Come i comunisti cinesi stanno piegando ai propri interessi il Medio Oriente
di Stefano Nitoglia
Mentre gli Stati Uniti sono impegnati a sostenere l’Ucraina di fronte all’aggressione dell’esercito russo, la Repubblica Popolare di Cina si muove sullo scacchiere mediorientale, tradizionale “riserva di caccia” della politica americana. Con questa iniziativa Pechino punta anche su una nuova Via della seta, passante per l’Asia Centrale e il Medio Oriente, ora che il vecchio corridoio russo-ucraino è impedito dalla guerra in atto.
Dopo l’annuncio dell’accordo (10 marzo 2023) raggiunto tra l’Iran e l’Arabia Saudita, mediato, appunto, dalla Cina, per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, interrotte dal 2016 per iniziativa dell’Arabia Saudita, quando la propria ambasciata di Teheran fu assaltata da manifestanti iraniani, che protestavano contro l’esecuzione di un musulmano sciita. Per la precisione i rapporti si erano deteriorati già nel 2015, allorquando l’Iran era intervenuta a sostegno del movimento Houthi in Yemen, che combatte contro il governo locale, sostenuto da Riad. Ad ogni modo, il 6 aprile 2023 i ministri degli esteri iraniano e saudita si sono incontrati a Pechino.
Iran e Arabia Saudita sono in competizione dalla rivoluzione khomeinista del 1979, sia per una questione di ruolo di potenza regionale egemone, sia per il titolo di difensori dell’autentico islam: i sauditi protettori dei sunniti, l’Iran degli sciiti. Nel contenimento della Repubblica Islamica, l’Arabia Saudita ha svolto un importante ruolo all’interno della strategia USA, ruolo che ora sembra messo in discussione.
In un comunicato congiunto, rilasciato dopo l’incontro, i ministri degli esteri Hossein Amir-Abdollahian, iraniano, e Faycal ben Farhane, saudita, rilevano che «il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita contribuirà a promuovere sicurezza stabilità e prosperità in Asia occidentale. Le due parti hanno concordato di sviluppare la loro cooperazione in tutti i settori, al fine di garantire la sicurezza e la stabilità della regione». Inoltre, nella dichiarazione congiunta, i due ministri degli esteri definiscono Iran e Arabia Saudita «nazioni fraterne» e ringraziano la Cina per averli ospitati e la Svizzera per il ruolo svolto nel rappresentare gli interessi delle due nazioni in questi ultimi anni di contrapposizione nello Yemen e in Siria, preannunciando, altresì, uno scambio di visite nei rispettivi Paesi come parte del ripristino dei legami bilaterali, mentre pochi giorni prima Teheran aveva dato conferma di una prossima visita del presidente iraniano Ebrahim Raisi a Riad per incontrare il re dell’Arabia Saudita, Salman.
L’accordo prevede, oltre alla restaurazione delle relazioni diplomatiche e la riapertura delle ambasciate nelle rispettive capitali, anche la riapertura dei consolati saudita a Mashhad e iraniano a Riad, nonché la ripresa dei voli, degli scambi culturali e commerciali e della cooperazione in tema di sicurezza.
Secondo l’ambasciatore iraniano a Pechino, Keshavarzzadeh, «gli sforzi diplomatici di Pechino per riunire Iran e Arabia Saudita stanno correggendo errori commessi dall’America. Pechino potrebbe svolgere un ruolo significativo nella mediazione del conflitto in Ucraina». Dal canto suo, il quotidiano in lingua inglese del governo comunista cinese sottolinea che la ripresa dei rapporti diplomatici e commerciali tra Iran e Arabia Saudita «ha implicazioni geopolitiche di vasta portata ed è vista da molti come un duro colpo per l’influenza diplomatica degli Stati Uniti, ma anche come un risultato significativo per la Cina sulla scena politica internazionale».
L’attivismo diplomatico della Cina in Medio Oriente (e non solo, vedasi la visita di Xi Jinping a Putin di qualche giorno fa) costituisce, infatti, un serio pericolo per la politica americana in questo importante settore, tradizionalmente di sua competenza. Non si possono ignorare i segnali dati in questo senso dalla calorosa accoglienza che il presidente e dittatore comunista cinese Xi Jinping ha ricevuto a dicembre in Arabia Saudita, in contrasto con l’accoglienza piuttosto fredda riservata, nel luglio scorso, al presidente americano Joe Biden. Questa nuova politica potrebbe avere ripercussioni anche su Israele e sulla strategia geopolitica iraniana della nuova mezzaluna sciita.
Martedì, 11 aprile 2023