di Mariolina Ceriotti Migliarese da Avvenire del 31/12/2020
31 dicembre, tempo di bilanci.
Nello svolgersi delle nostre giornate non è facile mettere a fuoco ciò che ci accade; abbiamo poco tempo per pensare: la vita ci spinge e ci trascina con sé, spesso un po’ ripetitiva, con i piccoli/grandi compiti della quotidianità; è necessario però qualche volta fermarsi per provare a guardarla in prospettiva, per vedere l’insieme, per trovare le tracce di senso capaci di orientare e ri-orientare il nostro cammino.
In questa visione prospettica si fa allora evidente un pensiero: il senso di ciò che viviamo si trova nelle tracce che lasciamo, e in tutto quello che attraverso di noi ha potuto diventare realtà concreta e farsi storia. Qualcosa che prima non c’era e adesso c’è: qualcosa che aveva bisogno proprio di noi per esistere. Ci sono momenti in cui riusciamo a comprendere che non c’è gesto, non c’è azione, non c’è assenso o rifiuto che non influiscano sulla realtà, rendendoci tutti reciprocamente preziosi e determinanti.
Possiamo fermarci un momento a pensare al nostro lavoro, qualunque esso sia, e chiederci che cosa produce nella vita degli altri: ogni lavoro, nessuno escluso, introduce una modificazione della realtà che incide concretamente sulla vita di qualcuno. Se ci pensiamo bene, sarà facile capire allora che il modo in cui abbiamo lavorato lascia sempre una traccia: la precisione, la passione, la cura, l’attenzione non sono particolari ininfluenti. Il lavoro di ciascuno di noi è fortemente interconnesso con quello degli altri, e la sua efficacia dipende spesso dalla collaborazione di tutti nelle piccole cose. Fare le cose bene fa davvero la differenza.
Possiamo fermarci a pensare ai tanti incontri, anche piccoli o apparentemente insignificanti, che facciamo in una giornata qualsiasi: i vicini, i negozianti, i clienti, i colleghi, gli amici, i familiari. Ogni incontro, per quanto fugace, entra nella vita dell’altro con una coloritura emozionale: gradevole o sgradevole, positiva o negativa, rispettosa oppure fastidiosa. L’umore delle nostre giornate dipende spesso, anche quando non ce ne accorgiamo, dal clima relazionale che ci circonda e nel quale respiriamo. Se ci pensiamo bene, ci accorgeremo facilmente che il modo in cui abbiamo parlato, sorriso o guardato l’altro fa davvero la differenza.
Il luogo però dove più che in ogni altro sperimentiamo gli effetti reali, creativi o distruttivi, di ogni nostro gesto è la famiglia. Seduti intorno a un tavolo per festeggiare il Natale, o riuniti tutti insieme per un compleanno o una ricorrenza importante, noi nonni veniamo colti da uno stupore riconoscente: attorno a noi tante vite concrete, tante storie nuove, tanti frutti; qualcosa che quando ci siamo conosciuti non avremmo neanche potuto immaginare; qualcosa che non esisteva ed ora esiste, perché solo attraverso di noi è diventato realtà e storia.
I figli rappresentano la più grande delle novità della vita; la loro nascita è il realizzarsi tangibile di una possibilità che senza il nostro assenso non avrebbe potuto esistere.
La loro esistenza e la loro assoluta novità ci aiutano a rileggere e dare valore a una storia che talvolta è stata anche difficile o complessa, perché i nostri figli sono unici e se stessi proprio per l’incontro unico delle nostre diverse storie e personalità; senza il nostro specifico “noi” non esisterebbero, o sarebbero altri e diversi da quelli che amiamo.
La famiglia è il luogo concreto e creativo nel quale si può imparare a riparare sempre da capo ogni relazione, nella sicurezza protettiva del reciproco legame; è un sistema dinamico e imperfetto, un luogo dove si sperimenta davvero la possibilità di ricominciare, ricostruire, cambiare, crescere.
È più che mai il luogo delle tracce importanti, soprattutto nella vita dei figli: con loro più che mai tutto ciò che abbiamo fatto o trascurato lascia un segno concreto: proprio per questo la loro presenza è un appello costante a cercare sempre nuove piste relazionali, perché, alla fine, aver continuato ad amare è ciò che farà la differenza.
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