Comunicazione — il cui titolo originale suona La crisis contemporánea: crisis moral y religiosa — tenuta il 26 settembre 1997 dal dottor Estanislao Cantero Núñez, tenente colonnello uditore del Cuerpo Jurídico Militar del Regno di Spagna, accademico corrispondente della Real Academia de Jurisprudencia y Legislación e saggista, in occasione del 4° Congresso Internazionale della SITA, la Società Internazionale Tommaso d’Aquino, svoltosi a Barcellona, in Spagna, dal 24 al 27 settembre 1997, presso l’Instituto Filosófico de Balmesiana, sul tema El problema del hombre y el misterio de Jesucristo. Il testo è stato annotato dall’autore — socio del sodalizio promotore — anche con rimandi a testi editi posteriormente all’intervento. Traduzione redazionale.
La crisi del mondo moderno, che comprende lo Stato, la società e l’uomo è, anzitutto, una crisi religiosa. E perciò è anche una crisi politica, sociale, istituzionale e morale. È pure, per molti cattolici che mantengono ancora, dal punto di vista intellettuale, l’integrità dei princìpi, una crisi di coerenza fra la fede e il comportamento, fra quanto si dice di credere e quanto si pratica e si vive; fra i fini presupposti dalla propria visione del mondo e i fini cui davvero ci si dedica.
È ben noto che da quando, ormai tre secoli fa, si è verificata la crisi del pensiero europeo (1), il mondo moderno è stato caratterizzato dalla crescente secolarizzazione, che è stata solamente il crescente rifiuto sistematico di Dio e della religione rivelata (2). Ma un mondo senza Dio si arrende semplicemente a diversi idoli che lo dominano fino a distruggerlo (3).
È pure luogo comune che la Spagna non abbia sofferto questa crisi con la stessa intensità, e che l’abbia affrontata durante la sua gestazione e successiva esplosione così da essere preservata da tale rottura, rendendo possibile che lo scontro, già al suo interno durante i secoli XIX e XX, non presentasse sintomi di rottura definitiva fino a oggi, quando, visibilmente, in modo ufficiale, tale rottura si è consumata (4).
Fra le malattie, quella del mondo moderno è stata ripetutamente diagnosticata e ne è stata continuamente indicata la cura: l’abbandono dei falsi princìpi e il ritorno alla legge naturale e alla legge della grazia (5).
Giovanni Paolo II, non molto tempo fa, in un’enciclica limpida e inoltre puntuale, la Veritatis splendor, affrontava la pretesa del mondo moderno a un pluralismo morale personale, accompagnato, nel migliore dei casi, da un’etica civile minimalista, basata sul consenso e relativistica. Un’etica impossibile per natura, che è il maggior surrogato intellettuale per pensieri deboli o politicamente corretti.
Il permissivismo morale, frutto non della distinzione ma della netta separazione del diritto dalla morale, non si è tradotto in un risorgere di comportamenti etici nella cornice della libertà; nessun arricchimento etico ma, al contrario, un crescente pauperismo morale, con comportamenti che distruggono la convivenza comunitaria (6) — come il divorzio, l’aborto, l’omosessualità, il commercio di favori o la corruzione — e che rispecchiano un diritto “peggiore” e una legislazione incoerente con la sua finalità (7); infine, tali comportamenti hanno come conseguenza d’imporre nuovi obblighi e di codificare nuovi delitti. Si tratta di una legislazione che s’impone grazie alla forza coattiva che la spalleggia, ma nei confronti della quale si pensa sempre più che non obblighi moralmente — senza che la pretesa legittimazione democratica sia riuscita a superare la pura legalità (8) —, il che si traduce in una perdita d’efficacia e in una caricatura di legge, come testimonia l’obiezione di coscienza basata sull’autonomia della coscienza, considerata come unica regola dell’agire e, talora, come diritto soggettivo (9).
Giovanni Paolo II sviluppa in tale enciclica l’“essenziale legame di Verità-Bene-Libertà” (10), il cui abbandono ha dato luogo alle nuove teorie che nulla vogliono sapere della legge naturale, delle norme permanentemente valide e universalmente vincolanti, che vietano gli atti intrinsecamente cattivi (11). Il Papa descrive il soggettivismo morale come una delle origini dei mali dell’attuale situazione, frutto del ritenere la libertà umana un valore supremo del quale la coscienza esprime la verità per il fatto della sua autenticità (12).
Non è in gioco solo l’aspetto personale, ma anche quello sociale, come avverte nella stessa enciclica: “Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l’intera società, con la riaffermazione dell’universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi“ (13), così che “[…] solo una morale che riconosce delle norme valide sempre e per tutti, senza alcuna eccezione, può garantire il fondamento etico della convivenza sociale” (14). L’oblio di questa morale conduce al totalitarismo e allo “Stato tiranno” e delegittima il regime politico (15), così come il Papa ha indicato nelle encicliche Evangelium vitae (16) e Centesimus annus (17).
L’esclusione dell’ordine dell’essere, l’avversione per la metafisica, la rinuncia o l’ignoranza nel conoscere la realtà come oggettività che esprime un ordine delle cose suscettibile di venire scoperto; il rifiuto di sottomettersi agli imperativi che tale ordine indica; l’assenza di limiti nelle possibilità dell’agire, in base ai quali si può intervenire solo nell’ambito di quanto tale ordine esprime come suscettibile di dominio, regolamentazione e modifica da parte dell’uomo; il laicismo e la secolarizzazione, imposti coattivamente alle società dopo un lungo processo di suggestione mentale e di rottura sociale e politica cruenta, in nome d’una ragione e di una libertà idolatre di sé stesse (18); l’esclusione del bene e della verità; il rifiuto della visione del mondo cattolica e della sottomissione a un Dio personale che ci si è rivelato in suo Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo, sono alcune manifestazioni che hanno causato tale crisi. Insomma, il “sarete come dei”, assunto consciamente o inconsciamente, è la causa fondamentale sia della crisi dello Stato — iniziata dal suo esordio e, da allora, in crescendo —, che della società, la cui infermità ha avuto uno sviluppo molto più veloce, fino a essere praticamente scomparsa, divorata dallo Stato; quest’ultimo, con il venir meno della società, si è trovato privo del cibo con cui sostentarsi e fa acqua da tutte le parti (19).
Il possibile rimedio non si trova in nuove teorie, in un’altra filosofia, in terapie che correggano questo o quello, ma in una radicale trasformazione attraverso cui venga abbandonato quanto non avrebbe mai dovuto essere. E non vi sono fughe in avanti che non finiscano nel precipizio. Fondamentalmente non vi è nulla da inventare. Basta rinunciare alle cause precedentemente indicate. Si deve tornare alla “comunità politica”, con tutto quanto ciò presuppone e significa (20).
È necessario ritornare al fondamento naturale delle società, cosa che sarebbe sufficiente se duemila anni fa non fosse accaduto un fatto essenziale, l’incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo. Le società pagane, anche al culmine della perfezione, si rivelarono insufficienti a permettere e a coadiuvare lo sviluppo verso la perfezione dell’uomo in tutta la sua integrità e a rispettarlo in quanto persona. L’apporto del cristianesimo fu fondamentale e, ancor oggi, l’edificio pericolante della società moderna si sostiene sui resti delle società cristiane, dei loro princìpi e delle loro istituzioni. Per questo san Pio X metteva in guardia da ogni tentativo di costruzione sociale utopistica, che prescindesse dalle fondamenta naturali e divine della società: “[…] la civiltà non è più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa è esistita, essa esiste; è la civiltà cristiana, è la città cattolica. Si tratta unicamente d’instaurarla e di restaurarla senza sosta sui suoi fondamenti naturali e divini” (21).
Come riuscire a conseguirlo o almeno a provarci? Non si tratta di imposizioni dogmatiche, ma di un cambiamento nelle volontà. Le mentalità e gli errori in cui le volontà sono cadute, le cui conseguenze sono visibili nell’attuale crisi, sono frutto di una volontà deliberata che ha emesso la “sua opzione”, imponendo alla comprensione un assenso che va oltre quanto esso percepisce ed è anche contrario a quanto coglie nel caso delle evidenze. E proprio relativamente a queste ultime tale volontà, quella “cattiva volontà”, appare con più chiarezza (22).
Se davvero si vuol migliorare, non serve a nulla cominciare a negare le cose o a usare eufemismi. In tutto lo sviluppo della cultura moderna l’uomo “ha voluto”. E quando il suo ragionare discorsivo ha sbagliato nelle conclusioni, “aveva posto” previamente false premesse. Le cose sono vere in sé stesse, perché esprimono il loro essere. E la comprensione non è la causa dell’errore, ma questo si propone con apparenza di verità a quella.
L’uomo si è proclamato autore della verità; ha affermato che la realtà non aveva consistenza né natura propria e, pertanto, era soggetta al potere dell’uomo. L’uomo, in una parola, “ha voluto”. Si tratta, dunque, solo di volere qualcos’altro. Qualcosa d’altro che sia in accordo con la realtà, con la natura delle cose. Con la propria natura. Ma, naturalmente, tale volere, tale volontà abbisogna della soppressione dei motivi che hanno portato a un così gran cumulo d’errori: la superbia, l’irenismo, l’odio, le passioni in genere, l’insofferenza verso la sana dottrina.
Così, soltanto così, sarà possibile ritornare alla legge naturale con i suoi precetti vincolanti per tutti, con i suoi assoluti morali (23) e con i suoi princìpi, che informano ogni attività umana, e al diritto naturale e a quello positivo, in quanto espressioni di ciò che è giusto nell’ordine della natura delle cose, sia in sé stesso che per decisione umana. Le decisioni umane, se ragionevoli, saranno più o meno felici o sagge in quanto è opinabile, e conseguiranno più o meno bene il fine proposto, a seconda che venga prestata maggiore o minore attenzione alla realtà, alle cause e alle finalità, ossia, a seconda che si operi con maggiore o minore prudenza politica (24), ma di per sé stesse non saranno causa di gravi disordini, sia per la condizione storica loro inerente, che per la materia e l’ambito in cui sono poste in opera.
Ma non vi è società giusta senza uomini giusti (25), né i princìpi possono durare se non si vive in accordo con essi. La fede senza opere è morta. Perciò, se nelle considerazioni precedenti era indifferente l’essere o meno cattolico, nella parte seguente farò riferimento alle esigenze che ha davanti chi professa la religione cattolica.
La terza sezione di questo Convegno tratta il tema dell’uomo dinanzi al Terzo Millennio. Davanti a questa sfida, il cattolico non si trova di fronte a qualcosa di essenzialmente diverso da quanto ebbero coloro che lo hanno preceduto in duemila anni di storia. Permangono sempre i comandamenti di Cristo: ama Dio più di tutte le cose e il prossimo come te stesso. Questo presuppone una vita coerente con la fede, nella quale il comportamento vada d’accordo con i suoi princìpi. Il che ha un’evidente componente intima e personale, ma anche una proiezione pubblica e sociale, nella quale quel vivere si manifesta con l’irradiare pensiero e opere che plasmano le istituzioni.
La ricristianizzazione delle società è una delle sfide del cattolico davanti al Terzo Millennio, cosa cui insistentemente fa allusione Giovanni Paolo II con il termine “nuova evangelizzazione” (26). Una sfida tanto più assillante quanto più fermamente risulta adatta alla società e tanto più raggiungibile quanto minore è il suo attuale allontanamento.
Una delle cause della situazione attuale, descritta per sommi capi, è quella di esserci abituati alla situazione nella quale viviamo, conformandoci alla vita confortevole fornita da una società sviluppata, della quale arriviamo a condividere, forse in maniera non completamente razionale, perfino i criteri di una doppia verità morale — quanto devo fare e quanto faccio in realtà —, senza imbarazzo apparente o rottura con i nostri princìpi. Ma, per il ristabilimento di una società cattolica, i nostri peccati non sono indifferenti. Da un lato, perché con essi tagliamo il filo che ci unisce a Dio, rinunciando al potere della grazia e ponendo ogni speranza nell’ambito naturale; dall’altro perché, in fondo, pretendiamo e speriamo che altri — quelli che vivono coerentemente la propria fede — si sforzino e, se possibile, raggiungano il fine che, benchè desiderato, non lo è al punto da modificare i nostri comportamenti. Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, ha ricordato con chiarezza che il peccato — che è “esclusione di Dio, rottura con Dio, disobbedienza a Dio” (27) — si ripercuote sempre, con danno, su tutta la famiglia umana e, pertanto, non colpisce esclusivamente chi lo commette (28). Perciò, un cattolicesimo light o un cattolicesimo toccato in misura maggiore o minore dalla “nuova morale” non può in nessun modo contribuire alla ricristianizzazione sociale. Si deve vivere e ci si deve comportare come Dio comanda.
Tuttavia, non si può neppur dimenticare che un’altra causa del regresso del mondo cattolico è l’inerzia e la pigrizia dei cattolici. Non è che non crediamo a tutte le verità della fede o che, nonostante tutte le nostre cadute, non cerchiamo di osservare i comandamenti. L’abbandono dei cattolici, i nostri stessi abbandoni, non riguardano quest’aspetto ma, soprattutto, il terreno dell’azione e dell’apostolato (29). Quante volte i cattolici si sono adeguati — ci siamo adeguati — a una vita religiosa e a pratiche di devozione senza che fossero accompagnate da un impegno essenziale come quello di essere permanentemente testimoni di Cristo e, di conseguenza, di svolgere un apostolato continuo. Senza riposo. In tutti gli ambiti della vita e su tutti gli argomenti. Il fatto è che il cattolico non può, senza tradire Cristo Nostro Signore, rifuggire la sua condizione, rinunciare ai suoi doveri. La nostra vita deve essere un continuo e costante impegno nel combattimento per Cristo. E quest’obbligo sembra più perentorio quanto maggiori sono i progressi della modernità e, pure, maggiori gli abbandoni dei cattolici. In quest’impresa di ricostruzione della città cattolica, per la maggior gloria di Dio, per il bene delle anime e per la nostra santificazione interessa oltremodo comprendere ed essere pienamente coscienti che la cosa più importante di tutte, dopo esserci raccomandati a Dio e aver chiesto il suo aiuto, è la forza dell’azione degli uomini. Nulla è capace di sostituirla e senza di essa tutto è perduto. Di conseguenza, il nostro lavoro, il lavoro di ciascuno nella sua sfera di competenza, deve aumentare notevolmente (30).
La professione integrale della fede esige un comportamento a essa coerente, in tutti gli ambiti della vita. Anche in campo professionale, sociale e politico. In quest’ambito, nel quale più che in ogni altro si rivela il cancro del nostro tempo, è più necessaria la presenza di comportamenti cattolici che sfocino, finalmente, in una politica cattolica (31). La democrazia e il pluralismo sembrano essere — di questi tempi! — dogmi intangibili. Ma in proposito è necessario riconoscere che la democrazia e il pluralismo rientrano soltanto nell’ambito dell’opinabile e che entrambi devono trovare sostegno nell’ordine delle cose, nella verità e nel bene (32). Perciò, non vi può essere comprensione verso la democrazia moderna, cioè, verso la democrazia com’è intesa dalla modernità. Su questo terreno esistono un equivoco e un’ambiguità che è necessario, innanzi tutto, riconoscere, per poi vincere (33) e poter ricostruire (34).
La ricostruzione della società cattolica non sarà fatta con un decreto — meno che mai di questi tempi — ma per esigenza sociale; il ritorno ad Aristotele e a san Tommaso, e al pensiero sviluppatosi a partire da loro, non deve soltanto essere d’ordine intellettuale, ma anche morale, posto che, in definitiva, “è impossibile essere ragionevoli se non si è buoni”. La vita nella società, la vita di una comunità politica, è, soprattutto, il comportamento dei suoi membri.
La giustizia, in quanto proporzione, aggiustamento o attributo delle relazioni, è essenziale, così come il bene comune è il fine della politica. Ma la giustizia non è meno essenziale come virtù morale. Dopo di esse, e sopra esse, viene la carità, in tutte le sue splendenti manifestazioni personali, che successivamente si rifletterà nelle istituzioni.
L’uomo di fronte al Terzo Millennio, infine, dopo aver fallito quanto ha provato a fare come “demiurgo”, non ha altra opzione legittima — vi sono sufficienti motivi di credibilità perché sia così — che tornare al mistero di Gesù Cristo e, assieme a Lui, vivere secondo i suoi comandamenti e consigli; e la società deve impregnarsi di esso in tutti i suoi ambiti e le sue componenti.
Estanislao Cantero Núñez
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(1) Cfr. Paul Hazard, La crisi della coscienza europea, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1968.
(2) Cfr. Michele Federico Sciacca, L’ora di Cristo, L’Epos, Palermo 1992; Idem, L’oscuramento dell’intelligenza, 3a ed. riveduta, Marzorati, Palermo 1971; e Juan Bms. Vallet de Goytisolo, Utopía y realidad, in Idem, Más sobre temas de hoy, Speiro, Madrid 1979, pp. 19-31.
(3) Cfr. J. Bms. Vallet de Goytisolo, Metodología de las leyes, Editoriales de Derecho Reunidas, Madrid 1991, pp. 57-201.
(4) Cfr. il mio La quiebra de la tradición jurídica española, in AA.VV., El Estado de Derecho en la España de hoy, Editorial Actas, Madrid 1996, pp. 387-454.
(5) Cfr. J. Bms. Vallet de Goytisolo, Sociedad de masas y derecho, Taurus, Madrid 1969; Idem, Ideología, praxis y mito de la tecnocracia, 2ª ed., Montecorvo, Madrid 1975; e Miguel Ayuso Torres, Después del Leviathan, Speiro, Madrid 1996.
(6) Cfr. Andrés Ollero Tassara, Derechos humanos y metodología jurídica, Centro de Estudios Constitucionales, Madrid 1989, pp. 174-175.
(7) Cfr. il mio El fracaso de los derechos del hombre y su protección en el ordenamiento jurídico español: el paradigma del aborto, in Verbo. Revista de formación cívica y de acción cultural según el derecho natural y cristiano, serie XXXIV, n. 331-332, gennaio-febbraio 1995, pp. 99-113; o in Danilo Castellano (a cura di), I diritti umani tra giustizia oggettiva e positivismo negli ordinamenti giuridici europei, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996, pp. 123-132; Mauro Ronco, Indispensabile radicalità nella lotta per il riconoscimento del diritto alla vita, in Cristianità, anno XX, n. 209-210, settembre-ottobre 1992, pp. 5-9; e Alfredo Mantovano, Aborto “legale” 1978-1996: bilancio di un fallimento, in Cristianità, anno XXIV, n. 256-257, agosto-settembre 1996, pp. 3-6.
(8) Cfr. Consuelo Martínez-Sicluna y Sepúlveda, Legalidad y legitimidad, la teoría del poder, 2ª ed., Editorial Actas, Madrid 1991.
(9) Cfr. il mio La objeción de conciencia al servicio militar, in AA.VV., Guerra, Moral y Derecho, Editorial Actas, Madrid 1994, pp. 257-298.
(10) Giovanni Paolo II, Enciclica circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa “Veritatis splendor”, del 6-8-1993, n. 84; cfr. M. Ronco, Diritto naturale e diritto positivo nell’enciclica “Veritatis splendor”, in Cristianità, anno XXII, n. 230-231, giugno-luglio 1994, pp. 5-14.
(11) Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa “Veritatis splendor”, cit., n. 95.
(12) Cfr. ibid., n. 32.
(13) Ibid., n. 115.
(14) Ibid., n. 97.
(15) Cfr. ibid., nn. 99 e 101.
(16) Cfr. Idem, Enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana “Evangelium vitae”, del 25-3-1995, n. 20; e Giovanni Cantoni, La democrazia nell’enciclica “sociale” “Evangelium vitae”, in Cristianità, anno XXIII, n. 241-242, maggio-giugno 1995, pp. 3-8.
(17) Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica nel centesimo della “Rerum Novarum” “Centesimus annus”, dell’1-5-1991, n. 44.
(18) Cfr. i miei La Revolución francesa: Recapitulación historiográfica, in Aportes. revista de Historia Contemporánea, anno V, n. 12, novembre 1989-febbraio 1990, pp. 20-29; e Evoluzione del concetto di democrazia, in Quaderni di “Cristianità”, anno I, n. 3, inverno 1985, pp. 14-33.
(19) Cfr. M. Ayuso Torres, op. cit.; e D. Castellano, La razionalità della politica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993.
(20) D. Castellano, L’essenza della politica e la contraddizione naturalistica, in Idem, L’ordine della politica. Saggi sul fondamento e sulle forme del politico, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, pp. 29-41.
(21) San Pio X, La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi “Notre charge apostolique”, del 25-8-1910, I, 11, trad. it., Cristianità, Piacenza 1993, p. 12; cfr. G. Cantoni, Dopo il “crollo delle ideologie”: la politica e il “ritorno al reale”, in Cristianità, anno XXVI, n. 275-276, marzo-aprile 1998, pp. 3-4.
(22) Cfr. don Lucas Garcia Borreguero, La radice dell’errore, in Cristianità, anno IV, n. 16, marzo-aprile 1976, pp. 3-4.
(23) Cfr. José Miguel Serrano Ruiz-Calderón, Bioética, poder y derecho, Servicio de Publicaciones. Facultad de Derecho. Universidad Complutense de Madrid, Madrid 1993.
(24) Cfr. Leopoldo Eulogio Palacios, La prudencia política, Instituto de Estudios Políticos, Madrid 1945; Victorino Rodríguez y Rodríguez O.P., Concepción cristiana del Estado, in Idem, Temas-Clave de humanismo cristiano, Speiro, Madrid 1984, pp. 281-320; e Santiago M. Ramírez O.P., La prudencia, Palabra, Madrid 1979.
(25) Cfr. J. Bms. Vallet de Goytisolo, Igualdad y justicia Cinco olvidos o confusiones en torno al concepto de justicia), in Idem, Algo sobre temas de hoy, Speiro, Madrid 1972, pp. 57-71.
(26) Cfr. G. Cantoni, La Contro-Rivoluzione e le libertà, in Cristianità, anno XIX, n. 199, novembre 1991, pp. 6-12; e il mio Nueva evangelización y contrarrevolución, in Verbo. Revista de formación cívica y de acción cultural según el derecho natural y cristiano, serie XXXII, n. 317-318, settembre-ottobre 1993, pp. 911-935.
(27) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale circa la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi “Reconciliatio et paenitentia”, del 2-12-1984, n. 14.
(28) Cfr. ibid., n. 16.
(29) Cfr. Jean Ousset, Para que El reine, trad. spagnola, Speiro, Madrid (1961), 2ª ed. 1972.
(30) Cfr. Idem, La acción, trad. spagnola, Speiro, Madrid 1969.
(31) Cfr. il mio ¿Existe una doctrina política católica?, in AA.VV., Los católicos y la acción política, Speiro, Madrid 1982, pp. 5-48.
(32) Cfr. il mio Moralidad, pluralismo y bien común, in Verbo. Revista de formación cívica y de acción cultural según el derecho natural y cristiano, serie XXV, nn. 341-342, gennaio-febbraio 1996, pp. 113-125; o in D. Castellano (a cura di), Europa e bene comune oltre moderno e postmoderno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, pp. 115-123; e il numero monografico Pluralidad y pluralismo, della stessa rivista, serie XXXVI, n. 357-358, agosto-settembre-ottobre 1997, con articoli di M. Ayuso Torres (Pluralidad y unidad, pp. 617-632), Eudaldo Forment (Verdad y pluralismo, pp. 633-670), C. Martínez-Sicluna y Sepúlveda (Pluralismo y orden natural, pp. 671-695), J. M. Serrano Ruiz-Calderón (El pluralismo moral: consenso y pluralismo, pp. 697-713), Federico J. Cantero Núñez (El pluralismo social, pp. 715-728), D. Castellano (Pluralismo y bien común, pp. 729-740), J. Bms. Vallet de Goytisolo (Pluralidad, pluralismo y derecho, pp. 741-757), Juan Cayón Peña (La tentación democrática, pp. 759-783) e José María Petit Sullá (El sentido cristiano de la historia, pp. 785-801).
(33) Cfr. il mio Evoluzione del concetto di democrazia, cit.
(34) Cfr. J. Bms. Vallet de Goytisolo, Tres ensayos. Cuerpos intermedios, representación política y principio de subsidiariedad, Speiro, Madrid 1981; e Idem, Constitución orgánica de la nación, in Verbo. Revista de formación cívica y de acción cultural según el derecho natural y cristiano, serie ??, n. 233-234, marzo-aprile 1985, pp. 305-382.