Nelle primarie tenutesi domenica 26 febbraio, superando il gran favorito, Stefano Bonaccini, Elly Schlein è stata eletta nuova Segretaria di quello che, per il momento, si chiama ancora “Partito Democratico” (PD). Si preannuncia una svolta altrettanto radicale di quella impressa alla Bolognina dall’allora segretario, Achille Occhetto, il 12 novembre 1989, all’indomani della “caduta” (rectius “abbattimento”) del Muro di Berlino tre giorni prima. Comprendere le motivazioni della vittoria della Schlein, dai più inattesa, è essenziale per delineare le prospettive del nuovo partito (Partito del Lavoro?) che rinascerà dalle ceneri del vecchio PCI-PDS-DS-PD
di Maurizio Milano
A partire dalla cosiddetta “svolta della Bolognina” – dal nome della storica sezione del PCI di Bologna, dove Occhetto tenne il suo famoso discorso – il vecchio Partito Comunista Italiano (PCI), il più potente partito comunista occidentale, per non finire travolto dalle macerie del muro di Berlino avviò con intelligenza una lunga transizione dalle radici marxiste-leniniste-gramsciane, comunque mai rinnegate, al nuovo “partito radicale di massa”, che democratizzava le istanze radicali – divorzio, aborto, eutanasia, droga libera – mettendo progressivamente in secondo piano le cosiddette “rivendicazioni sociali”. Un po’ per volta, con “la cosa” di Occhetto il partito dei lavoratori iniziò a perdere i contatti col mondo del lavoro, mutando in una sinistra radical chic, di benestanti liberal che vivono nelle Ztl delle grandi città, abituati a governare senza avere il consenso o doverne rendere conto. Nel corso degli anni, la continua emorragia di voti e di militanti, in accelerazione durante la segreteria di Enrico Letta, ha creato le condizioni perché si imponesse la “cosa nuova” di Elly Schlein, una sorta di “nuova Bolognina”. La Schlein terrà insieme le radici marxiste – pensiamo ai pugni chiusi e al canto dell’Internazionale e di Bella Ciao che hanno acclamato festosamente la sua vittoria – con le istanze del partito radicale di massa e l’apertura a tutti i nuovi “diritti” – con una particolare sensibilità, anche per la sua biografia, al tema della fluidità di genere, delle istanze LGBTQIA+ e del “matrimonio egualitario” – fino all’ultima frontiera del “socialismo verde”.
Quest’ultima è la principale novità, che allinea l’evoluzione del partito che rinascerà dalle ceneri del PD all’Agenda Onu 2030, al Build Back Better dell’amministrazione Biden, al Green Deal della Commissione Europea, nella prospettiva – per usare i termini utilizzati dal sociologo e teorico politico Paolo Gerbaudo – di una nuova era caratterizzata dalla “pianificazione democratica” e dallo “statalismo climatico”. La Schlein incarna, nelle sue idee e nella sua biografia, in modo esemplare la fase più avanzata della Rivoluzione, in cui il vertice tecnocratico mondialista si salda alla base movimentista (tra i suoi sostenitori anche il “caposardina” Mattia Sartori, ad esempio). Ascoltando la Schlein, i precedenti dirigenti, come Piero Fassino, Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta, appaiono come i vecchi burocrati della nomenklatura sovietica, il retaggio di una sinistra “novecentesca” e limitata ai confini nazionali: la Schlein è molto più avanti di loro, a partire dall’uso del linguaggio e della “narrazione globalista”, quindi molto più pericolosa. La sinistra radicale della Schlein parla contemporaneamente di accoglienza “senza se e senza ma” e di jus soli, di femminismo e diritto all’aborto, all’eutanasia e alla cannabis libera, di inclusività LGBTQIA+ e di “matrimonio egualitario”, di “conversione ecologica”, di scuola statale “per educare alle differenze”, di sostenibilità, di digitalizzazione, di una fiscalità ancora più redistributiva, di nuove pianificazioni dall’alto, di una governance sovranazionale. Sembrerebbero discorsi contro il potere, se non fossero gli stessi punti della cosiddetta “iniziativa” del Great Reset, promossa dal World Economic Forum (WEF) di Davos, dove si riunisce la più importante “community” pubblico-privata mondiale, un neo-corporativismo globalista “per creare un mondo migliore”, una “nuova normalità” e un “nuovo umanesimo” nella cosiddetta “era post-pandemica”. Il tutto imposto dall’alto.
È significativo che il linguaggio usato dalla Schlein sia lo stesso utilizzato dal fondatore e presidente del WEF, l’ing. Klaus Schwabnel suo testo Stakeholder Capitalism: A Global Economy that Works for Progress, People and Planet, focalizzato sulle “persone” e sul “pianeta”: una prospettiva materialista, individualista, dirigista, mondialista, una sorta di rovesciamento della sussidiarietà. Siccome il grande capitale economico-finanziario e i media globali sono già stati ingaggiati nell’iniziativa del reset, rimane solo da convincere la base, rieducandola con un’adeguata narrazione, facendo leva sulle emozioni e sui sentimenti.
Leggendo le reazioni sui social, in particolar modo quelle dei detrattori appartenenti all’area culturale di centro-destra, si nota per lo più grande soddisfazione per la vittoria di una figura così estremista, una sorta di “anti-Meloni” che, negli auspici, porterà verosimilmente a una polarizzazione dello scontro politico e all’implosione finale del Partito Democratico. La Schlein rappresenta certamente una piccola minoranza di opposizione nel Paese, ma esprime le stesse idee e gli stessi programmi delle classi dirigenti europee e statunitensi attualmente al potere e si illude chi pensa che sia solo una meteora. Non avrebbe mai vinto se non fosse stata “indicata”dall’alto: basti pensare che, fino all’inizio di dicembre, non aveva neppure la tessera del PD. Che la Schlein rappresenti la “fine del PD” non ci sono dubbi, nel senso però che sarà la fine di un partito novecentesco, un PD che non parla più da tempo alle menti e ai cuori del suo popolo. Ma dalle ceneri del vecchio PD nascerà una “cosa nuova”, assai più subdola e insidiosa. Con la Schlein il processo rivoluzionario promette di accelerare: sottovalutarla sarebbe ingenuo, molto ingenuo.
Giovedì, 2 marzo 2023