Stefano Nitoglia, Cristianità n. 406 (2020)
La pandemia del Covid-19 ha avuto ricadute anche sui rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, regolati dal Concordato del 1929, richiamato all’art. 7 della Carta costituzionale e rinnovato nel 1984 con l’Accordo di Villa Madama a Roma (1).
Il governo italiano, guidato dall’avvocato Giuseppe Conte, ha infatti dettato unilateralmente, avvalendosi di strumenti giuridici di rango secondario nella gerarchia delle fonti — i decreti del presidente del Consiglio (i cosiddetti DPCM), cioè norme di natura amministrativa e non legislativa —, disposizioni che hanno inciso sul diritto della Chiesa, costituzionalmente garantito dal concordato, di dettare norme in materia liturgica, limitando, altresì, il diritto alla libertà religiosa dei cittadini, assicurato dall’art. 19 della Costituzione (2).
Non è la prima volta che, pur in vigenza di accordi concordatari, i diritti della Chiesa vengono messi in discussione. La sua storia è piena di contrasti con il potere civile. Venendo a tempi relativamente recenti, si pensi ai conflitti con il regime fascista, subito dopo la stipula del concordato del 1929, e a quelli con la dittatura nazionalsocialista, nonostante il concordato del 1933 con il Reich germanico.
Tutto ciò porta a chiedersi se lo strumento concordatario sia ancora utile e opportuno nelle attuali condizioni storiche e politiche.
Natura dei concordati
Le parti contraenti dei concordati sono, da un lato la Santa Sede come soggetto di diritto internazionale e, dall’altro, lo Stato come persona giuridica e sovrana, ovvero due soggetti giuridici, entrambi perfetti e sovrani (3).
Sulla natura dei concordati esistono varie teorie: la cosiddetta teoria «regalista»o«legale», che li considera come contratti di diritto pubblico interno; quella dei «privilegi»,per la quale sono mere concessioni della Chiesa allo Stato; la terza, che li considera patti bilaterali che obbligano entrambi i contraenti ex iustitia (4).
La teoria «legale» o giurisdizionalistica (Legaltheorie), di origine civile (Germania e Italia), era sostenuta soprattutto da canonisti tedeschi di confessione evangelica del secolo XIX, fra cui Ernst Otto Claudius von Sarwey (1825-1900) e Paul Hinschius (1835-1898), per i quali i concordati sono dei meri obblighi morali, poiché solo lo Stato sarebbe ente sovrano, mentre la Chiesa sarebbe un’associazione di fatto, non di diritto. Tale teoria muove dal dogma liberale che vede lo Stato come unica fonte del diritto, per cui il concordato ha forza solo in quanto diventa legge dello Stato; come patto avrebbe per lo Stato soltanto un valore di impegno morale o, al massimo, di un accordo di diritto pubblico interno.
Questa concezione parte dall’assunto della superiorità dello Stato rispetto alla Chiesa. Lo Stato, avendo egemonia nei confronti di tutte le realtà esistenti all’interno del suo territorio, non può tollerare che una di queste realtà, la Chiesa, appunto, si sovrapponga ad esso e neppure che si situi in un piano di parità legale. I concordati, quindi, non sono che concessioni dello Stato, emanate e sanzionate da un suo atto unilaterale con un’apposita legge, che può essere revocata da altra legge senza il consenso della Chiesa.
La seconda teoria, contrapposta specularmente alla prima, era propugnata da diversi canonisti gesuiti, fra i quali Matteo Liberatore (1810-1892), Camillo Tarquini (1810-1874), Franz Xaver Wernz (1842-1914) e Felice Maria Cappello (1879-1962); ed era detta, appunto, dei «privilegi» (theoria privilegiorum) perché con essa si sosteneva la inalienabilità del supremo potere del Papa, la impossibilità di commutare beni spirituali con vantaggi di ordine materiale e la superiorità della Chiesa, che non può obbligarsi con un proprio suddito.
Questa concezione considera i concordati semplicemente come concessioni benevole fatte dalla Chiesa al sovrano, che il pontefice può revocare ad nutum. Si tratterebbe di un impegno di sola fedeltà, ma non di un vincolo giuridico in quanto con il patto la Chiesa ottiene qualcosa che le spetta di diritto. Essa si fonda sull’assunto della potestas directa in spiritualibus e indirecta in temporalibus vale a dire sulla superiorità ratione finis della Chiesa sullo Stato (5).
La terza teoria, detta dei contratti, era sostenuta da diversi canonisti e giuristi, fra i quali Arturo Carlo Jemolo (1891-1981) e Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952). Secondo questi autori i concordati sono patti che obbligano le parti, entrambe sovrane. Alcuni di essi li considerano contratti sui generis, altri patti intersovrani, altri ancora quasi trattati internazionali o trattati internazionali (6).
La Corte internazionale di giustizia dell’Aja, in Olanda, in un responso reso a domanda della Santa Sede negli anni 1930 contro le inadempienze governative del concordato del 1933, ha abbracciato la teoria dei trattati internazionali. Per la sua importanza, questa decisione merita di essere riportata: «I Concordati sono trattati internazionali che producono un’obbligazione interstatale […]. Una misura legislativa unilaterale interstatale di un compatiscente non può mai mutare o revocare la forza pattizia del Concordato o di singole sue disposizioni. La reciprocità è garantita soltanto se la mutazione o la revoca di un Diritto concordatario avviene esclusivamente attraverso una decisione comune. Ogni interpretazione di disposizioni concordatarie che dia per ammissibile un cambiamento o una revoca unilaterale di singoli diritti garantiti dal Concordato, urta contro il principio, internazionalmente riconosciuto, della reciprocità. Infatti, essa nega un diritto di un compatiscente e afferma un esclusivo diritto dell’altro nell’ambito importantissimo della mutazione e della continuazione di diritti garantiti. Non abbisogna di ulteriore motivazione il dire che una tale interpretazione pervertirebbe il principio della bilateralità nel suo contrario e, insieme, renderebbe del tutto impossibile la conclusione di stipulazioni concordatarie» (7).
La teoria dei contratti prescinde da questioni dottrinali e si pone sul terreno della realtà storica, volendo considerare esclusivamente la natura dell’accordo, che assume, appunto, la veste giuridica di un contratto.
«Questa dottrina, ormai prevalente anche fra i canonisti cattolici, ha essenzialmente il merito, oltre ad apparire la più conforme a giustizia, di corrispondere anche alla volontà più volte chiaramente espressa sia dalla Chiesa sia dagli Stati all’atto di stringere concordati. Si è potuto quindi contro la concezione regalista opporre — anche da chi, come il Friedberg [Emil Albert; 1837-1910], ritenga per lo Stato politicamente inopportuno concludere concordati — come l’escludere la natura convenzionale del concordato, in base al riflesso che lo Stato non può venire a patti coi suoi sudditi, sia infondato, poiché la Chiesa astrattamente considerata non è rinchiusa in uno Stato e il papa non è suddito dello Stato contraente, e perché infine lo Stato, scendendo a patti con la Chiesa, ammette implicitamente di non considerarla soltanto come una corporazione posta nello Stato» (8).
Anche gli scrittori ecclesiastici, specialmente quelli del pontificio Ateneo di Sant’Apollinare «[…] sono favorevoli alla teoria contrattualistica, pur ritenendo che i concordati non sono trattati internazionali, ma patti bilaterali pubblici che vincolano ugualmente le due Parti contraenti: sono leggi ecclesiastiche e civili revocabili da entrambe le parti per motivi ammessi dal diritto canonico e dalla consuetudine» (9).
Per Domenico Schiappoli, però, «il concordato, nell’epoca moderna ed in uno Stato sovrano e totalitario, non può significare il riconoscimento di un potere sovrano della Chiesa coesistente con quello dello Stato e non può neanche importare l’ammissione di un potere indiretto di questa nelle cose temporali» (10).
Schiappoli segnala anche l’opinione di alcuni autori (Bertòla e Jemolo) secondo i quali «mediante il concordato, si pone, attraverso un coordinamento con la Chiesa, un ordinamento superstatale, ordinamento del quale lo Stato è un elemento ed in cui sorgono diritti e doveri che, al pari di quelli internazionali, hanno per titolare lo Stato medesimo». Secondo costoro «la conseguenza è che lo Stato non possa, di fronte al nuovo ordinamento che ha contribuito a creare, distruggere quando creda le obbligazioni che si è assunte, se non si verifichino i casi che, secondo i principii regolatori di quell’ordinamento, facciano venir meno o l’intero vincolo posto fra Stato e Chiesa, o i singoli obblighi nascenti da quegli accordi» (11).
Secondo Robert Andrew Graham (1912-1997), gesuita statunitense noto per la strenua difesa della figura del venerabile Pio XII (1939-1958) dalle accuse di non aver difeso gli ebrei e gli altri perseguitati romani dal nazionalsocialismo, il concordato è «un trattato formale o un’intesa tra la Santa Sede e altri singoli Stati per la definizione dei rispettivi ruoli in quei campi nei quali tende a sorgere un conflitto» (12).
Recentemente, il Segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin li ha definiti «accordi di diritto internazionale» (13) aventi a «fondamento e limite» (14) la libertà religiosa. «Negli accordi concordatari — sostiene il Segretario di Stato — la Chiesa cattolica non chiede allo Stato di agire né come defensor fidei né come braccio esecutivo della legge canonica: intende soltanto ottenere uno statuto civile il più possibile adatto ai suoi specifici bisogni, entro la cornice del comune diritto costituzionale di libertà religiosa» (15).
Stessa concezione mostra di avere José Tomás Martin de Agar, per il quale i «[…] concordati hanno per la Chiesa un significato di libertà, garantita da precise norme valide sia nell’ordine interno degli Stati che in quello internazionale […]. Quello che la Chiesa cerca di ottenere con il concordato è uno statuto giuridico che garantisca al meglio la sua libertà di essere presente e di svolgere la sua missione, all’interno delle circostanze concrete di un determinato paese» (16).
Le nuove tendenze in materia concordataria
Dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) si è sviluppata una disputa dottrinale sulla compatibilità dello strumento concordatario con alcune nuove correnti ecclesiologiche che andavano emergendo. Alcuni, allora, ebbero a sostenere che tale strumento fosse da «superare» (17). In realtà, già prima del Concilio Vaticano II Pio XII ne aveva ridimensionato l’importanza (18). Ciò nonostante, soprattutto durante il lungo pontificato di san Giovanni Paolo II (1978-2005), si è verificato, al contrario, un aumento esponenziale dell’attività concordataria. Ciò è dipeso da diversi fattori, fra i quali l’accrescimento del prestigio internazionale della Santa Sede sotto il pontificato del Papa polacco e la dissoluzione dello Stato sovietico nel 1991, che ha dato origine a numerosi nuovi Stati.
Fra i concordati stipulati nell’ultimo quarto del secolo scorso si segnalano quelli con la Colombia (1973-1975), con il Portogallo (1975), con la Spagna (1976 e 1979), con Haiti (1984) e la riforma di quello con l’Italia (1984), l’accordo internazionale con il Perù (1980), gli accordi per l’assistenza religiosa alle forze armate del Brasile (1989) e del Venezuela (1994), gli accordi con Malta (1988, 1989, 1991 e 1993) e quelli con i nuovi Länder tedeschi dopo la riunificazione delle due Germanie.
Diversamente dai precedenti concordati, il cui fine era quello di garantire la libertas Ecclesiae, i nuovi (o patti, o convenzioni), senza rinnegare la tutela della libertà della Chiesa, mirano più specificamente a «[…] garantire la libertà religiosa individuale e collettiva, non solo in via di principio ma anche concretamente, non solo come libertà negativa ma anche come libertà positiva» (19). Loro scopo sarebbe, adesso, quello di tutelare la libertà e la specificità religiosa dei fedeli cattolici, assicurando alla Chiesa «il libero esercizio della sua spirituale e morale missione mediante eque, leali e stabili delimitazioni delle rispettive competenze» (20), senza negare tale libertà alle altre confessioni.
I contenuti principali della libertas Ecclesiae così declinati si realizzano, ora, come sempre, nell’assicurare l’autonomia e l’indipendenza della Chiesa nell’adempimento della sua missione religiosa, la predicazione e il magistero, la pratica del culto e l’esercizio della potestà di governo al proprio interno. Il che corrisponde ai tria munera della Chiesa: insegnare, santificare e governare. Ciò mediante il riconoscimento civile della sua organizzazione e dei suoi enti.
Le forme di concordato
Vi sono diverse forme di concordato, anche se per la Santa Sede «[…] non esiste un modello concordatario da seguire» (21). La forma più comune è quella di un atto bilaterale, come nelle convenzioni internazionali. Tali sono stati il concordato del 1929 con l’Italia e quello francese del 1801. Altre volte possono esservi due atti unilaterali e distinti, uno della Chiesa e l’altro dello Stato, che si corrispondono e si completano nel senso stabilito precedentemente fra le parti: tale il Concordato di Worms del 1122 fra la Santa Sede e il Sacro Romano Impero. Oppure può esservi un solo atto, emanante dalla parte che deve dare esecuzione all’accordo in precedenza raggiunto: per esempio, una bolla pontificia ricevuta e pubblicata come legge dallo Stato cui è diretta — come per il Concordato di Bologna del 1516 con il Regno di Francia —, o una legge dello Stato, come la legge del Ducato di Modena dell’8 maggio 1841, regolante materie ecclesiastiche nel senso stabilito con la Curia romana.
In tutti questi casi, comunque, il carattere sostanziale dell’atto è sempre contrattuale, in quanto avente origine dal consenso delle due parti.
La procedura concordataria
Normalmente, secondo la prassi, la procedura concordataria ha inizio da una richiesta del Paese interessato, proveniente o dal governo oppure, più spesso, dalla locale Conferenza episcopale. La Segreteria di Stato, una volta accertata la disponibilità di massima del governo del luogo, nomina una delegazione ecclesiastica composta da un rappresentante pontificio, che la presiede, e da alcuni esponenti della Chiesa locale. La delegazione individua i temi del possibile accordo e redige una bozza di intesa sulla base degli accordi vigenti e delle necessità pastorali locali, tenendo costantemente informata la Segreteria di Stato sugli sviluppi della situazione. Quest’ultima, a sua volta, fornisce alla delegazione le istruzioni necessarie e segue la questione fino alla cosiddetta parafatura (22), fase intermedia del processo di formazione del patto, cui seguiranno la firma e l’eventuale ratifica.
Storia dei concordati
Historia concordatorum historia dolorum, recita un adagio della diplomazia vaticana.
I primi concordati risalgono al periodo della cosiddetta lotta per le investiture, che si svolse dall’ultimo quarto del secolo XI fino al Concordato di Worms e che vide contrapporsi il Papato e l’Impero per il conferimento — l’investitura — delle dignità ecclesiastiche (23).
Si trattava di convenzioni con le quali venivano concessi privilegi alla Chiesa. La prima di queste fu il Concordato di Londra, promulgato nell’agosto del 1107, con il quale Enrico I d’Inghilterra (1068 ca.-1135) si obbligava a rinunziare alle investiture e gli eletti a prestargli giuramento di fedeltà come feudatari prima della consacrazione episcopale.
Vi fu, poi, come detto, il Concordato di Worms, detto anche privilegium Calixtinum, confermato poi dal Concilio Lateranense I (1123), che mise fine alla lotta per le investiture fra Papa san Gregorio VII (1073-1085) e l’imperatore Enrico IV di Franconia (1050-1106). Con esso si convenne la doppia investitura: quella ecclesiastica, di competenza esclusiva della Chiesa, e quella feudale, di competenza dell’imperatore, fatta però — circostanza importante data la valenza dei simboli nella civiltà medioevale — solo con lo scettro e senza l’anello e il pastorale.
Il sostrato teologico che animò la lotta di san Gregorio VII contro Enrico IV fu una sua personale rielaborazione della dottrina di Papa san Gelasio I (492-496), i cui punti capitali furono: l’imperatore è passibile di sanzioni ecclesiastiche, come qualsiasi battezzato; e i due poteri sono distinti ma non uguali, in quanto il potere spirituale, sarebbe meglio dire l’autorità spirituale, è superiore a quello temporale per il fine che li specifica, come lo spirito è superiore alla materia (24).
Seguirono le convenzioni fra Papa Alessandro III (1159-1181) e l’imperatore Federico I Hohenstaufen (1122-1190), il «Barbarossa», del 1176-1177; fra Papa Innocenzo III (1198-1216) e l’imperatore Federico II di Svevia (1194-1250), del 1212-1213; le promesse del re inglese Giovanni Plantageneto (1166-1216), detto «Senza Terra», nel 1212; la Convenzione per l’investitura angioina del Regno di Napoli, nel 1265, e quella aragonese del Regno di Sardegna, nel 1297.
Dopo il Grande Scisma d’Occidente, che divise la Chiesa latina dal 1378 al 1417, Papa Martino V (1417-1431) per riaffermare l’autorità della Chiesa concluse nel 1418 concordati con le cinque «nazioni» partecipanti al concilio: l’italiana, la francese, l’inglese, la spagnola e la germanica.
Vi fu poi il Concordato dei Principi o di Francoforte, del 1447, con il quale Papa Eugenio IV (1431-1447) concesse dei privilegi agli elettori imperiali e l’intera Germania si dichiarò contraria all’antipapa Felice V (1440-1449). L’anno seguente il suo successore, Niccolò V (1447-1455), stipulò con l’imperatore Federico III d’Asburgo (1415-1493) il Concordato di Vienna, con il quale vennero abrogati i decreti del Concilio di Basilea contrari alle prerogative papali per quanto concerneva la Germania. In particolare, Federico riconobbe le riserve degli offici ecclesiastici contenute nel diritto canonico, la libertà di elezione ai vescovati e il diritto di conferma da parte della Santa Sede. Il concordato regolò i rapporti fra la Santa Sede e l’Impero fino al 1806.
Con il Concordato del 1516 fra Papa Leone X (1513-1521) e il re francese Francesco I di Valois (1494-1547) fu abolita la Prammatica Sanzione di Bourges del 1438. Con questo Concordato venne tolta ai capitoli delle cattedrali la facoltà di eleggere i vescovi, riservandola al Pontefice.
Nel secolo successivo vennero stipulati due concordati: quello dei «due fori» tra Paolo V (1605-1621) e il re spagnolo Filippo III d’Asburgo (1578-1621), e l’accordo del 1630 fra Urbano VIII (1623-1644) e l’imperatore Ferdinando II d’Asburgo (1578-1637).
Il XVIII fu il secolo del cosiddetto «dispotismo illuminato», ovvero il governo dei sovrani assoluti, imbevuti di cultura illuministica. In questo secolo, «[…] quando la Santa Sede si trova in posizione difensiva e ricerca una “concordia” con gli Stati assoluti» (25), il Vaticano stipulò diversi concordati. Papa Benedetto XIV (1740-1758) ne concluse diversi: con Carlo di Borbone (1716-1788), re di Napoli, nel 1741; con Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna (1701-1773) nel 1750; e con l’imperatrice Maria Teresa d’Austria (1717-1780) per il Ducato di Milano nel 1757. Benedetto XIV è stato criticato per la sua politica concordataria, giudicata eccessivamente arrendevole nei confronti degli Stati. Pio VI (1775-1799) stipulò un concordato nel 1784 con l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo-Lorena (1741-1790), fautore di una politica di controllo assoluto della Chiesa da parte dell’autorità statale, denominata «giuseppinismo».
Con la politica ecclesiastica detta del «giurisdizionalismo» i governi assoluti, ricorrendo agli iura circa sacra (26), si intromettevano nella sfera ecclesiastica volendo controllare tutte le realtà esistenti al suo interno, fra le quali la Chiesa, rimodellandone gli assetti in una sorta di chiesa nazionale.
Nel secolo successivo la politica della Chiesa fu tesa principalmente a cercare di riparare i guasti operati nei suoi confronti dalla Rivoluzione francese del 1789. Il secolo XIX si aprì con il concordato con Napoleone Bonaparte (1769-1821) del 1801, rimasto in vigore fino al 1905; seguirono quello con la Repubblica Italiana nel 1803, nel 1817, quello tra Pio VII (1800-1823) e il re Massimiliano Giuseppe di Baviera (1808-1888), nel 1818 quello con Ferdinando I (1751-1825), re delle Due Sicilie.
Il Concordato del 1803 con la napoleonica Repubblica Italiana merita di essere segnalato se non altro per i suoi aspetti tecnico-giuridici (27), perché, accanto a elementi cesaropapisti (28), presenta alcuni aspetti nuovi e positivi per la Chiesa, cioè il rinvio al diritto canonico per le materie strettamente ecclesiastiche e la regolamentazione attraverso accordi bilaterali per le altre. In particolare, in forza di ciò i chierici vennero esentati dal servizio militare e vennero riconosciute la libertà di comunicazione dei vescovi con Roma, la loro potestà coattiva e la tutela penale della religione e dei suoi ministri.
Nel Regno di Sardegna, diversamente, fin dai primi decenni del Settecento si perseguiva una politica ecclesiastica di accordo con la Santa Sede. Si segnalano due convenzioni minori relative alla riorganizzazione delle circoscrizioni ecclesiastiche del Piemonte (1817) e alla limitazione dell’immunità personale degli ecclesiastici circa alcuni reati (1841). La politica ecclesiastica dei Savoia subirà un radicale mutamento negli anni 1848-1855, quando le leggi promosse dal ministro della Giustizia Giuseppe Siccardi (1802-1857) — leggi di separazione fra Stato e Chiesa, n. 1013 del 9 aprile 1850 e n. 1037 del 5 giugno dello stesso anno — deliberarono l’abolizione del privilegio del fòro, del diritto d’asilo e delle decime, nonché la soppressione degli ordini religiosi.
Il lungo pontificato del beato Pio IX (1846-1878) vide numerosi concordati, fra i quali degni di nota sono quelli con la Russia nel 1847; quello con il Granducato di Toscana e con la Spagna nel 1851; nel 1855 quello con Francesco Giuseppe I (1830-1916) imperatore d’Austria; quelli con le repubbliche di Costa Rica e Guatemala nel 1852, Haiti nel 1860, Honduras e Nicaragua nel 1861, San Salvador, Venezuela ed Ecuador nel 1862.
Papa Leone XIII (1878-1903) stipulò concordati con il Portogallo nel 1886, con l’Austria per la Bosnia-Erzegovina nel 1881, con la Svizzera per il Canton Ticino e Basilea nel 1884, con il Montenegro nel 1886, con la Colombia nel 1887, con l’Inghilterra per Malta nel 1890. San Pio X (1903-1914) concluse un solo concordato, quello con la Serbia nel 1914.
Nell’Europa liberale del primo decennio del secolo XX e fino allo scoppio della Grande Guerra (1914-1918) i rapporti fra Chiesa e Stato furono regolati in maniera variegata. «In alcuni paesi le Chiese di Stato continuavano la loro esistenza adattandosi alle circostanze (es. la Chiesa luterana nei paesi scandinavi, calvinista in Scozia, cattolica in Spagna, ortodossa in Russia, anglicana in Inghilterra …). In altri paesi, come l’Olanda, la Svizzera, l’Italia, l’Austria, lo Stato liberale aveva adottato soluzioni di compromesso che definivano la posizione della religione predominante. Altrove, infine, lo Stato, animato da un anticlericalismo combattivo, aveva dichiarato guerra alla religione professata dalla maggioranza dei cittadini, giungendo al divorzio tra i due poteri. Ma ad eccezione del Portogallo, dove un’energica pressione massonica ottenne, nel 1911, una separazione non dissimile da quella francese, nessun altro governo giunse a tanto» (29).
La Grande Guerra produsse un enorme cambiamento nella geopolitica europea e non solo. Scomparvero i grandi imperi multietnici e multinazionali dell’Austria-Ungheria, della Germania, della Russia e quello Ottomano, e sorsero nuovi Stati fondati sul principio della nazionalità. La Santa Sede, sotto il pontificato di Benedetto XV (1914-1922), non poteva non tenerne conto. D’altra parte, i nuovi Stati dovevano pur prendere in considerazione il fatto che il principio della rigida separazione fra Chiesa e Stato aveva fatto il suo tempo e danneggiava i loro stessi interessi.
Fu così che molti dei nuovi Stati allacciarono relazioni diplomatiche con la Santa Sede e molti dei vecchi, che ne avevano preso le distanze, si riavvicinarono, prendendo spunto dall’allocuzione concistoriale di Benedetto XV In hac quidem del 21 novembre 1921 in occasione della Conferenza internazionale di Washington per il disarmo, nella quale il Pontefice si dichiarava disposto a trattare con i governi per regolare le questioni dei loro rapporti con la Chiesa cattolica (30).
Quell’allocuzione diede impulso a quella che è stata definita la «nuova era concordataria», messa in pratica da Pio XI, che si evolveva verso concordati fondati non più soltanto sul confessionalismo statale, ma anche sulla garanzia del rispetto della libertà della Chiesa postulata spesso dalla presenza di un’alta proporzione di cattolici tra la popolazione. Ne derivarono i concordati con la Lettonia (30 maggio 1922), con la Baviera (29 marzo 1924) e con la Polonia (10 febbraio 1925).
Dopo il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con la Francia, interrotte nel 1906 sotto il pontificato di san Pio X in conseguenza della legge di separazione dell’anno precedente (31), Pio XI concluse degli accordi per il funzionamento delle associazioni di culto (18 gennaio 1924) e per gli onori liturgici ai rappresentanti francesi nei protettorati francesi nel prossimo Oriente (4 dicembre 1926).
Il suo pontificato, con ben diciotto accordi, è ricordato come l’era dei concordati con gli Stati totalitari (32), fra i quali quello concluso l’11 febbraio 1929 con il Regno d’Italia fascistizzato (33) — i cosiddetti Patti Lateranensi, che comprendevano, oltre al concordato, un trattato fra Santa Sede e Stato italiano, che poneva fine alla Questione Romana e ne costituiva il presupposto giuridico, e una Convenzione economica — e quello con il Reich germanico del 20 luglio 1933, preceduto dai concordati con la Prussia del 1929 e con la Repubblica di Baden, in Germania, del 1932. Altri accordi stipulati sotto il regno di Pio XI furono quelli con la Romania nel 1927 e, ancora, nel 1932 e quelli con la Cecoslovacchia nel 1927, con il Portogallo nel 1927 e nel 1928 e, infine, con l’Austria nel 1933.
I più importanti accordi siglati sotto il pontificato di Pio XII furono il concordato del 7 maggio 1940 con il Portogallo di Antonio de Oliveira Salazar (1889-1970), che sostituì quello del 23 giugno 1886, e il concordato del 27 agosto 1953 con la Spagna di Francisco Franco (1892-1975).
Il giudizio storico sui concordati con gli Stati totalitari
Molti si sono interrogati sulla convenienza dei concordati con i regimi totalitari. Le posizioni degli storici in materia divergono e il dibattito è ancora aperto. Piuttosto critico il giudizio di Anthony Rhodes (34), mentre lo storico Roberto Pertici descrive minuziosamente il travagliato cammino delle trattative per la stipulazione dei Patti Lateranensi e, successivamente, gli scontri fra Pio XI e Benito Mussolini (1883-1945) e fra la Chiesa Cattolica e il regime fascista, specialmente nel campo dell’educazione della gioventù e dell’Azione Cattolica, che portarono più volte le parti al limite della rottura (35).
Citando lo storico Renato Moro, Pertici scrive: «D’altronde è lo stesso Moro che riconosce che paradossalmente i rapporti tra Chiesa e regime erano peggiorati dopo il febbraio del 1929» (36). Anche Giovanni Coco ha dedicato pagine interessanti ai rapporti altalenanti fra Pio XI e Mussolini e a quelli tra la Chiesa, il fascismo e il nazionalsocialismo (37).
La politica concordataria con gli Stati totalitari, che pur portò vantaggi alla Chiesa, fu da essa pagata al caro prezzo della scomparsa dei cattolici dalla scena politica. «Come si vede, sia i fascisti sia i nazisti, interessati a consolidare la propria autorità nei rispettivi paesi, si preoccuparono di ottenere, mediante sanzione pontificia, la scomparsa dei cattolici dalla scena politica dei rispettivi Stati» (38). Un prezzo che in Italia, dal non expedit di Pio IX all’esperienza della Democrazia Cristiana nel secondo dopoguerra e fino alla cosiddetta «seconda repubblica», stiamo pagando tuttora perché il bavaglio messo fra le due guerre all’Azione Cattolica in conseguenza del concordato del 1929 ha impedito la nascita di un’autentica espressione politica del movimento cattolico.
Gli stessi interrogativi potrebbero porsi sulle recenti intese, ancora coperte dal segreto, fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, siglate nel 2018 per un biennio e rinnovate nel mese di ottobre del 2020 per un altro biennio, criticate da molti esponenti della Chiesa cattolica che è in Cina, fra i quali il più noto è il cardinale Joseph Zen Ze-kiun (39).
I concordati più recenti
In tempi più recenti sono da segnalare gli accordi conclusi con Paesi di tradizione non cristiana, particolarmente musulmana: con la Tunisia (1964), il Regno del Marocco (1983-1984), lo Stato d’Israele (1993), il Kazakhstan (1998), l’Azerbaijan (2011), il Ciad (2013) e lo Stato di Palestina (2015), nonché con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (2000).
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Santa Sede ha stipulato numerosi accordi con i Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, già satelliti dell’impero sovietico: Polonia, Ungheria, Croazia, Estonia, Lituania, Lettonia e Slovacchia. In particolare, nel 1993 ha concluso un vero e proprio concordato con la Polonia, nel cui preambolo vengono richiamati i princìpi del diritto internazionale, i diritti dell’uomo e il rispetto della dignità della persona e si fa riferimento al ruolo svolto dal cattolicesimo nella storia della nazione e al significato del pontificato di san Giovanni Paolo II. Nel 1990 vi è stato un accordo di normalizzazione dei rapporti con l’Ungheria, seguito da due Accordi, il primo, nel 1994, circa l’assistenza spirituale alle forze dell’ordine e il secondo, nel 1997, prevalentemente volto alla definizione di questioni di natura economica. Nell’area mediorientale si segnalano gli Accordi con Israele, con il quale vennero stabilite le relazioni diplomatiche, e del 1997 sulla personalità giuridica della Chiesa. Nell’area africana sono stati stipulati accordi nel 1983 e nel 1984 con il Marocco tramite scambio di Lettere fra il Pontefice e il re del Marocco Ḥassan II (1929-1999), con i quali viene riconosciuto un esiguo spazio di libertà alla Chiesa in un Paese islamico, e con il Gabon nel 1997. In questo secolo si segnala una vera e propria esplosione di accordi con gli Stati africani. In particolare, nell’ottobre del 2000 è stato sottoscritto un Accordo di Cooperazione con l’Organizzazione dell’Unità Africana, che stabilisce diversi possibili canali di cooperazione in materia di educazione, salute e diritti umani, tramite futuri specifici accordi. In Asia è importante, trattandosi di un Paese a maggioranza musulmana di ex appartenenza sovietica, l’Accordo con il Kazakhstan del 24 settembre 1998, che delinea lo statuto civile della Chiesa. In altre aree si segnalano gli accordi con l’Albania nel 2002 e nel 2007, con la Bosnia-Erzegovina nel 2006 e nel 2010, con le Filippine nel 2007, con il Brasile nel 2009, con Taiwan nel 2011, con gli Stati Uniti d’America, il Kuwait e Timor-Est nel 2015, con gli Emirati Arabi Uniti nel 2016.
Conclusione
L’inquadramento della questione, da un punto di vista storico e giuridico, è un primo contributo per analizzare e per meglio valutare lo strumento concordatario allo scopo di comprendere se esso sia ancora efficace e opportuno nell’assicurare alla Chiesa quella libertà che garantisca al meglio lo svolgimento della sua missione.
Note:
(1) L’art. 7 della Carta fondamentale ha costituzionalizzato il principio pattizio concordatario e i relativi accordi di modifica godono di copertura costituzionale ex art. 10 della Carta.
(2) Sul tema cfr. il mio Covid-19 e libertà religiosa, in L-JUS, Rivista semestrale del Centro Studi Rosario Livatino, anno III, fascicolo 1, Roma 2020, pp. 55-67.
(3) Su questo punto Papa Pio XI (1922-1939), nella lettera inviata al segretario di Stato cardinale Pietro Gasparri (1852-1934) il 30 maggio 1929 (cfr. AAS, vol. 21, 1929, p. 300) in occasione dei Patti Lateranensi, scrive: «Nel Concordato sono in presenza, se non due Stati, certissimamente due sovranità pienamente tali, cioè pienamente perfette, ciascuna nel suo ordine, ordine necessariamente determinato dal rispettivo fine, dove è appena d’uopo soggiungere che la oggettiva dignità dei fini, determina non meno oggettivamente e necessariamente l’assoluta superiorità della Chiesa».
(4) Cfr. Giovanni Lo Grasso S.J., voce Concordati, in Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano 1950, vol. IV, coll.186-194.
(5) Su questa teoria cfr. Felice Cavagnis (1841-1926), Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, 3a ed., 3 voll., Desclée, Lefebvre e Soci, Roma 1906, vol. I, pp. 395-425; Felice Maria Cappello, Summa Iuris Publici Ecclesiastici ad normam codicis iuris canonici et recentiorum S. Sedis documentorum concinnata, 4a ed., Università Gregoriana, Roma 1936, pp. 430-431 e pp. 473-475; Alfredo Ottaviani (1890-1979), Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, 2a ed., 2 voll., Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1960, vol. II, p. 254, p. 267 e pp. 299-319;Mario Condorelli (1933-1985), Concordati e libertà della Chiesa, in Il diritto ecclesiastico. Rivista trimestrale, vol. LXXIX, 1968, pp. 228-287, in particolare pp. 232-237.
(6) Cfr. Laureano Perez Mier (1904-1989), Iglesia y Estado nuevo. Los concordatos ante el moderno derecho público, Ediciones Fax, Madrid 1940, pp. 49-62; Andrea Piola (1905-1986), Stato e Chiesa dopo il Concilio, Giuffrè, Milano 1968, pp. 17-59; e Gaetano Catalano (1926-2011), Problematica giuridica dei Concordati, Giuffrè, Milano 1963.
(7) Cit. in card. Giovanni Lajolo, I Concordati moderni. La natura giuridica internazionale dei Concordati, Morcelliana, Brescia 1968, p. 415.
(8) Arnaldo Bertòla (1889-1965), voce Concordato, in Enciclopedia Treccani, 1931, consultabile nel sito web <https://www.treccani.it/enciclopedia/concordato_%28Enciclopedia-Italiana%29> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 21-12-2020).
(9) Domenico Schiappoli (1870-1945), Sulla natura giuridica del Concordato, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Rivista telematica, anno XI, n. 8, 2018, p. 6, nel sito web <https://riviste.unimi.it/index.php/statoechiese/article/view/9792>. «Gli scrittori ecclesiastici — precisa Schiappoli — deducono le loro opinioni da alcuni principii fondamentali che si possono così riassumere: a) il concordato è un adattamento della comune legislazione canonica alle speciali condizioni sociali e politiche di uno Stato determinato nei suoi rapporti con la religione e la Chiesa; b) la Chiesa non è un’organizzazione sottoposta alla sovranità dello Stato, ma è, al pari di questo, sovrana nel suo ordinamento e dipende direttamente dalla Santa Sede; c) lo Stato non è competente a regolare le materie ecclesiastiche trattate nel concordato e, se ciò fa, è perché la Chiesa gliene fa espressa concessione; d) il concordato è una forma di manifestazione della subordinazione dello Stato alla Chiesa, almeno per quanto riguarda le materie ecclesiastiche» (ibidem).
(10) Ibid., p. 2. Domenico Schiappoli era giurista di scuola liberale seguace delle teorie di Francesco Scaduto (1858-1942) ecclesiasticista e canonista, anch’egli di scuola liberale, con forti punte di giurisdizionalismo. Scaduto è considerato il fondatore della nuova disciplina del diritto ecclesiastico italiano, per la quale solo lo Stato è competente a legiferare in materia.
(11) Ibidem.
(12) Robert A. Graham, Vatican Diplomacy. A Study of Church and State on the International Plane, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1959, cit. in Antony Rhodes (1916-2004), Il Vaticano e le dittature. 1922-1945, trad. it., Mursia, Milano 1973, p. 46.
(13) Pietro Parolin, relazione del 1° marzo 2019 al convegno su Gli accordi della Santa Sede con gli Stati (XIX-XXI). Modelli e mutazioni: dallo Stato confessionale alla libertà religiosa, organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana e dall’École Française de Rome, 28-2/1°-3, nel sito web <http://www.settimananews.it/diritto/concordati-la-santa-sede-gli-stati-xix-xxi-secolo>.
(14) Ibidem.
(15) Ibidem.
(16) José Tomás Martin de Agar, Passato e presente dei Concordati, in Ius Ecclesiae. Rivista Internazionale di Diritto Canonico, Pontificia Università della Santa Croce, vol. XII, n. 3, Giuffrè, Milano settembre-dicembre 2000, pp. 613-660 (p. 614).
(17) Cfr. Giuseppe Casuscelli, Concordati, intese e pluralismo confessionale, Giuffrè, Milano 1974, pp. 13-20; Alberto de La Hera Pérez-Cuesta, El futuro del sistema concordatario, in Ius canonicum, vol. XI, n. 21, Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 1971, pp. 5-21.
(18) Cfr. Pio XII, Discorso ai giuristi cattolici, del 6-12-1953.
(19) Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto (1943-2020), I concordati dell’ultimo mezzo secolo, in Ius ecclesiae, cit., vol. XII, n. 3, 2000, pp. 673-678 (p. 676).
(20) Paolo VI (1963-1978), Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale di Diritto Canonico, del 19-1-1970.
(21) P. Parolin, rel. cit. p. 4.
(22) Nel diritto internazionale la parafatura è la sottoscrizione di un documento mediante paraffo, vale a dire una sigla apposta dai negoziatori a un testo ancora in fase di discussione sul quale esiste però già una base di consenso.
(23) Anche se vi è chi sostiene che «fino al concordato italiano del 1803, che nell’aspetto formale risente dell’influenza del concordato con la Francia del 1801, non si dovrebbe neppure parlare di una moderna convenzione diplomatica quanto di pattuizioni dirette a regolare l’esercizio di certi diritti di entrambe le parti oppure a comporre un conflitto su una materia determinata nelle relazioni tra esse» (Carlo Fantappiè, Concordati, vol. I. Dalle origini all’Unità Nazionale, nel sito web <http://www.storiadellachiesa.it/glossary/concordati-e-la-chiesa-in-italia>).
(24) «Due sono, Augusto Imperatore, quelle che reggono principalmente questo mondo: la sacra autorità dei vescovi e la potestà regale. Delle quali tanto più grave è la responsabilità dei sacerdoti in quanto devono rendere conto a Dio di tutti gli uomini, re compresi», si legge nella Lettera che Papa Gelasio I scrive all’imperatore bizantino Anastasio I Dicoro (430-518).
(25) C. Fantappiè, op. cit.
(26) I iura circa sacra erano diritti che il monarca assoluto si attribuiva in materia ecclesiastica, quale protettore della Chiesa, custode della sua unità e della purezza della fede.
(27) Ma non per i suoi aspetti storici perché rimase sostanzialmente lettera morta a causa dei dissensi in materia tra Napoleone e Francesco Melzi d’Eril (1753-1816), vicepresidente della Repubblica Italiana dal 1802 alla trasformazione della stessa in Regno d’Italia nel 1805.
(28) Il cesaropapismo è un sistema nel quale si rileva una tendenza del monarca a legiferare e giudicare in materia religiosa e teologica.
(29) Sidney Z.[deněk] Ehler (1908-1972), Breve storia dei rapporti tra Chiesa e Stato, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1961, p. 114. Ehler significativamente aggiunge: «Tuttavia, le soluzioni estreme francese e portoghese testimoniavano di una preoccupante tendenza ideologica. “Noi ci siamo impegnati in un’opera di anticlericalismo, nella lotta contro la religione” proclamava in pieno parlamento il ministro francese Viviani nel 1906. “Abbiamo spento nel firmamento delle luci che non si riaccenderanno mai più. Abbiamo mostrato che il cielo è popolato soltanto di chimere”» (ibidem).
(30) «Vediamo parimenti che alcuni Stati, in seguito a così gravi e radicali sconvolgimenti politici, si sono trasformati al punto da non poter più essere considerati come la stessa persona morale con la quale la Sede Apostolica aveva trattato in precedenza. Dal che naturalmente consegue che anche i patti e le convenzioni che prima erano stati conclusi tra la Santa Sede e quegli Stati non hanno più alcun valore. Tuttavia, se i Capi delle Repubbliche e degli Stati sopraddetti volessero stipulare con la Chiesa nuovi patti che siano più appropriati alle mutate condizioni politiche, sappiano che la Santa Sede, qualora non vi si opponga particolare ostacolo, non è aliena dal trattare con essi come sta già trattando con alcune Nazioni. Teniamo però a proclamare nuovamente innanzi a voi, Venerabili Fratelli, che non consentiremo mai che in questi Concordati si insinui alcunché di contrario alla dignità e alla libertà della Chiesa, poiché importa altamente alla stessa prosperità del civile consorzio, specialmente ai giorni nostri, che tale libertà e dignità rimangano salve e intatte» (Benedetto XV, Discorso ai cardinali riuniti in concistoro segreto in occasione della Conferenza Internazionale di Washington per il Disarmo «In hac quidem», del 21 novembre 1921).
(31) Con l’enciclica Vehementer Nos, datata 11 febbraio 1906, il pontefice protestava contro la legge di separazione del 1905 e in genere contro la legislazione antireligiosa in Francia, condannando in particolare la denuncia unilaterale da parte dello Stato francese del concordato del 1801, fino ad allora in vigore, e la confisca pressoché totale delle proprietà ecclesiastiche. Nell’enciclica veniva altresì condannata la separazione fra Stato e Chiesa operata dal governo francese, che riduceva la Chiesa a semplice associazione di culto.
(32) Cfr. A. Rhodes, op. cit.
(33) Sul tema cfr. Oscar Sanguinetti, Novanta anni fa: la Conciliazione, in Cristianità, anno XLVII, n. 396, marzo-aprile 2019, pp. 39-62.
(34) «Il Rhodes — come risulta da questa sua opera — è avversario dei Concordati», scrive Gianfranco Bianchi (1915-1992) nella presentazione all’opera dello storico inglese, op. cit., p. 11.
(35) Cfr. Roberto Pertici, Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al Nuovo Concordato (1914-1984), il Mulino, Bologna 2009.
(36) Ibid., p. 238. Il riferimento è a Renato Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1939), Il Mulino, Bologna 1979.
(37) Cfr. Giovanni Coco, Il Labirinto romano. Il filo delle relazioni Chiesa-Stato tra Pio XI, Pacelli e Mussolini (1929-1939), 2 tomi, Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2019.
(38) S. Z. Ehler, op. cit., p. 124.
(39) Joseph Zen Ze-kiun, già vescovo di Hong Kong, creato cardinale da Benedetto XVI (2005-2013) nel 2006, il 9 gennaio 2016 ha criticato con una durissima nota la politica vaticana nei confronti della Cina (cfr. Che cosa porterà alla Chiesa in Cina l’anno 2016, nel sito web <http://www.asianews.it/notizie-it/Che-cosa-porter%C3%A0-alla-Chiesa-in-Cina-l%E2%80%99anno-2016-36349.html>).