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“La condizione di volontaria minorità dei cattolici nella politica italiana”

26 Aprile 2017 - Autore: Alfredo Mantovano

Da “Il Foglio” del 25 aprile 2017. Foto da Tagli

37, 20-04-17. Non suggerisco una quaterna. Leggo il numero dei deputati – appena 37 su 630, il 6 per cento dei componenti della Camera- che giovedì scorso, 20 aprile 2017, hanno votato contro la legge sulle Dat. 40, 19-02-04: 40 è il numero della legge, pubblicata il 19 febbraio 2004, che pose ragionevoli argini alla fecondazione artificiale, riconoscendo il concepito quale soggetto di diritti. Che cosa è accaduto in appena tredici anni per affievolire a tal punto il peso dei cattolici in Parlamento? Da forza non maggioritaria ma egemone su temi fondanti, aggregante rispetto a sensibilità non confessionali, ascoltata e tutt’altro che elitaria -alla legge 40 è seguita nel 2005 la vittoria referendaria – a frangia marginale, nemmeno chiaramente riconoscibile.
E’ un quesito da porsi con serietà, senza automatismi del tipo “da quando c’è Papa Francesco…”: l’ultima modalità di presenza pubblica dei cattolici italiani, col coinvolgimento formale della realtà ecclesiale, è stato il Family day del 2007, che ebbe come ricaduta politica il blocco dei Dico, l’antecedente logico della legge sulle unioni civili. Il progressivo abbassamento di profilo è iniziato da al-meno un decennio, nonostante contestua-le prezioso magistero di Papa Benedetto sul rapporto tra fede, cultura e politica, pur nella distinzione fra religione, legge natu-rale e legge dello stato. Vanno aggiunti due particolari: a) con non poco sforzo, risultati politici importanti, sia quanto a interdizione di norme libertarie, sia quanto a positiva promozione di una sana antropologia – è il caso della legge 40 – hanno avuto sullo sfondo una costante interlocuzione con i luoghi dell’approfondimento culturale, che hanno fornito strumenti di comprensione ed elaborazione; b) il tutto è accaduto senza avere un unico riferimento partitico, come era la Dc prima del 1992, il che rende ancora più significativo il lavoro di raccordo che ha permesso di conseguire certe mete. Si poteva fare meglio? Senza ombra di dubbio.
Si è dedicata maggiore attenzione a vita, famiglia e libertà religiosa invece che a lavoro, povertà e marginalità?
Può darsi. Ma se si opera un confronto con quel che oggi passa – si fa per dire – il convento, fa impressione come nella sola legislatura in corso sia avvenuto il varo di divorzio breve, divorzio facile, droga free, matrimonio same-sex, il dilagare del gender nelle scuole, e in chiusura sta per essere approvata una bella legge sull’eutanasia.
Senza che sull’altro piatto della bilancia il benessere sia aumentato o la miseria diminuita. E’ evidente che la realtà laicale italiana che è parte attiva della chiesa, a cominciare da movimenti e associazioni, non ha vocazione e attenzione esclusive per la politica. Ma è altrettanto vero che: a) la dottrina sociale della chiesa è da sempre qualificata “parte integrante della concezione cristiana della vita”; b) lo è perché le leggi dello stato condizionano i comportamenti dei singoli e del corpo sociale, e per questo non può esserci disinteresse per normative che sovvertono le basi della comunità familiare, della relazione educativa, dell’aiuto ai più deboli, al concepito, all’ammalato e all’anziano. Perfino quando, all’indomani della costituzione dello stato unitario, la chiesa italiana scelse di non partecipare alla politica nazionale – e durò mezzo secolo – tuttavia non si ritrasse dalla presenza attiva nel corpo sociale, non soltanto con opere materialmente caritatevoli, che non mancano neanche adesso, ma con iniziative di peso nel mondo del lavoro, della cooperazione imprenditoriale, del credito bancario: l’Opera dei congressi rappresentò il coordinamento di tutto ciò. Oggi le energie non sono scomparse: gli atenei e i luoghi di formazione continuano a esprimere intelligenze e studi di livello; manca il loro collegamento col piano della politica. Una base di riferimento esiste e non è minuscola: è venuta fuori, fra la meraviglia di larga parte dei media, nei Family day di piazza S. Giovanni e del Circo Massimo, pur in assenza di una partnership del mondo ecclesiale; ma pur essa non ha con chi raccordarsi per dare eco nelle istituzioni alle istanze delle famiglie scese in piazza. Non è necessaria, visti i tempi, una formale investitura: il Papa lo ha detto, “non esistono i vescovi-pilota”, il che vuol dire che la responsabilità è dei laici all’interno della chiesa. Ma se il vescovo non sta davanti o in mezzo – ed è giusto che sia così – comunque da qualche parte si deve percepire che non è contro o indifferente. Quando, per fare l’ultimo esempio in ordine di tempo, il tentativo dell’on. Di Maio di portare su sponde grilline la protesta di Serra-valle viene letto come apertura alla domenica cristiana, e viene seguito da manifestazioni di simpatia per M5s, senza discernimento per l’ideologia, i riti e il carattere del Movimento, profondamente contrari a una corretta antropologia, l’effetto-confusione è assicurato; e il risultato in termini di paralisi di proposta politica e di conclamata irrilevanza pure. Nel mondo cattolico italiano di oggi esistono le forze per venir fuori da questa condizione di volontaria minorità. Qualche chiaro segnale di incoraggiamento da parte dei pastori non guasterebbe.
La prossima legislatura è alle porte: pensiamo che, in assenza di iniziativa, sarà migliore?

Alfredo Mantovano 

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