Sono sempre più numerosi gli elementi di autodemolizione della Chiesa denunciata con sincero dolore da san Paolo VI nel 1968. L’aggressione viene dall’interno e va contrastata innanzitutto con la conversione dei cuori e con la riproposizione della dottrina di sempre della sposa di Cristo esemplarmente sintetizzata nel Catechismo. Sapendo, come disse sempre san Paolo VI, che è necessario «abbandonarsi, senza ambascia o inopportune ansie, al gioco misterioso della invisibile ma certissima assistenza di Gesù alla sua Chiesa»
di Aurelio Carloni
«Il percorso sinodale tedesco entra nel vivo, pronto a presentare “al Papa o a un Concilio” le richieste vincolanti»: Matteo Matzuzzi, vaticanista de Il Foglio, apre così l’intervista pubblicata il 10 marzo 2022 alla scrittrice Dorothea Schmidt, membro dell’Assemblea. Dopo due anni di dibattiti e sondaggi tra i vescovi e altri esponenti del cattolicesimo tedesco, il Sinodo, riunito a Francoforte, si è pronunciato a maggioranza a favore dell’abolizione del celibato dei preti e dell’ammissione delle donne al sacerdozio. Ora si attende la formalizzazione di queste richieste alla Santa Sede. La Schmidt non esita nell’intervista a dichiarare: «Il cammino sinodale mette ai margini l’ordine della creazione, costruisce una nuova immagine dell’uomo e di Dio, assumendo la mentalità dell’epoca, vuole porre il magistero della Chiesa su un fondamento umanistico e impostarlo secondo la mentalità corrente. (…) Io almeno non riesco a credere che la Chiesa attirerà nuovi membri e che più persone potranno imparare a conoscere e amare Gesù, se dietro all’altare si trovano donne o se vescovi annunciano il sesso libero per tutti o se si sostituisce la celebrazione dell’eucaristia con una celebrazione della Parola. (…) L’atmosfera assomiglia per lo più a un congresso di partito. (…) Le premesse con cui lavora il cammino sinodale sono in evidente contrasto con tutto ciò che Papa Francesco intende con la parola sinodalità, cioè soprattutto ascoltare, ascoltare, ascoltare lo Spirito di Dio, anziché parlare, parlare, parlare. (…) C’è soltanto un non dialogo e un gruppo che di corsa se ne va lontano da Roma. (…) La maggioranza si inchina dinanzi all’ideologia del gender e reputa la creazione divina dell’uomo e della donna una mera interpretazione condizionata storicamente. Il binarismo di genere è liquefatto al punto tale da ritenere praticamente irrilevante chi era Gesù Cristo e chi lo rappresenta. (…) La quasi totalità dei partecipanti vuole rovesciare completamente la dottrina morale della Chiesa».
È solo l’ultimo dei molti esempi che in campo dottrinale testimoniano la crisi nella Chiesa. Una situazione facilmente percepibile nella normale routine di fede dei laici che abbiano l’abitudine di partecipare alle messe feriali oltre che a quelle festive. Questi, infatti, si trovano spesso nella condizione triste – ma non disperante – di verificare quanto sia cresciuto e stia ancora crescendo il livello della crisi, denunciata con sofferenza da san Paolo VI prima nel 1968, quando parlò di esercizio «nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione», e poi nel 1972 quando dichiarò di avere la sensazione «che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Giovanni Cantoni raccomandava ai militanti di Alleanza Cattolica di non parlare di «crisi della Chiesa», ma di «crisi nella Chiesa», proprio per sottolineare che questa riguarda la componente umana e non quella divina della Sposa di Cristo. Uno degli elementi immediatamente percepibili che evidenzia questa crisi, nella maggior parte dei casi, è nelle omelie. Mai, o quasi mai, capita di ascoltare qualcosa di netto in linea con gli insegnamenti dei grandi santi, del Catechismo e del Magistero pontificio. Papa Francesco nei suoi Angelus e nelle sue udienze del mercoledì fa continuo richiamo al demonio, alla necessità di tutelare con coraggio la vita nascente e quella morente dall’aborto e dall’eutanasia e di proteggere i bambini e la società dalla cultura gender, definita senza mezzi termini come una «colonizzazione ideologica». Il Pontefice è inascoltato anche relativamente ai numerosi appelli contro ogni forma di clericalismo. Una deviazione diffusa nell’epoca preconciliare, ma che vive oggi una nuova stagione con un particolare approccio ideologico, secondo il quale la pastorale dei sacerdoti può/deve modificare la dottrina su temi già definiti con chiarezza dal Magistero. Secondo una logica, quindi, di disobbedienza e relativismo.
Quali gli effetti della predicazione del Pontefice sui sacerdoti impegnati nelle omelie? In genere pochi, anzi pochissimi. I sempre meno numerosi habitué della Santa Messa si trovano, così, ad ascoltare parole senza il fuoco dell’amore per Cristo che i Papi, a cominciare da quelli santi della seconda metà del Novecento (san Giovanni XXIII, san Paolo VI, san Giovanni Paolo II), diffondevano e hanno continuato a diffondere fino a oggi a vantaggio della fede del popolo cristiano. Durante le liturgie, invece, a commento delle letture i celebranti pronunciano il più delle volte solo parole piene di un sentimentalismo superficiale, che lavora su slogan mondani e logori. Il «sì, sì; no, no» evangelico viene accantonato per accogliere il linguaggio indifferenziato e senza sapore di tanti documenti prodotti a livello diocesano. Un secondo elemento che colpisce è l’assenza di sacerdoti in confessionale. Anche in questo caso, che per fortuna ha ancora molte eccezioni, gran parte dei presbiteri non ritiene di attendere l’eventuale penitente facendosi vedere, magari in preghiera, nel confessionale. E all’obiezione che sono disponibili, se rintracciati, in sagrestia, si può muovere la contro-obiezione della “pasticceria”. Senza le paste in vetrina, quanti clienti entrerebbero? Così, quante persone rinunciano al sacramento della Riconciliazione non vedendo il prete che le attende? Un terzo elemento è nella diffusa sciatteria nell’abbigliamento dei religiosi, spesso impegnati a rincorrere i metodi più creativi per non apparire tali. È così che molti di loro (tanti continuano a portare con amore la loro veste) spesso non sono riconoscibili per strada e nelle chiese, annullando così la testimonianza concreta della scelta vocazionale di darsi completamente a Dio.
Sono solo tre elementi visibili di una crisi a cui si aggiungono quelli ancora più gravi della reiterata disobbedienza al Papa da parte, oltre che di molti teologi – una vera e propria costante del post-concilio – e di importanti conferenze episcopali, che, come quella di Germania, vorrebbero una Chiesa “aggiornata ai tempi”, per rincorrere, in una sorta di competizione a chi muore prima, le fedi protestanti classiche, ridotte spesso a mere organizzazioni no profit. Una competizione che vede sia le chiese cristiane, cattoliche e non, vuote e abbandonate nei Paesi nordici, tanto da essere vendute e trasformate in supermercati, discoteche, moschee, come denuncia il giornalista Giulio Meotti. Lo stesso Papa Benedetto XVI, allora cardinale, nel 1989 ebbe a dire: «La fede nella vita eterna ha un ruolo minimo oggi nella predicazione. Un mio amico morto di recente, un esegeta di valore, mi ha raccontato di alcuni sermoni quaresimali che aveva ascoltato agli inizi degli anni Settanta. Nel primo sermone il predicatore spiegava alla gente che non esiste l’inferno; nel secondo era la volta del purgatorio; nel terzo affrontava finalmente il difficile compito di far comprendere che il paradiso non esiste, ma che dovremmo cercarlo già sulla terra» (La vera Europa. Identità e missione, p.161). Le cose sono, nel frattempo, ulteriormente peggiorate. Ha quindi senso la domanda: “la Chiesa nella sua componente umana può uscire da questa emergenza, che sembra in molti casi essere dovuta insieme alla mancanza di fede e alla carenza di uomini davvero pronti a morire per essa?”.
Molto dipende anche da chi la critica, come se non ne facesse parte e come se i suoi peccati non ne fossero una importante concausa. Santa Teresa di Calcutta, al giornalista che le domandava che cosa avrebbe cambiato nella Chiesa, rispose «lei e me». Perché la salute della Chiesa si fonda innanzitutto sulla conversione di sé stessi. E questo vale anche e soprattutto per chi scrive. Solo così la promessa della Madonna a Fatima, «infine il mio Cuore immacolato trionferà», si potrà realizzare il prima possibile. Nel frattempo, per non essere tentati dalla disperazione, è utile ricordare quanto disse san Paolo VI nella stessa occasione in cui denunciò l’autodemolizione della Chiesa: «Quante volte il Maestro ha ripetuto “Confidite in Deum. Creditis in Deum, et in me credite”. Il Papa sarà il primo ad eseguire questo comando del Signore e ad abbandonarsi, senza ambascia o inopportune ansie, al gioco misterioso della invisibile ma certissima assistenza di Gesù alla sua Chiesa».
Lunedì, 6 giugno 2022