Giovanni Paolo II, Cristianità n. 308 (2001)
Discorso durante la celebrazione dei Vespri d’Europa nella Heldenplatz a Vienna, del 10-9-1983, n. 4, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VI, 2, pp. 436-444 (pp. 439-441). Traduzione de L’Osservatore Romano, titolo e inserzioni fra parentesi quadre redazionali.
[…] 300 anni orsono [nel 1683] le truppe dell’Impero ottomano cinsero d’assedio questa città [Vienna], come già nel 1529, con grande superiorità di forze. Il percorso di queste armate era segnato dal terrore degli incendi, delle stragi e delle deportazioni; indicibili erano la miseria, i lamenti, la sofferenza, ammirevole il coraggio dei difensori di Vienna. Prendevano forza dalla loro fede, dalla preghiera e dalla convinzione di combattere non solo per il loro Paese, ma anche per l’Europa e per il cristianesimo. Al Papa spetta il compito di ricordare che il suo predecessore di allora, il beato Innocenzo XI, appoggiò efficacemente l’Austria e i suoi alleati con sovvenzioni, con aiuti diplomatici e con un appello alla preghiera rivolto alla cristianità. Anche al Papa polacco sia concesso di parlare con particolare commozione del re polacco Jan Sobieski alla guida delle truppe di soccorso alleate che liberarono Vienna, in un momento in cui gli eroici difensori della città, ormai soltanto con le loro ultime forze, potevano evitare l’occupazione.
È giusto ricordare con ammirazione i difensori e i liberatori di Vienna che hanno opposto resistenza all’attacco con una collaborazione esemplare. Ci sono stati tramandati appelli di predicatori che cercavano di spingere gli uomini di quel tempo non solo all’audacia, ma soprattutto ad un ritorno al cristianesimo. La storia ci impone di interpretare gli eventi di allora con lo spirito dell’epoca e non semplicemente di misurarli al nostro presente. Essa impone di evitare una condanna e un’esaltazione unilaterale. Noi sappiamo che orribili crudeltà venivano inflitte non solo dall’esercito osmanico, ma anche dall’armata dell’imperatore e dei suoi alleati. Per quanto possiamo essere contenti del successo nella difesa dell’Occidente cristiano, dobbiamo prendere coscienza con vergogna del fatto che la solidarietà cristiana allora non era né spontanea né europea.
Noi siamo soprattutto consapevoli del fatto che la lingua delle armi non è la lingua di Gesù Cristo e neppure la lingua di sua Madre, alla quale allora come oggi ci si appella come “aiuto dei cristiani”. Ci sono casi in cui la lotta armata è un realtà inevitabile a cui in circostanze tragiche non possono sottrarsi neanche i cristiani. Ma anche in questo caso è vincolante l’imperativo cristiano dell’amore per il nemico, della misericordia: colui che è morto sulla Croce per i suoi carnefici trasforma ogni mio nemico in un fratello, cui spetta il mio amore, anche se mi difendo dal suo attacco.
Così questo Giubileo non sia il festeggiamento di una vittoria bellica bensì il festeggiamento di una pace donataci oggi in contrasto, annunciato con gratitudine, con un avvenimento che era legato a una così grande sofferenza. Dobbiamo dimostrarci degni della libertà che allora è stata difesa con così grande impegno.
Giovanni Paolo II