imminenti situazioni catastrofiche, punti di non ritorno dai toni vagamente millenaristici e — per contro — atteggiamenti di rifiuto a considerare qualsiasi realtà di cambiamento.
Il punto cruciale della narrazione corrente resta l’attribuzione esclusiva alle attività umane dell’aumento di concentrazione della CO2 nell’atmosfera, a sua volta visto come unico fattore generatore del cambiamento, con la richiesta conseguente di eliminare l’uso di fonti energetiche di origine fossile. Narrazione prevalente, ma non unanime (20).
Vi sono elementi di riflessione di cui è necessario riappropriarsi nella prospettiva di un «ritorno al reale» della questione ambientale, a partire da quella climatica che ne rappresenta l’aspetto più al centro dell’attenzione.
Se il primo è quello di non dimenticare la storia dei cambiamenti climatici, il secondo elemento riguarda il livello di necessario e responsabile scetticismo che dobbiamo riservare alla narrazione prevalente del cambiamento climatico, anche se il rischio è che ogniqualvolta si affronti il problema con questo atteggiamento si venga accusati di negare, nascondere, dissimulare, relativizzare dati assolutamente incontrovertibili, di usare dati che non sono scientifici con disprezzo e rifiuto della ragione. Purtroppo, la scienza sotto molti aspetti non appare totalmente definita e «assestata», e di questo bisogna tener conto. Ciò non significa cadere nel «negazionismo», termine per altro intriso di sgradevole ideologizzazione, che banalizza il problema, che giudica guardando il bollettino meteorologico del giorno (21).
La questione ambientale è anche luogo di competizione di interessi ed è lecito pensare che gli operatori legati all’energia da fonti fossili vogliano difendere posizioni acquisite, ma anche che le fonti alternative abbiano un ampio retroterra di interessi, solo per rimanere nell’ambito energetico. Si pensi soltanto alle implicazioni geopolitiche dei materiali strategici necessari alla produzione delle batterie o dei pannelli fotovoltaici e alla capacità competitiva in questo settore di altri contesti produttivi, come quello cinese (22).
In una prospettiva di ragionevolezza e di oggettività non si tratta di negare i diversi problemi ambientali e gli effetti significativi delle attività umane sugli ambienti naturali, o che ci possano essere cambiamenti climatici, ma di affrontare tutto con realismo e discernimento, anche quanto alle soluzioni. Attività correttive sono certamente necessarie in molti casi, ma va riconosciuto che nel mondo occidentale sono stati fatti gli sforzi maggiori in questo senso e si sono ottenuti risultati concreti. Se attualmente le prospettive di intervento ambientale sono principalmente dirette a ridurre le emissioni di gas climalteranti e a diversificare le fonti di energia, non si possono ignorare le ricadute di esse sul reperimento di risorse materiali e finanziarie, sui sistemi produttivi e sull’occupazione lavorativa. Le decisioni politiche a venire non possono però basarsi su programmi ambientali decisi a tavolino, come quelli proposti negli ultimi anni dall’Unione Europea, che non tengono conto dei risvolti economici e sociali, e dell’impatto sull’occupazione, che non coinvolgono le parti sociali nella decisione, che trascurano la necessità di mettere in atto in primo luogo strategie di adattamento.
Certamente la presentazione del problema come continua emergenza, come imminente scenario di catastrofe, come richiesta pressante di soluzioni drastiche, costi quel che costi, tutte dirigismo finanziario ed economico, depressione produttiva, «decrescita felice» e controllo sociale, trasmette l’idea di un mondo occidentale che ha perso il senso di speranza e di fiducia nelle capacità dell’uomo (23).
Dobbiamo certamente ritrovare un senso del limite nello sviluppo tecnologico, ma prima ancora una corretta dimensione antropologica nella prospettiva indicata dall’«ecologia integrale», nella centralità dell’umano nel suo ruolo di oculato amministratore dei beni ricevuti, rifiutando le semplificazioni e i dogmatismi dell’«ecologismo ambientale di massa». Ciò senza escludere la riscoperta della virtù della temperanza, una dimensione di salutare, non pauperistica, sobrietà negli stili di vita, «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano la scelta dei consumi, dei risparmi e degli investimenti» (24), come, tutto sommato laicamente, affermava san Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus.
Gabriele Fontana
Note:
1) Jürgen Moltmann, La crisi ecologica: pace con la natura in Questione ecologica e coscienza cristiana, trad. it., a cura di [mons.] Adriano Caprioli e Luciano Vaccaro, Morcelliana, Brescia 1988, p. 137.
2) Cfr. Idem, Teologia della speranza, trad. it., Queriniana, Brescia 2017.
3) Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, cap. X, Salvaguardare l’ambiente, pp. 248-266.
4) «[…] penso che il nostro interesse per il patrimonio non possa limitarsi all’ambito artistico-culturale, ma debba avere una prospettiva più ampia, accogliendo l’integrità della persona che riceve questa eredità e dei popoli che ce l’hanno trasmessa. Le situazioni storiche — con le loro luci e le loro ombre — ci parlano di uomini e donne reali, di sentimenti autentici, che devono essere per noi lezioni di vita, prima che pezzi da museo» (Francesco, Discorso ai sindaci delle città patrimonio dell’umanità in Spagna, 13-4-2024).
5) «L’uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all’opera del Creatore, ed a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto il creato» (Giovanni Paolo II [1978-2005], Lettera enciclica «Laborem exercens» sul lavoro umano nel 90° anniversario della «Rerum novarum», del 14-9-1981, n. 25).
6) Cfr. Laura Boccenti, L’uomo digitale, in Studi Cattolici, anno LXVIII, n. 755, gennaio 2024, pp. 25-32.
7) Cfr. Eugen P[leasants]. Odum (1913-2002), Basi di ecologia, trad. it., Piccin, Padova 1988.
8) L’espressione «ecologia integrale» appare la prima volta nella lettera enciclica Laudato si’, dove le è dedicato l’intero capitolo 4, così introdotto: «Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali» (Francesco, Lettera enciclica «Laudato si’» sulla cura della casa comune, del 24-5-2015, n. 137).
9) Cfr. Ermanno Pavesi, L’enciclica «Laudato si’»: un inno di lode al Creatore, in Cristianità, anno XLIII, n. 378, ottobre-dicembre 2015, pp. 47-55.
10) Cfr. «Tu hai creato il mondo nella varietà dei suoi elementi, e hai disposto l’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni. All’uomo, fatto a tua immagine, hai affidato le meraviglie dell’universo, perché, fedele interprete dei tuoi disegni, eserciti il dominio su ogni creatura, e nelle tue opere glorifichi te, Creatore e Padre» (Prefazio delle domeniche del tempo ordinario, in Messale Romano).
11) Cfr. Giulio Meotti, Il Dio verde. Ecolatria e ossessioni apocalittiche, Liberilibri, Macerata 2021.
12) Cfr. Vittorio Silvestrini, Ristrutturazione ecologica della civiltà. Il Comunismo verso il terzo millennio, prefazione di Pietro Ingrao (1915-2015), CUEN, Napoli 1990.
13)Cfr. Who Cares Wins. Connecting Financial Markets to a Changing World. Recommendations by the financial industry to better integrate environmental, social and governance issues in analysis, asset management and securities brokerage, Swiss Federal Department of Foreign Affairs – United Nations, nel sito web <https://www.unepfi.org/fileadmin/events/2004/stocks/who_cares_wins_global_compact_2004.pdf> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 9 luglio 2024).
14) Cfr. United Nations, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, nel sito web <https://sdgs.un.org/2030agenda>.
15) Cfr. Commissione Europea, Il Green Deal europeo. Per diventare il primo continente a impatto climatico zero, nel sito web <https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it>.
16) Cfr. Domenico Airoma e Antonio Casciano, «Green Deal» europeo, poca scienza, molta ideologia, troppo dirigismo normativo, in Dodicesimo rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo. Ambientalismo e globalismo: nuove ideologie politiche, Cantagalli, Siena 2020, pp. 97-112.
17) Cfr. Maurizio Milano, Il pifferaio di Davos. Il Great Reset del capitalismo: protagonisti, programmi e obiettivi, D’Ettoris Editori, Crotone 2024.
18) Cfr. Gabriele Fontana, Alcune considerazioni su agricoltura e «rivolta dei trattori» in Italia, in Cristianità, anno LII, n. 425, gennaio-febbraio 2024, pp. 3-12.
19) Cfr. Wolfgang Behringer, Storia culturale del clima. Dall’era glaciale al riscaldamento globale, Bollati Boringhieri, Torino 2016.
20) Cfr. Steven E[lliott]. Koonin, Unsettled (Updated and Expanded Edition), BenBella Books, Dallas (Texas) 2024. Inoltre, Dialoghi sul clima. Tra emergenza e conoscenza, a cura di Alberto Prestininzi, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2022. Testi divulgativi su base scientifica, rappresentativi di un’area critica, non necessariamente «negazionista», verso la corrente vulgata climatica.
21) «Nel linguaggio comune, Tempo e Clima sono due termini che vengono spesso usati come sinonimi; tale consuetudine però non è affatto corretta. Invero, da un punto di vista scientifico, è importante che i loro significati siano nettamente distinti:
— Tempo – è lo stato dell’atmosfera in un determinato momento e in undatoluogo;èdefinitoquindidall’insiemedeglielementimeteorologici(temperatura,precipitazioni,nuvolosità,vento,radiazionesolare,pressioneeumidità),valutatiinuncertoistante […]
— Clima – è il quadro delle condizioni atmosferiche caratteristiche di una determinata parte della superficie terrestre, quadro che scaturisce da un’analisi statistica completa delle serie storiche di dati meteorologici» (Sergio Pinna, Lineamenti di climatologia, Aracne Editrice, Ariccia (Roma) 2017, p. 11).
22) Per una rassegna sulla disponibilità e la fonte di approvvigionamento dei materiali critici, cfr. il sito web <https://www.ispionline.it/it/il-futuro-delle-automobili>. Più estesamente, e con analisi riferita ai singoli più important settori tecnologici, cfr. Samuel Carrara et Alii, Supply chain analysis and material demand forecast in strategic technologies and sectors in the EU – A foresight study, Publications Office of the European Union, Lussemburgo 2023. Il tema ha assunto una dimensione giuridica in seguito alla pubblicazione del Regolamento (UE) 2024/1252 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024 che istituisce un quadro atto a garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche,nel sito web <https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L_202401252>.
23) Cfr. D. Airoma, Transizione ecologica o ideologica, in L-Jus, fascicolo 2, 2021, pp. 71-79, nel sito web <https://l-jus.it/transizione-ecologica-o-ideologica>.
24) Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Centesimus annus» nel centenario della «Rerum novarum», del 1°-1-1991, n. 36.