Bruto Maria Bruti, Cristianità n. 186 (1990)
Negli scritti della beata Teresa Benedetta della Croce O.C.D., al secolo Edith Stein, pensieri sulla vocazione femminile che ricompaiono nella lettera apostolica Mulieris dignitatem, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1988, e che sono in diametrale contrasto con tesi e propositi di area socialcomunista.
1. Papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris dignitatem, del 15 agosto 1988, affrontando il tema della vocazione della donna, della sua dignità e del suo compito secondo la natura e la grazia, afferma che la stessa costituzione fisica della donna e il suo organismo contengono in sé “[…] la disposizione naturale alla maternità, al concepimento, alla gravidanza e al parto del bambino, in conseguenza dell’unione matrimoniale con l’uomo. Al tempo stesso, tutto ciò corrisponde anche alla struttura psico-fisica della donna” (1)
La diversità naturale della donna rispetto all’uomo è molto importante purché non ci si limiti a un’interpretazione esclusivamente biologica e materialista di essa: “[…] la maternità, come fatto e fenomeno umano, si spiega pienamente in base alla verità sulla persona. La maternità è legata con la struttura personale dell’essere donna” (2).
2. Un analogo modo di argomentare — che parte dal dato naturale della costituzione fisica della donna, considerandolo intimamente legato con il suo aspetto personale e spirituale — è stato usato anche dalla beata Teresa Benedetta della Croce O.C.D., al secolo Edith Stein, per analizzare la vocazione naturale della donna (3).
Scrive Edith Stein: “Solo chi è accecato dalla focosa parzialità della disputa può negare la realtà evidentissima che il corpo e l’anima della donna sono strutturati per un particolare scopo. E la parola chiara e inoppugnabile della Scrittura esprime ciò che fin dall’inizio del mondo l’esperienza quotidiana ci insegna: la donna è conformata per essere compagna dell’uomo e madre degli uomini. Per questo scopo il suo corpo è particolarmente dotato, e a questo scopo si confanno anche le particolari caratteristiche della sua anima. Che vi siano queste particolarità caratteristiche è una realtà che si può sperimentare con immediatezza; inoltre ciò consegue anche dal principio tomistico che l’anima è forma corporis“ (4). Papa Giovanni Paolo II parla di un compito “speciale” che è stato affidato alla donna: “La maternità implica sin dall’inizio una speciale apertura verso la nuova persona: e proprio questa è la “parte” della donna” (5). “L’umano generare è comune all’uomo e alla donna. […] Eppure, anche se tutti e due insieme sono genitori del loro bambino, la maternità della donna costituisce una “parte” speciale di questo comune essere genitori, nonché la parte più impegnativa […] che letteralmente assorbe le energie del suo corpo e della sua anima” (6).
3. Un compito “speciale” è stato affidato alla donna sia nel processo generativo che in quello educativo, dal momento che l’educazione non è altro che una generazione continuata, compito che essa svolge insieme all’uomo. Nelle azioni del generare e dell’educare — comuni all’uomo e alla donna — la donna è soprattutto l’agente interno, colei che è più capace di attenzione, di sollecitudine e di sostegno verso la persona concreta, mentre l’uomo è più capace di attenzione verso l’obiettivo che ci si propone di raggiungere. “La maternità contiene in sé una speciale comunione col mistero della vita, che matura nel seno della donna: la madre ammira questo mistero, con singolare intuizione “comprende” quello che sta avvenendo dentro di lei. […] Questo modo unico di contatto col nuovo uomo che si sta formando crea, a sua volta, un atteggiamento verso l’uomo — non solo verso il proprio figlio, ma verso l’uomo in genere —, tale da caratterizzare profondamente tutta la personalità della donna.
“Si ritiene comunemente che la donna più dell’uomo sia capace di attenzione verso la persona concreta e che la maternità sviluppi ancora di più questa disposizione.
“L’uomo — sia pure con tutta la sua partecipazione all’essere genitore — si trova sempre all’”esterno” del processo della gravidanza e della nascita del bambino, e deve per tanti aspetti imparare dalla madre la sua propria “paternità“. Questo — si può dire — fa parte del normale dinamismo umano dell’essere genitori, anche quando si tratta delle tappe successive alla nascita del bambino, specialmente nel primo periodo.
“L’educazione del figlio, globalmente intesa, dovrebbe contenere in sé il duplice contributo dei genitori: il contributo materno e paterno. Tuttavia, quello materno è decisivo per le basi di una nuova personalità umana” (7).
4. Il Sommo Pontefice, parlando nel 1987 a operaie polacche a Lodz, diceva: “La donna […], come insegna l’esperienza, è soprattutto il cuore della comunità familiare. È lei che dà la vita — ed è lei che educa per prima, ovviamente, sostenuta dal marito, e condividendo sistematicamente con lui tutto l’ambito dei doveri educativi dei genitori. Tuttavia, si sa che l’organismo umano cessa di vivere, quando manca il lavoro del cuore.
“L’analogia è abbastanza trasparente. Non può mancare in famiglia colei che ne è il cuore” (8). “È vero che l’eguale dignità e responsabilità dell’uomo e della donna giustifica pienamente l’accesso della donna ai compiti pubblici. Tuttavia una vera promozione della donna esige dalla società un particolare riconoscimento per i compiti materni e familiari, poiché essi sono un valore superiore rispetto a tutti gli altri compiti e professioni pubbliche” (9). “L’insegnamento sociale della Chiesa chiede innanzitutto che venga pienamente valorizzato come lavoro tutto ciò che la donna fa in casa, tutta l’attività di madre e di educatrice. Questo è un lavoro importante. Questo importante lavoro non può essere socialmente disprezzato, deve essere costantemente rivalorizzato, se la società non vuole agire a proprio danno” (10). Papa Paolo VI scrive nella lettera apostolica Octogesima adveniens che uomo e donna devono avere gli stessi diritti fondamentali, ma ciò non va confuso con quella “[…] falsa uguaglianza che negherebbe le distinzioni poste dal Creatore, e che sarebbe in contraddizione con la funzione specifica, così fondamentale, della donna, tanto al centro del focolare come in seno alla società” (11).
E nell’enciclica dedicata al lavoro umano Papa Giovanni Paolo II chiede alla società di assicurare “[…] una giusta remunerazione […] al capo-famiglia per il suo lavoro, e sufficiente per il bisogno della famiglia, senza la necessità di far assumere un lavoro retributivo fuori casa alla coniuge […].
“[…] Tornerà ad onore della società rendere possibile alla madre […] di dedicarsi alla cura e all’educazione dei figli […].
“L’abbandono forzato di tali impegni, per un guadagno retributivo fuori della casa, è scorretto dal punto di vista del bene della società e della famiglia, quando contraddica o renda difficili tali scopi primari della missione materna” (12).
La famiglia è una realtà sociale costituita da una certa unione, da un certo focolare, da una certa gerarchia e quindi da una certa divisione dei compiti che nasce dalla maternità e dalla paternità; essa non può avere un’esistenza reale se vengono a mancare questi tratti fondamentali (13).
5. Alle stesse conclusioni sulle caratteristiche dell’anima femminile giunge Edith Stein: “Il modo di pensare della donna, e i suoi interessi, sono orientati verso ciò che è vivo e personale e verso l’oggetto considerato come un tutto. Proteggere, custodire e tutelare, nutrire e far crescere: questi sono i suoi intimi bisogni, veramente materni. Ciò che non ha vita, la cosa, la interessa solo in quanto serve al vivente e alla persona, non in se stessa. E a ciò è connessa un’altra caratteristica: l’astrazione, in ogni senso, è lontana dalla sua natura.
“Ciò che è vivo e personale, oggetto delle sue cure, è un tutto concreto, e dev’essere tutelato e sviluppato nella sua completezza […].
“Queste doti particolari la rendono atta a curare e a educare i propri bambini; ma si tratta di una disposizione fondamentale che non giova solo a questi, ma viene incontro anche ai bisogni del marito, e di tutti gli esseri che vengono a trovarsi nell’ambito della sua attività” (14). L’istinto materno, afferma Papa Giovanni Palo II, crea un atteggiamento fondamentale nella donna che non riguarda solo il figlio ma si proietta verso l’umanità in genere (15). Edith Stein dice che è molto importante che la donna custodisca e coltivi le sue specificità femminili a vantaggio non solo dei figli e della famiglia ma di tutta la società.
Le disuguaglianze naturali, che distinguono l’uomo dalla donna, non vanno intese come assolute, come se caratterizzassero due specie diverse, ma vanno piuttosto lette, custodite e valorizzate nel senso della complementarità e non dialetticamente, cioè come il diverso emergere di polarità entrambe presenti nella persona umana.
Afferma Edith Stein che, se viene custodito “lo specifico ethos femminile” (16), anche le attività extradomestiche della donna “[…] possono venire svolte in maniera genuinamente femminile” (17) ed essere perciò “una vera benedizione per tutta la vita sociale” (18). Il regnante Pontefice insegna che l’istinto materno, insito nella natura femminile, è una benedizione per tutta la società; questo è evidente in modo particolare in quella maternità spirituale che è la verginità consacrata: “La maternità spirituale riveste molteplici forme. Nella vita delle donne consacrate […] si potrà esprimere come sollecitudine per gli uomini, specialmente per i più bisognosi” (19).
6. La Chiesa insegna che all’interno della famiglia la moglie deve essere sottomessa al marito, ma nello stesso tempo predica la sottomissione reciproca degli sposi nel timore di Cristo (20). Papa Giovanni Paolo II ribadisce e sottolinea questo insegnamento: “[…] nel matrimonio c’è la reciproca “sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo”, e non soltanto quella della moglie al marito” (21).
Nell’azione di sottomissione reciproca che l’uomo e la donna devono realizzare nel timore di Cristo, che è la verità-persona, la donna mostra una speciale capacità di obbedienza nei confronti del marito. Obbedire, non nel senso negativo che tale parola ha assunto, ma nel senso etimologico — ob audire, “ascoltare verso” — significa capacità di ascolto e di attenzione, e la donna mostra una “speciale” capacità di ascolto e di attenzione nei confronti del marito. Uomo e donna ascoltano la verità e si ascoltano vicendevolmente, ma l’uomo è portato dalla natura ad ascoltare in modo particolare e immediato i suoi progetti, la donna è incline ad ascoltare in modo speciale i progetti del suo uomo.
Come nella generazione e nell’educazione, così anche nella dinamica dell’ascolto familiare la donna si caratterizza soprattutto come l’agente interno della famiglia.
Così, anche nella Genesi, la donna viene data come aiuto all’uomo ma, dice il Papa, uomo e donna devono aiutarsi vicendevolmente (22). Ugualmente, in questa azione di aiuto reciproco la donna è l’agente interno, più capace di attenzione verso l’operare dell’uomo.
Questa specialissima capacità di sostegno, di attenzione e di sollecitudine verso l’uomo, presente nel generare, nell’educare, nell’ascoltare, “[…] possiede una specifica precedenza sull’uomo” (23) e infatti nella storia della salvezza essa “[…] culmina nella maternità della Madre di Dio“ (24), che per prima “[…] dà inizio ad una Nuova Alleanza con l’umanità“ (25).
Scrive Edith Stein: “La partecipazione alla vita di un uomo esige di per sé la subordinazione dell’obbedienza, quale è prescritta dalla parola di Dio.
“L’uomo per sua natura si dedica immediatamente alle sue cose; la donna si dedica a queste per amor suo; perciò è ben opportuno che lo faccia sotto la direzione di lui. […] A questo disegno della natura corrisponde anche un’inclinazione naturale della donna all’obbedienza e al servizio: “obbedienza: è il modo più bello di sentirsi libera, per la mia anima”” (26). La donna è il cuore della famiglia e della società, il terreno in cui gli uomini trovano il primo sostegno e il primo nutrimento: “[…] la donna è colei in cui l’ordine dell’amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per la sua prima radice” (27). Questo cuore va salvato, conservato e custodito per il bene di tutta l’umanità. Papa Giovanni Paolo II dice che soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di questo “genio” femminile a cui Dio ha affidato in modo speciale l’uomo (28). Per tali motivi “la donna — nel nome della liberazione dal “dominio” dell’uomo — non può tendere ad appropriarsi le caratteristiche maschili, contro la sua propria “originalità” femminile. Esiste il fondato timore che su questa via la donna non si “realizzerà“, ma potrebbe invece deformare e perdere ciò che costituisce la sua essenziale ricchezza. Si tratta di una ricchezza enorme. […]
“Le risorse personali della femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma sono solamente diverse. La donna dunque — come, del resto, anche l’uomo — deve intendere la sua “realizzazione” come persona, la sua dignità e vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della femminilità” (29).
7. L’ideologia femminista rivoluzionaria presenta le caratteristiche femminili come puro risultato di un condizionamento culturale. Nota è la frase cara a Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (30). In realtà, da un punto di vista biologico, i comportamenti maschili e femminili non sono culturalmente provocati: essi sono geneticamente orientati e la cultura può solo coltivarli o reprimerli.
In tutti i primati, nella misura in cui il dimorfismo sessuale è più marcato, si ha un inizio di divisione del lavoro come conseguenza di una diversa specificità sessuale-biologica: né si può addurre per l’etologia sessuale un condizionamento culturale. “Recenti studi di Galdikas e Teleki hanno dimostrato che anche nelle grandi scimmie antropomorfe (ed in particolare nell’Orango e nello scimpanzé) si ha un inizio di divisione del lavoro fra i due sessi (la caccia, ad esempio, è riservata ai maschi)” (31).
Nell’uomo il dimorfismo sessuale biologico è accompagnato dal dimorfismo sessuale del piano spirituale e psichico: l’anima è forma corporis.
8. Gli studiosi di psicologia hanno cercato di mettere in evidenza le differenze nel comportamento spontaneo tra maschi e femmine fin dalla più tenera età. I risultati di queste ricerche dimostrano che le femmine sono più sensibili alle stimolazioni tattili e uditive e ai rapporti sociali. La preferenza per gli stimoli uditivi può in parte spiegare la precocità delle bambine nel linguaggio.
Quando giocano, le bambine tendono a stare più vicine alle mamme, esplorano meno gli ambienti nuovi e sono meno attive dei maschi.
I maschi hanno un livello di attività spontanea più elevato e sono più abili nelle prestazioni motorie e di coordinazione (32). Altri studi di psicologia hanno calcolato il quoziente d’intelligenza nei due sessi dimostrando che esso è identico ma con abilità diverse: per ogni positiva abilità femminile vi è una positiva e complementare abilità maschile.
Le donne sono più abili soprattutto quando la loro intelligenza viene applicata nei rapporti interpersonali. Gli uomini risultano più abili quando la loro intelligenza viene usata per il dominio e la soluzione di problemi, e nel mondo delle cose e nel mondo dei concetti (33).
9. Scrive Edith Stein: “L’orientamento al fine naturale e a quello soprannaturale è comune all’uomo e alla donna, ma vi si nota una differenziazione di compiti, consona alle diverse proprietà naturali dei due sessi. La missione primaria dell’uomo è dominare la terra; in ciò la donna gli è posta a fianco come aiuto. La missione primaria della donna è procreare ed educare la prole; e in questo compito l’uomo le è dato come difesa. Ne deriva che nell’uno e nell’altra si manifestano gli stessi doni, ma in misura e in rapporto diversi. Nell’uomo, i doni necessari per la lotta, la conquista, il dominio: la forza muscolare con cui domina esteriormente la materia, l’intelletto con cui penetra intenzionalmente il mondo, la volontà e l’energia attiva con cui può plasmarlo. Nella donna, l’attitudine a proteggere, custodire e far sviluppare l’essere in formazione e in crescita: perciò il dono, di carattere più corporeo, di saper vivere strettamente unita a un altro, di raccogliere in calma le forze, e di sopportare il dolore e la privazione, e adattarsi; il dono, di carattere più spirituale, di essere interiormente orientata verso il concreto, l’individuale, il personale; di saperli cogliere nella loro caratteristica e di adattarvisi; il desiderio di cooperare al loro sviluppo” (34).
San Paolo esprime la differenza dei compiti fra uomo e donna in questi termini: “L’uomo non si deve mettere il velo sulla testa, essendo egli immagine e gloria di Dio; la donna, al contrario, è la gloria dell’uomo. E infatti non è l’uomo dalla donna, ma la donna dall’uomo, giacché non fu creato l’uomo per la donna, ma la donna per l’uomo. […] Tuttavia né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna, nel Signore. Infatti come la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo è per mezzo della donna: tutto poi viene da Dio” (35).
Alla luce del Magistero pontificio e delle spiegazioni di Edith Stein possiamo riassumere il problema dicendo che la donna è stata creata da Dio per la gloria dell’uomo, nel senso che in ogni sua azione essa dovrebbe donare soprattutto la sua maternità perché a lei è stato affidato il destino dell’uomo che deve saper tutelare, nutrire, proteggere, custodire e far crescere, non solo nella famiglia ma anche nell’azione sociale. Dio ha donato agli uomini il principio dell’autorità paterna che è soprattutto forza di saper dominare, progettare e decidere e nel mondo delle cose e nel mondo dei concetti.
10. Nei confronti della naturale differenza sessuale fra uomo e donna, il marxismo intende organizzare una prassi rivoluzionaria destinata a distruggere tutto ciò che esiste nell’ordine naturale, comprese le stesse leggi biologiche.
La posizione è ben riassunta da Claudia Mancina secondo cui una grande conquista della libertà della donna sarebbe stata quella di affrancarsi dalla servitù biologica della maternità attraverso la contraccezione scientifica che opera la separazione della sessualità dalla procreazione.
In questo tentativo di affrancarsi dalla servitù biologica della maternità riappare però nella psiche della donna ciò che sempre Claudia Mancina chiama “il fantasma della maternità” (36). La possibilità di separare oggettivamente la sessualità dalla maternità, scrive l’esponente comunista, “[…] è una grande conquista e non vorremmo rinunciarvi.
“Ma la separazione soggettiva è in un percorso di vita femminile un’impresa ardua, un evento psichico da realizzare con difficoltà e mai definitivamente” (37). Di fronte alla difficoltà che la donna incontra nella prassi rivoluzionaria destinata a distruggere la “struttura psichica della differenza sessuale” (38), Claudia Mancina ricorre alla filosofia del materialismo dialettico che nega l’esistenza della realtà naturale.
Distruggere la struttura psichica della femminilità è doloroso ma la naturale differenza sessuale non è “un carattere necessariamente eterno” (39): “[…] anche questo legame è storico, ma di una storicità di lunghissima durata” (40). Con questa filosofia la natura, le leggi biologiche e la stessa salute non hanno più un’esistenza oggettiva e non vanno conservate, tutelate e difese: ciò che conta è solo il processo del divenire e l’azione per l’azione che conduce verso il nulla.
Un fine analogo si propone il progetto del partito socialista francese — approvato nella convenzione nazionale del partito il 13 gennaio 1980, e sostanzialmente analogo a quello del Partito Socialista Italiano approvato nel congresso di Torino del 1978 — secondo cui non si può essere socialisti senza essere femministi, per cui il socialismo si oppone al riconoscimento di una natura femminile, con le sue particolari attitudini, distinta dalla natura maschile, e propone di attuare un precoce condizionamento educativo che cancelli le specificità maschili e femminili (41).
Funzionale ai fini del socialismo è la politica marxista verso la famiglia. Friedrich Engels descrive la meta da raggiungere: “L’amministrazione domestica privata si trasforma in un’industria sociale” (42). Vladimir Ilic Lenin aggiunge: “Far partecipare la donna al lavoro sociale produttivo, strapparla alla “schiavitù domestica”, liberarla dal peso degradante e umiliante della cucina e della camera dei bambini: ecco qual è il compito principale” (43). Nel Manifesto del Partito comunista Karl Marx e Friedrich Engels sintetizzano il loro pensiero nella frase: “Abolizione della famiglia” (44). Anche oggi il partito comunista si preoccupa unicamente di valorizzare il lavoro che la donna svolge fuori casa cercando in ogni modo di allontanare le madri dalla famiglia.
Nora Federici ricorda che l’aiuto alle famiglie non deve essere inteso in senso economico, cioè nella forma di assegni familiari e di sgravi fiscali, quanto piuttosto inteso “[…] ad alleggerire la famiglia dei carichi di cura dei bambini” (45). Livia Turco, poi, sottolinea che il lavoro extradomestico delle donne “[…] non rappresenta più solo una fonte di reddito ma diventa un luogo essenziale alla costruzione dell’identità di grandi masse di donne” (46): donne quindi “proletarie”, sradicate da tutto ciò che ha un’esistenza stabile nella società, come la famiglia.
Bruto Maria Bruti
Note:
(1) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, del 15-8-1988, n. 18. Cfr. la presentazione del documento pontificio ad opera del card. Joseph Ratzinger, La donna-custode dell’essere umano, in L’Osservatore Romano, dell’1-10-1988, trascritto in Cristianità, anno XVI, n. 162, ottobre 1988.
(2) Giovanni Paolo II, doc. cit., ibidem.
(3) Edith Stein nasce il 12 ottobre 1891 a Breslavia, allora città dell’Impero Germanico, da famiglia ebraica; all’età di tredici anni perde la fede in Dio e diventa atea; nel 1913 si trasferisce all’università di Gottinga per seguire i corsi del fondatore della fenomenologia, Edmund Husserl, di cui è prima discepola e poi assistente; nel 1922 si converte al cattolicesimo e nel 1933 entra nel Carmelo di Colonia-Lindenthal, dove nel 1934 riceve l’abito e prende il nome di suor Teresa Benedetta della Croce; subisce il martirio in testimonium fidei nel campo di sterminio di Auschwitz il 9 agosto 1942: cfr. Elio Costantini, Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verità, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1987; e Giovanni Paolo II, Omelia nel rito di beatificazione di Suor Teresa Benedetta della Croce O.C.D. nello stadio di Köln-Müngerdorf, dell’1-5-1987, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 2, pp. 1485-1494.
(4) Edith Stein, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, trad. it., 2a ed., Città Nuova, Roma 1987, p. 51.
(5) Giovanni Paolo II, doc. cit., ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Ibidem.
(8) Idem, Discorso alle lavoratrici dello stabilimento tessile Uniontex di Lodz, del 14-6-1987, n. 4, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 2, p. 2206, trad. it. in L’Osservatore Romano, 15-6-1987.
(9) Ibid., n. 7.
(10) Ibid., n. 5.
(11) Paolo VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens, del 14-5-1971, n. 13.
(12) Giovanni Paolo II, Enciclica Laborem exercens, del 14-9-1981, n. 19.
(13) Cfr. Louis Salleron, L’avvenire della famiglia, in Cristianità, anno I, n. 2, novembre-dicembre 1973.
(14) E. Stein, op. cit., p. 52.
(15) Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, cit., n. 18.
(16) E. Stein, op. cit., p. 58.
(17) Ibid., p. 57.
(18) Ibid., p. 58.
(19) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, cit., n. 21.
(20) Cfr. Catechismo Tridentino. Catechismo ad uso dei parroci pubblicato dal Papa S. Pio V per decreto del Concilio di Trento, trad. it. di padre Tito S. Centi O.P., Cantagalli, Siena 1981, parte II, § 296, pp. 387-388.
(21) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, cit., n. 24.
(22) Cfr. ibid, n. 7.
(23) Ibid., n. 19.
(24) Ibidem.
(25) Ibidem.
(26) E. Stein, op. cit., p. 53.
(27) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, cit., n. 29.
(28) Cfr. ibid., n. 30.
(29) Ibid., n. 10.
(30) Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, vol. II, L’esperienza vissuta, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1961, p. 15; sul femminismo, cfr. anche Ludmila Grygel, Caterina da Siena o Simone de Beauvoir. L’ethos femminile e il suo principio, in Il Nuovo Areopago, anno 8, n. 1 (29), primavera 1989, pp. 29-40; e Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, Milano 1979, pp. 158-171.
(31) S. M. Borgognini Tarli e M. Masali, Uomo e donna nelle società del passato. Biologia e cultura, dimorfismo e ruoli, in Federazione Medica, anno XXXIX, n. 5, maggio 1986, p. 632.
(32) Così, in una sintesi divulgativa, la neuropsichiatra infantile dell’Università di Pavia, Elisa Fazzi, Lei è aggraziata e lui è un vero ometto, in Insieme, anno X, n. 4, aprile 1988, pp. 171-173.
(33) Cfr. Arianna Stassinopoulos, La donna donna, trad. it., Il Falco, Milano 1980, pp. 30-35.
(34) E. Stein, op. cit., pp. 116-117.
(35) 1 Cor. 11, 7-12.
(36) Claudia Mancina, La difficile autodeterminazione, in La vita nuova. Tecnologie, maternità, aborto, materiali del convegno Procreare verso il 2000. La difficile scelta tra desideri e realtà, svoltosi a Firenze dal 20 al 22 febbraio 1987, per iniziativa della Commissione femminile nazionale del Pci, in I Quaderni di Rinascita, supplemento a Rinascita, anno 44, n. 21, 30-5-1987, p. 11.
(37) Ibidem.
(38) Ibidem.
(39) Ibidem.
(40) Ibidem.
(41) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Il socialismo autogestionario: rispetto al comunismo, una barriera o una testa di ponte?, capitolo II, § 7, nota 19, in Cristianità, anno X, n. 82-83, febbraio-marzo 1982. Quanto alla conformità del progetto socialista italiano rispetto a quello francese, cfr. Giovanni Cantoni, “Studiare e smascherare Mitterrand per opporsi a Craxi e a Berlinguer”, ibidem.
(42) Friedrich Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. In rapporto alle indagini di Lewis H. Morgan, trad. it., 3a ed., Editori Riuniti, Roma 1970, p. 103.
(43) Vladimir Ilic Lenin, La Giornata Internazionale della Donna, 4-3-1920, in Idem, Opere scelte in sei volumi, trad. it., Editori Riuniti-Edizioni Progress, Roma-Mosca 1974, vol. V, p. 605.
(44) Karl Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista, trad. it., 14a ed., Editori Riuniti, Roma 1971, p. 82.
(45) Nora Federici, Natalità sotto zero, in Rinascita, anno 45, n. 45, 10-12-1988, p. 17.
(46) Livia Turco, Elogio della concretezza, intervista a cura di Franca Chiaromonte, ibid., anno 43, n. 25, 28-6-1986, p. 9.