Giulio Dante Guerra, Cristianità n. 260 (1996)
La controversia sorta due secoli fa fra due scienziati, il cattolico Luigi Galvani e il «cartesiano» Alessandro Volta, a proposito della «elettricità animale» mostra come dietro l’apparente «neutralità» e «oggettività» del dato sperimentale si nascondano la filosofia e la visione del mondo dello sperimentatore stesso.
La disputa fra Luigi Galvani e Alessandro Volta e il mito della «neutralità della scienza»
Dieci anni fa, nei giorni dal 28 al 30 ottobre 1986, presso l’Istituto Chimico G. Ciamician e l’Accademia delle Scienze di Bologna, si svolse un convegno scientifico, organizzato dalla Divisione di Elettrochimica della Società Chimica Italiana in occasione del secondo centenario dei celebri esperimenti di Luigi Galvani sulle rane (1). L’avvenimento merita certamente di essere ricordato a più titoli; fra essi, anche per il fatto che un esame approfondito della controversia, sorta fra lui e Alessandro Volta sull’interpretazione dei risultati di tali esperimenti, fornisce argomenti per la confutazione del mito della «neutralità della scienza». Di quel mito, cioè, che — nella forma più ampia di «neutralità della cultura» — ha fatto sì che migliaia di docenti personalmente cattolici abbiano in buona fede trasmesso per anni e continuino a trasmettere a intere generazioni di giovani un patrimonio culturale dai contenuti diametralmente opposti alla fede da loro privatamente professata.
Ma veniamo alla disputa fra Galvani e Volta e ai suoi protagonisti. Luigi Galvani nasce il 9 settembre 1737 a Bologna, dove si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1759. Nel 1763 è nominato lettore onorario di medicina presso l’Archiginnasio, l’Università di Bologna. Nel 1766 è chiamato alla cattedra di anatomia presso l’Accademia delle Scienze della stessa città, dove compie fondamentali ricerche di anatomia e fisiologia e comincia a interessarsi al problema, allora molto dibattuto, della possibile natura elettrica degli stimoli nervosi. Nel 1780 inizia una serie di esperimenti sistematici nel campo dell’elettrofisiologia e il 30 ottobre 1786 legge all’Accademia delle Scienze di Bologna la dissertazione De animali electricitate, in cui dà per la prima volta notizia dei risultati ottenuti nei suoi esperimenti sulle rane, da lui interpretati come prova dell’esistenza di una «elettricità animale». Prosegue i suoi studi sull’argomento, e nel 1791 pubblica il De viribus electricitatis in motu musculari Commentarius, il «Commentario sulle forze dell’elettricità nel moto muscolare» (2), in cui la teoria della «elettricità animale» e le prove sperimentali in suo favore sono esposte in maniera sistematica. La sua interpretazione dei fenomeni elettrici osservati nelle rane è quasi subito contestata da Alessandro Volta, che attribuisce loro una causa esclusivamente fisica, ossia una forza elettromotrice causata dal contatto di conduttori diversi, iniziando una disputa che durerà fino alla morte di Galvani, avvenuta nel 1798.
Dal punto di vista umano, Luigi Galvani è un personaggio decisamente «controcorrente». Nel secolo di François-Marie Aruet, più noto come Voltaire (1694-1778), è cattolico praticante e terziario francescano; in un’epoca in cui gran parte degli scienziati è incline a considerare cartesianamente gli organismi animali come «macchine», rifiuta fino all’ultimo di ridurre i muscoli e i nervi delle sue rane al ruolo, assegnato loro da Volta, di semplici «conduttori umidi» o «di seconda classe», come erano chiamati allora i conduttori elettrolitici; infine, mentre tutti corrono a rendere omaggio a Napoleone Bonaparte (1769-1821) o almeno cercano un modus vivendi con il nuovo regime rivoluzionario, rifiuta di giurare fedeltà alla Costituzione della Repubblica Cisalpina e, privato della cattedra, muore in miseria il 4 dicembre 1798. Usando il termine nel senso lato e spesso improprio ormai invalso, potrebbe essere considerato un «martire».
Completamente diversa è la personalità del fisico comasco Alessandro Volta (1745-1827): quantunque sia personalmente cattolico, addirittura parecchio devoto — ogni giorno ascoltava la Messa e recitava il rosario, nelle festività si accostava ai sacramenti (3) —, cercheremmo invano l’impronta di tanto fervore religioso nella sua attività di scienziato e di uomo pubblico. Il suo si potrebbe definire un cattolicesimo «cartesiano», nel senso di una totale separazione fra il mondo spirituale, quello della res cogitans, e il mondo fisico, quello della res extensa: in altre parole, Volta è un antesignano di quei «cattolici schizofrenici», di cui è pieno ancora oggi il mondo della cultura e della politica. Tipico esempio di questa sua «schizofrenia filosofica» è la teoria da lui sostenuta contro quella galvaniana della «elettricità animale». Solo in apparenza si tratta di una disputa «puramente scientifica»: in realtà essa aveva radici ben più profonde, perché coinvolgeva, come nota acutamente un epistemologo contemporaneo, Marcello Pera, le «metafisiche nascoste» dei due scienziati; e quella di Volta è una «metafisica» nettamente materialistica (4).
Del tutto analogo è il suo comportamento di fronte al nuovo ordine uscito dalla Rivoluzione francese. Professore di fisica sperimentale all’Università di Pavia, Volta è fra i docenti universitari che si recano a rendere omaggio a Napoleone Bonaparte quando questi entra da trionfatore in Milano il 14 maggio 1796; nel novembre del 1801, dopo l’invenzione della pila, si reca a Parigi a illustrare le sue scoperte presso l’Institut National de France, alla presenza del Primo Console, che immediatamente lo insignisce di una speciale medaglia d’oro; negli anni successivi Napoleone — nel frattempo proclamatosi imperatore dei francesi e re d’Italia — lo insignisce della Legion d’Onore e lo nomina conte e senatore del Regno Italico. In che modo tanta devozione nei confronti dell’uomo che aveva imprigionato due Papi e pretese di fare della Chiesa cattolica uno strumento della sua politica si potesse conciliare con il cattolicesimo di Volta, è uno dei tanti misteri dell’animo umano.
L’«elettricità animale» e la controversia fra Galvani e Volta
Quando nel 1780 Luigi Galvani inizia le sue ricerche nel campo dell’elettrofisiologia, l’«elettricità animale» è un argomento assai dibattuto negli ambienti scientifici. Da tempo sono note le proprietà elettriche di pesci come il gimnoto e la torpedine, che danno scosse assai violente a chi li tocca. L’impiego delle macchine elettrostatiche — inventate nella seconda metà del secolo precedente e continuamente perfezionate — e della bottiglia di Leida — un condensatore, inventato nel 1745 dal fisico olandese Pieter van Musschenbroek (1692-1761), che permette di immagazzinare quantità notevoli di carica elettrica — rendono possibile l’«elettrizzazione» di oggetti, animali ed esseri umani. Parecchi «scienziati», degni figli del loro secolo, si esibiscono nei salotti in «esperimenti» a volte parecchio rischiosi per chi li subisce — è da meravigliarsi, alla luce delle conoscenze attuali, che non ci sia mai scappato il morto! — e spesso decisamente ciarlataneschi (5). Dal canto loro i medici, per non esser da meno dei loro colleghi fisici, si affannano ad attribuire all’elettricità proprietà terapeutiche nei confronti delle malattie più disparate, fino a farne una specie di panacea (6).
Più seri dal punto di vista scientifico sono invece altri esperimenti, nei quali si provocano contrazioni dei muscoli delle zampe di animali morti scaricando sui nervi crurali l’elettricità contenuta in una bottiglia di Leida. Con esperimenti di questo tipo hanno appunto inizio, verso il 1780, gli studi di Galvani.
Galvani è studioso di tutt’altra tempra che gli «scienziati da salotto» suoi contemporanei. È uno sperimentatore serio e rigoroso, che, pur usando assai spesso nei suoi scritti l’aggettivo «maraviglioso» a proposito dei fenomeni da lui scoperti, si propone come fine quello di investigare la natura, non già di «meravigliare il volgo». Egli compie una serie di esperienze sistematiche usando gli arti inferiori di rane sezionate in maniera da lasciare i muscoli delle zampe in contatto con i nervi crurali e con un pezzo di midollo spinale messi allo scoperto. Durante queste esperienze osserva che gli arti della rana si contraggono violentemente allo scoccare della scintilla di una macchina elettrica posta a una certa distanza se, contemporaneamente alla scintilla, si toccano i nervi crurali con una punta metallica. Galvani ripete l’esperimento in diversi modi, isolando esternamente il conduttore metallico in contatto con il nervo, poi ponendo la rana in un barattolo di vetro ermeticamente chiuso, ma sempre col filo metallico collegato ai nervi: in tutti i casi i muscoli si contraggono allo scoccare della scintilla.
Dato che il fenomeno si verifica con tutti i generatori di scintille elettriche allora esistenti, Galvani ripete l’esperimento su una terrazza in una sera di tempesta, in presenza della scarica elettrica del fulmine. Le zampe della rana si contraggono al balenare dei lampi, o anche solo al passaggio di una nube temporalesca. Dato però che tutti questi esperimenti dimostrano più la sensibilità della rana a stimoli elettrici esterni che l’esistenza di un’elettricità propria della rana, Galvani, ai primi di settembre del 1786, compie esperimenti analoghi in una giornata di tempo sereno. Pone alcune rane sezionate nel solito modo sulla ringhiera di ferro della terrazza, con un uncino metallico (7) infisso nel midollo spinale di ciascuna rana. Finché l’uncino resta discosto dalla ringhiera, non succede nulla; ma quando l’uncino tocca la ringhiera i muscoli della rana si contraggono violentemente. Galvani ripete l’esperimento in laboratorio, con numerose varianti — celebre quella detta della «rana saltellante» (8) e osserva costantemente lo stesso fenomeno: tutte le volte che si chiude il circuito fra nervo e muscolo mediante un conduttore metallico si ha contrazione del muscolo. Questi esperimenti sono per Galvani la prova dell’esistenza della «elettricità animale»: esiste in natura uno «sbilancio di fluido elettrico» — oggi diremmo una «differenza di potenziale» — fra nervo e muscolo, e l’arco metallico serve solo a chiudere il circuito, facendo passare la corrente che provoca le contrazioni del muscolo.
La pubblicazione del De viribus electricitatis in motu musculari Commentarius ha un’enorme risonanza negli ambienti scientifici, con reazioni che vanno dalla piena adesione a pesanti critiche più o meno motivate. Quanto a Volta, inizialmente mostra di condividere tale teoria, ripete e conferma nel suo laboratorio gli esperimenti di Galvani, e infine decide di sottoporli a verifica. Forte di una maggiore competenza nel campo dell’elettrologia, egli compie nuovi esperimenti, che lo porteranno in breve a conclusioni opposte a quelle di Galvani (9). Partendo dal fatto, già osservato da Galvani, che le contrazioni della rana sono più violente quando l’arco interposto fra nervo e muscolo è composto di due metalli diversi anziché di uno solo, Volta applica i due estremi di un arco di stagno e argento a due punti contigui del nervo crurale: la zampa si contrae come quando l’arco è applicato fra nervo e muscolo. Indirizza allora le sue ricerche verso le proprietà elettriche di due metalli diversi, messi in contatto fra loro, giungendo a formulare una teoria secondo la quale l’elettricità si genera quando fra due metalli diversi, in contatto fra loro, si interponga un «conduttore di seconda classe», ossia una soluzione salina, che chiuda il circuito. Nel caso della rana, questa, secondo Volta, ha solo la funzione di «conduttore umido», oltre che, ovviamente, di rivelatore del passaggio della corrente, grazie alle sue contrazioni.
È il capovolgimento totale della teoria di Galvani, il quale vi si oppone immediatamente. Per lui non c’è niente di più arbitrario che considerare «conduttori umidi qualunque», semplici contenitori di soluzioni saline concentrate, i muscoli e i nervi di un animale, ossia delle parti di un organismo che, fino a poco prima, ha pulsato di vita propria; e parte al contrattacco. Egli e i suoi sostenitori — la comunità scientifica internazionale si è ormai divisa in due campi, a favore di Galvani o di Volta, con un numero relativamente piccolo di incerti o dubbiosi — compiono nuovi esperimenti diretti a smentire la teoria di Volta, dei quali il più significativo è il cosiddetto «terzo esperimento di Galvani»: la zampa della rana si contrae quando l’estremità recisa del nervo è posta a contatto con la superficie esterna del muscolo della coscia, senza alcuna interposizione di metalli.
Volta all’inizio reagisce piuttosto male, attribuendo la contrazione osservata nel «terzo esperimento» a stimoli meccanici del muscolo sul nervo reciso; poi, di fronte all’evidenza e alla riproducibilità del fenomeno, osservato indipendentemente da Galvani e dal medico pisano Eusebio Valli (1755- 1816), procede a continui adattamenti della sua teoria; in particolare, passa dall’ipotesi di una differenza di potenziale generantesi al contatto di due metalli diversi a quella di una differenza di potenziale generantesi al contatto di due conduttori qualunque, metallici o «di seconda classe», purché eterogenei. Con la teoria così rielaborata, passa a spiegare le contrazioni in assenza di metalli con l’ipotesi — all’epoca non verificabile — di un’eterogeneità fra i «conduttori umidi» presenti nel nervo e nel muscolo. Comunque, almeno per quanto riguarda il contatto metallo-metallo e metallo-soluzione salina, Volta riesce, per mezzo dell’elettrometro condensatore e quindi indipendentemente dalla rana, a dimostrare la presenza di una differenza di potenziale. Dal canto suo Galvani riesce a far muovere i muscoli delle zampe di due rane mettendo in contatto l’estremità recisa del nervo crurale dell’una con la superficie integra del nervo dell’altra e viceversa, escludendo quindi sia i metalli, sia la possibile eterogeneità dei «conduttori umidi».
A questo punto — siamo nel 1797 — la situazione è di stallo. Ciascuno dei due scienziati ha prove a favore della propria teoria che reputa decisive, senza però riuscire a dimostrare la falsità di quella altrui. Ma questo non basta a far cessare la polemica. L’anno seguente Volta replica, con un tono arrogante che contrasta con lo stile cortese e signorile che Galvani ha sempre mantenuto anche nell’ardore della polemica, che le sue esperienze sulle catene eterogenee di conduttori hanno definitivamente escluso la possibilità della presenza di una «elettricità animale» in membra recise di animali morti, e che quindi Galvani e i «galvaniani» non hanno più niente da dire.
Galvani muore prima di poter rispondere. Quanto a Volta, le conoscenze da lui accumulate negli anni della controversia gli stanno dando la possibilità di risolverla a suo favore con una operazione da lui già usata con successo più volte nel corso della sua carriera scientifica: la costruzione di un apparecchio presentabile come «applicazione pratica» della sua teoria. È l’invenzione della pila, di cui V olta dà notizia in una lettera inviata il 20 marzo 1800 al segretario della Royal Society di Londra. L’apparecchio costruito da Volta, nella doppia versione della «pila a colonna» — una serie di elementi costituiti ciascuno da una terna di dischetti rispettivamente di argento, panno imbevuto di una soluzione salina e zinco — e della «pila a corona di tazze» — nella quale ciascun elemento è costituito da un bicchiere contenente una soluzione salina, in cui sono immerse una lamina di argento e una di zinco — è poco più che un giocattolo rispetto alle pile oggi comunemente in uso; ma è il primo strumento capace di erogare una corrente elettrica continua, e questo basta ad assicurare il trionfo di Volta, e la sconfitta dei «galvaniani». Tuttavia, per una sorta di nemesi storica, il nome di Galvani resterà eternato nella terminologia scientifica, dal nome di «galvanometro» dato ai misuratori di corrente a quello di «cella galvanica» dato alla pila. Ma ciò accadrà solo perché l’elettricità fornita dalla pila appare tanto diversa da quella immagazzinata nella bottiglia di Leida, che si preferisce lasciarle il nome di «fluido galvanico», proposto alcuni anni prima dal «voltiano» Friedrich Albert Carl Gren (1760- 1798), professore di chimica a Halle, per l’ignoto agente dei fenomeni osservati da Galvani e da Volta. Di fatto, per quasi trent’anni nessuno oserà più parlare di «elettricità animale», fino a quando, nel 1827 — l’anno della morte di Volta — il fisico garfagnino Leopoldo Nobili (1784-1835) riuscirà a misurare, grazie al suo galvanometro astatico, la differenza di potenziale fra l’interno e l’esterno del nervo della rana (10), esperimento che nel 1842 il forlivese Carlo Matteucci (1811- 1868), anch’egli fisico, ripeterà dandone una corretta interpretazione in termini fisici ed elettrochimici (11). Le successive scoperte nel campo dell’elettrofisiologia porteranno infine nel nostro secolo alla nascita della «bioelettrochimica» (12) ossia della scienza che studia gli aspetti elettrochimici dei processi vitali, fra i quali posso citare gli aspetti elettrochimici della coagulazione del sangue (13).
Tuttavia questa rivalutazione dell’opera scientifica di Galvani non sarà sufficiente a rendere immediatamente giustizia alla sua memoria, almeno nella sua terra natale. Gli anni successivi alle scoperte di Nobili e di Matteucci sono infatti quelli del cosiddetto «Risorgimento», e la classe dirigente — politica e accademica — del nuovo Stato unitario non può provare simpatia per il «codino» e «papalino» Luigi Galvani. Così si dovrà attendere il 1937 — bicentenario della sua nascita — perché l’Accademia delle Scienze di Bologna gli dedichi una lapide nella Sala dei XL, e il 1986 perché gli elettrochimici italiani si ricordino finalmente di lui, prima con una breve commemorazione su una rivista internazionale (14), e poi con il convegno scientifico di Bologna (15).
Due diverse metafisiche
Quello che più colpisce delle due teorie di Galvani e di Volta è che sono inconciliabili fra di loro, pur basandosi, sostanzialmente, sui medesimi dati sperimentali. Il fatto è che le due teorie «scientifiche» sono in realtà le proiezioni di due diverse metafisiche della natura. Dietro la teoria di Galvani vi è la metafisica organicistica del medico-fisiologo, dietro quella di Volta vi è la metafisica meccanicistica del fisico. Chiedersi quale delle due sia dimostrabile «scientificamente» è come chiedersi se sia possibile una teoria puramente «scientifica», alla quale non stia dietro una «metafisica nascosta»: non è possibile, perché in realtà la scienza non è neutrale. Non vi è dubbio che, se la teoria di Volta trionfò ai suoi tempi, è anche perché la fisica era, fin dai tempi di Galileo Galilei (1564-1642) e Isaac Newton (1642-1727), la scienza che più si accordava — molto meglio che la medicina o la chimica — con una visione meccanicistica del mondo. È significativo che Volta, nella sua descrizione del funzionamento della pila, non faccia parola delle reazioni chimiche che avvengono al passaggio della corrente, vale a dire la dissoluzione dell’anodo e lo sviluppo di idrogeno al catodo: eppure non può non averle osservate, almeno nella «pila a corona di tazze». Fra l’altro, l’ipotesi che i «fenomeni galvanici» potessero essere dovuti a qualche reazione chimica era già stata avanzata precedentemente dal fisico bolognese Giovanni Aldini (1762-1834) e da quell’ingegno versatile che fu l’uomo politico e poligrafo fiorentino Giovanni Valentino Mattia Fabroni (1752- 1822) in Italia (16) e dal pensatore slesiano Johann Wilhelm Ritter (1776-1810) in Germania (17). Di più: Volta stesso aveva, una quindicina d’anni prima, studiato lo sviluppo di idrogeno dalla dissoluzione dei metalli non nobili negli acidi forti (18): com’è possibile non si sia accorto che nella pila avvenivano le stesse reazioni, sia pure separatamente ai due elettrodi? Il silenzio di Volta si può spiegare in un solo modo. Se egli avesse ammesso l’origine chimica dell’elettricità nella pila, difficilmente avrebbe potuto negare un’origine biochimica dell’elettricità nella rana: ai suoi tempi la chimica era ben lontana dal possedere la base teorica di tipo fisico-meccanicistico che ha oggi. Una simile ammissione avrebbe quindi potuto contraddire la metafisica meccanicistica che stava dietro alla sua teoria. E non è un caso che la riscoperta della «elettricità animale» sia avvenuta quando una simile metafisica aveva già conquistato la chimica, e si apprestava — attraverso la biochimica — a conquistare anche la biologia. Insomma, se alla lunga Galvani ha vinto, ciò è avvenuto a prezzo dell’accettazione, da parte di chi ha rivalutato le sue teorie, della metafisica di Volta. È una metafisica tanto più pericolosa quanto più è nascosta, e anche l’avvelenamento della biosfera che oggi tanto preoccupa è soltanto una conseguenza della sua applicazione alle attività produttive dell’uomo: infatti, tale avvelenamento deriva sostanzialmente dal fatto di aver considerato il nostro pianeta non come un «ambiente», preparato da Dio per le sue creature, che l’uomo può sì modificare a suo vantaggio, ma rispettandolo, bensì una specie di «macchina», manipolabile arbitrariamente. Di più: grazie alla sua pretesa «scientificità» e alla pretesa «neutralità della scienza», si è infiltrata, attraverso la scuola e la cosiddetta «divulgazione scientifica», nella mentalità comune, condizionandola pesantemente.
Occorre liberarci da questo condizionamento. Occorre una conversione del cuore, che illumini la nostra ragione facendole comprendere di nuovo che la natura non è una macchina fabbricata dall’uomo, ma una realtà viva creata da Dio. La scienza non va certo disprezzata, ma neppure idolatrata: va solo ricondotta nell’ambito che è a essa proprio, smascherando le filosofie materialistiche contrabbandate sotto il suo nome.
Giulio Dante Guerra
Note:
(1) Cfr. SOCIETÀ CHIMICA ITALIANA, DIVISIONE DI ELETTROCHIMICA, Atti della VI Riunione Scientifica, Giornate della Elettrochimica Italiana 1986 (Bicentenario dei più famosi esperimenti di Luigi Galvani), Università di Bologna, Bologna 1986.
(2) Cfr. ALOYSII GALVANI, De viribus electricitatis in motu musculari Commentarius, ex Typographia Instituti Scientiarum, Bononiae 1791.
(3) Cfr. PAOLO STRANEO, voce Volta, Alessandro, in Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, Città del Vaticano 1948-1954, vol. XII, coll. 1612-1615.
(4) Cfr. MARCELLO PERA , La rana ambigua. La controversia sull’ elettricità animale fra Galvani e Volta, Einaudi, Torino 1986. Le frequenti citazioni di questo libro — autentica miniera di notizie sull’argomento — non significano, ovviamente, accettazione da parte mia del relativismo gnoseologico dell’autore. Per un corretto realismo epistemologico, cfr. DOM STANLEY L. JAKI O.S.B., Dio e i cosmologi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991, e le altre opere dello stesso autore, di cui cfr. anche Fede e ragione fra scienza e scientismo, intervista del 23- 10-1994, a cura di Luciano Benassi e Maurizio Brunetti, in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 15-20; e su cui cfr. L. BENASSI, Fede, scienza e falsi miti nella cosmologia contemporanea, ibid., anno XXI, n. 224, dicembre 1991, pp. 17-25.
(5) Cfr. M. PERA, op. cit., pp. 3-18.
(6) Cfr. ibid., pp. 18-27.
(7) Secondo la dissertazione De animali electricitate (cit. in M. PERA, op. cit., p. 89), tenuta da Galvani meno di due mesi dopo l’esperimento, l’uncino è di ferro come la ringhiera; secondo il De viribus electricitatis in motu musculari Commentarius (cfr. supra,nota 2), pubblicato circa due anni dopo, è invece di rame. Il problema della differenza dei metalli avrà un’enorme importanza nella disputa con Volta.
(8) Cfr. M. PERA, op. cit., p. 90.
(9) Della disputa Galvani-Volta mi limiterò a esporre le linee essenziali, tralasciando gli aspetti più strettamente tecnico-scientifici. Cfr. una trattazione più circostanziata, in M. PERA, op. cit., pp. 76-90; PATRIZIO GALLONE, La rana di Galvani nunzia di nuova era, in SOCIETÀ CHIMICA ITALIANA, DIVISIONE DI ELETTROCHIMICA, Atti della VI Riunione Scientifica, Giornate della Elettrochimica Italiana 1986 (Bicentenario dei più famosi esperimenti di Luigi Galvani), cit., pp. 24-32, e in La Chimica e l’Industria, vol. 69, n. 1-2, gennaio-febbraio 1987, pp. 71-74; e in IDEM, Galvani’s frog: harbinger of a new era, in Electrochimica Acta, vol. 31, n. 12, dicembre 1986, pp. 1485-1490.
(10) Cfr. LEOPOLDO NOBILI, Comparaison entre les deux galvanomètres les plus sensibles, la grenouille et le multiplicateur à deux aiguilles, in Annales de Chimie et de Physique, vol. 38, 1828, pp. 225 ss.
(11) Cfr. CARLO MATTEUCCI, Sur le courant électrique ou propre de la grenouille, in Annales de Chimie et de Physique, 3ème Série, tome 6ème, 1842, pp. 225 ss.
(12) Cfr. P. GALLONE, artt. citt.; GIULIO MILAZZO, Da Luigi Galvani ad oggi: due secoli di sviluppo della Bioelettrochimica, in SOCIETÀ CHIMICA ITALIANA, DIVISIONE DI ELETTROCHIMICA, Atti della VI Riunione Scientifica, Giornate della Elettrochimica Italiana 1986 (Bicentenario dei più famosi esperimenti di Luigi Galvani), cit., pp. 33-41, e in La Chimica e l’Industria, vol. 69, n. 1-2, gennaio-febbraio 1987, pp. 75-78; e in IDEM, From Galvani to the present time: two centuries in the development of bioelectrochemistry, in Electrochimica Acta, vol. 31, n. 12, dicembre 1986, pp. 1491-1494.
(13 ) Cfr., per esempio, S. SRINA VASAN, L. DUIC, N. RAMASAMY e P. N. SAWYER, Electrochemical Reactions of Blood Coagulation Factors — Their Role in Thrombosis, in Berichte der Bunsen-Gesellschaft, vol. 77, n. 10-11, 1973, pp. 798- 804; cfr. pure GIULIO D. GUERRA, MAURIZIO PALLA e GIORGIO SOLDANI, The electrochemical oxidation of fibrinogen: a preliminary investigation, in SOCIETÀ CHIMICA ITALIANA, DIVISIONE DI ELETTROCHIMICA, Atti della VI Riunione Scientifica, Giornate della Elettrochimica Italiana 1986 (Bicentenario dei più famosi esperimenti di Luigi Galvani), cit., pp. 110-111.
(14) Cfr. SERGIO TRASATTI, 1786-1986: Bicentennial of Luigi Galvani’ s most famous experiments, in Journal of Electroanalytical Chemistry, vol. 197, n. 1, gennaio 1986, pp 1-4.
(15) Cfr. nota 1. Per capire quanto l’elettrochimica italiana abbia percorso, in questi due secoli, strade opposte a quella aperta da Galvani, basterà sapere che l’unica comunicazione scientifica di argomento bioelettrochimico presentata al convegno da un gruppo di ricerca italiano è stata — oltre, ovviamente, alle due relazioni ufficiali dei professori Gallone e Milazzo — quella citata alla nota 13.
(16) Cfr. M. PERA, op. cit., pp. 177 e 189.
(17) Cfr. G. MILAZZO, artt. citt.
(18 ) Cfr. GIOVANNI ANTONIO SCOPOLI, nota alla voce Gas Infiammabile, in PIETRO GIUSEPPE MACQUER, Dizionario di Chimica, trad. it., presso Giuseppe Maria Porcelli, Napoli 1784-1786, t. V, pp. 55-56.