Leone XIII, Cristianità n. 16 (1976)
Enciclica Sapientiae cristianae, del 10-1-1890, in Atti di Leone XIII, Tipografia dell’Immacolata, Mondovì 1902- 1903, p. 315.
È ufficio della Chiesa prendere, in mezzo a tanto e così universal farneticare di opinioni, le difese della verità, e sradicare dagli animi gli errori; il che devesi in ogni tempo e religiosamente da lei osservare, poiché alla sua tutela è affidato l’onore di Dio e la salvezza umana. Però quando stringe il bisogno, non pure ai prelati incombe il dovere di tutelare l’incolumità della fede, ma “quilibet tenetur fidem suam aliis propalare, vel ad instructionem aliorum fidelium sive confirmationem, vel ad reprimendum infidelium insultationem” (S. Thom. II-II Quaest. III, art. 11, ad 2), “ciascuno è tenuto a propagare negli altri la sua fede, sia per istruire o raffermare i fedeli, sia per reprimere la baldanza degli infedeli”. Cedere al nemico, o non fiutare, mentre da ogni banda levasi cotanto schiamazzo per opprimere la verità, egli è proprio d’uomo infingardo e dappoco, ovvero che dubita della verità de’ principii che professa. L’una cosa e l’altra è turpe, ingiuriosa a Dio, ripugnante alla salvezza, vuoi dell’individuo, vuoi della società, e sol profittevole ai nemici della fede; perché la snervata opera degli onesti rafforza l’audacia de’ malvagi.
E tanto più biasimevole torna la dappocaggine de’ cristiani, in quantoché sfolgorar via le calunniose imputazioni e gli errori puossi il più delle volte con lieve sforzo, con qualche maggior fatica, sempre. Da ultimo niuno, assolutamente niuno, è dispensato dall’avere e mostrare quella fortezza cristiana, contro la quale non di rado fiaccansi gli animi e i divisamenti degli avversari. Oltreché il cristiano nacque per la lotta; di cui quant’è maggiore l’asprezza, tant’è più certo con l’aiuto divino la vittoria: “confidite, ego vici mundum” (Io. XVI, 33), “confidate, io ho vinto il mondo”, dice Cristo. Né qui ha luogo l’obbiezione di taluni che il tutore e vindice della Chiesa, Gesù Cristo, non ha mestieri dell’umana cooperazione. Imperocché non già per manco di potenza, ma per grandezza di bontà egli vuole che anche noi prestiamo la debole opera nostra a fine d’impetrare e conseguire i frutti della salute, ch’egli stesso ci ebbe partorita.
Leone XIII