La Giornata per la vita che la Chiesa Cattolica italiana celebra quest’anno va oltre il 40° anniversario dell’introduzione in Italia della Legge 194 che ha legalizzato l’aborto. Altri anniversari si intrecciano e permettono una riflessione ulteriore: il 50° della rivoluzione antropologica e culturale che porta il nome dell’anno in cui si è verificata, cioè il Sessantotto, e sempre il 50° dell’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI, il Pontefice che quest’anno, in ottobre, dovrebbe essere proclamato santo.
Da ormai mezzo secolo, almeno, è in corso una grande battaglia per la vita che vede il movimento pro-life ancora presente sulla scena mondiale, minoritario ma non sconfitto, capace di testimoniare tuttora con entusiasmo la sacralità della vita e soprattutto capace di salvare, soltanto in Italia e per merito dei Centri di aiuto alla vita, oltre 160mila bambini dal 1978 a oggi.
La grande aggressione contro vita e famiglia trovò appunto nel Sessantotto una occasione per portare la “cultura della morte” nel costume e nella cultura dell’Occidente. E, nello stesso anno, il Magistero della Chiesa oppose a questa cultura la profetica enciclica del Santo Padre Paolo VI. In essa, il beato Pontefice anticipava le grandi catechesi sull’amore umano che Papa san Giovanni Paolo II svilupperà nelle Udienze generali dal 1979 al 1984, esaltando accanto alla sacralità della vita anche la «[…] connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (Humanae vitae, 12).
Ma la «[…] guerra mondiale per distruggere il matrimonio», come l’ha definita Papa Francesco il 1° ottobre 2016 a Tbilisi, capitale della Georgia ex sovietica, e contro la natura umana, proseguì con la fecondazione assistita e con l’ideologia gender, «[…] quello sbaglio della mente umana» come sempre il regnante Pontefice la ha voluta definire il 21 marzo 2015 a Napoli. Quando la natura fa sbocciare una vita, la si può eliminare con l’aborto, così come quando la stessa natura non permette la nascita la si può violentare con la fecondazione assistita.
Anche la resistenza contro questa rivoluzione antropologica è continuata in tutto l’Occidente, eroica e viva, capace di opporsi con testimonianze pubbliche, con iniziative legislative, con marce e grandi manifestazioni di piazza, con capillari iniziative culturali, che hanno permesso di superare la paura di opporsi alla cultura dominante e prepotente, al politicamente corretto, alla pavidità.
Tuttavia, in questo mezzo secolo non si sono verificati soltanto cambiamenti, ma è cambiata un’epoca intera, come ha detto Papa Francesco al V convegno nazionale della Chiesa italiana il 10 novembre 2015: «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca». Si è passati dall’epoca delle ideologie a quella della «[…] dittatura del relativismo» ‒ come la definì l’allora card. Joseph Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI, nell’omelia alla Missa pro eligendo romano pontifice del 18 aprile 2005 ‒, da una società ingessata nelle gabbie dei partiti ideologici a una società fluida, “coriandolizzata”, nella quale il conflitto fra “coriandoli rancorosi” ha preso il posto dei conflitti ideali che animavano il mondo precedente la caduta del Muro di Berlino nel 1989.
Il mondo ‒ soprattutto l’Europa ‒ è tanto cambiato che il grande conflitto fra le due culture, quelle della vita e quella della morte, coinvolge minoranze sempre più esigue e lascia indifferente la gran parte della società, certamente anche per colpa di quei cattolici che trascurano questa battaglia culturale, ma soprattutto perché i grandi temi antropologici sono sempre più esclusi dalla vita pubblica ed estranei a essa.
Questo comporta che, accanto alla battaglia culturale per la vita e per la famiglia, che va certamente continuata, si debba aggiungere anche un diverso approccio agli “indifferenti”, soprattutto ai giovani, per mostrare loro l’importanza di questi temi, anche per la loro esistenza. Bisogna aiutare il nostro prossimo a porsi le grandi domande alle quali le ideologie hanno dato risposte sbagliate e che il nichilismo odierno ha semplicemente espulso dall’orizzonte esistenziale: chi sono, da dove vengo, chi mi ha preceduto, perché vivo, a che cosa sono destinato dopo la morte?
Nell’Humanae vitae, il beato Paolo VI invita a costruire ambienti dove coltivare la purezza e la padronanza di sé: oggi, proprio qualcosa del genere è necessario, costruire luoghi dove aiutare a vivere, non semplicemente a sopravvivere.
Al termine dell’Angelus recitato nella Giornata della vita, domenica 4 febbraio , il Papa ha salutato il Movimento per la Vita e si è rammaricato per i pochi pro-lifer presenti in piazza San Pietro, auspicando un incremento dell’impegno per la vita, in un mondo in cui «[…] ogni giorno si fanno più leggi contro la vita»: «[…] preghiamo – ha concluso il Santo Padre – perché il nostro popolo sia più cosciente della difesa della vita in questo momento di distruzione e di scarto dell’umanità».