Giovanni Cantoni, Cristianità n. 270 (1997)
Articolo anticipato, senza note e con il titolo redazionale Nei giardini dei semplici, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVI, n. 223, 23-9-1997, p. 17.
«La farmacia monastica e conventuale»
Poiché, almeno generalmente, gli storici italiani raccontano quasi solo la storia della vita politica — così spingendo il lettore ad accentuare l’esterofilia connaturata all’ethos italico, rovescio di medaglia della sua universalità o cattolicità —, la comune consapevolezza del passato, la memoria di esso, ne esce deformata, come pure, di conseguenza, l’attenzione al presente. Ma quando il presente, come nel caso del presente costituito dal tempo fra il secolo XX — il «secolo breve», al dire di Eric J. Hobsbawm, cominciato nel 1914 e già terminato nel 1989 (1) — e il secolo XXI, non ancora cronologicamente iniziato ma già in corso, è connotato da una politica debole — per decompressione dopo l’ipertrofia totalitaria o per compressione da parte di altri settori della vita sociale —, nasce spontanea la domanda sulla verosimiglianza di una ricostruzione ventura di questo tempo storico che si limiti appunto alla sequenza dei gesti politici, per di più, almeno con l’evidenza di ieri, neppure ideologicamente motivati. Quindi cresce l’interesse per la vita «non politica», per quanto politicamente condizionata: cioè al riflusso — volontario o promosso — si accompagna la domanda — di diversa qualità nell’arco che si stende fra la curiositas e la studiositas — su tutto quanto non è politica, e sulla sua storia, cioè sui suoi caratteri permanenti e sui mutamenti del suo decorso. Perciò, se il tempo dedicato dalla comune degli uomini a frequentare una struttura sanitaria è incomparabilmente superiore a quello speso in una sezione di partito o in una caserma, anche la domanda d’informazione sul passato si spoliticizza e si smilitarizza. E, qualora questa domanda rimanga inevasa e sia delusa dalle istanze ufficiali, quali sono massimamente le università, vi è legittimo spazio per le iniziative corporative, cioè per le iniziative di quanti, curiosi e studiosi del passato della propria attività professionale, soddisfano contemporaneamente l’interesse generale.
Poiché in Italia non esistono corsi istituzionali di storia della farmacia, ecco due farmacisti surrogare tale carenza, con l’avallo di uno storico di professione. Così leggo il volume La farmacia monastica e conventuale (2) che, presentato da Marco Tangheroni, professore ordinario di Storia Medioevale nell’università di Pisa (pp. 7-9), è frutto della ricerca di due professionisti del settore, il quale — lo ripeto — non è formalmente la storia della farmacia, ma la farmacia simpliciter. Infatti il primo, Antonio Corvi, nato a Piacenza nel 1927, è farmacista — nono titolare dell’Antica Farmacia Corvi, aperta nella città emiliana nel 1715 —, presidente dell’Accademia Italiana di Storia della Farmacia dal 1988, e autore di oltre cinquanta pubblicazioni, prevalentemente relative a farmacopee e a galenica antica (3), nonché organizzatore di numerosi congressi storici, che hanno rivitalizzato l’interesse per una disciplina oggetto in quasi tutti i paesi di regolari corsi universitari; membro di numerose accademie straniere, fa parte del consiglio d’amministrazione della IGGP, la Società Internazionale di Storia della Farmacia, ed è onorario del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Romano. Dal canto suo il secondo autore, Ernesto Riva, nato nel Bellunese — a San Pietro di Cadore — nel 1947, è farmacista in Belluno, direttore del servizio sanitario della missione cattolica di Wamba, in Kenia, e condirettore scientifico della rivista Atti e Memorie dell’Accademia Italiana di Storia della Farmacia, edita dal 1984, nonché autore di numerosi saggi e di volumi sulle piante medicinali (4).
Nell’opera i contributi di Corvi e di Riva si alternano, sono firmati e sono accompagnati da non esigue indicazioni bibliografiche. Dopo un’introduzione (p. 11) e l’indispensabile collegamento fra la medicina antica e quella medioevale — Dalla medicina sacra alla carità cristiana (pp. 13-19), occasione per rievocare I Santi Cosma e Damiano (pp. 15-19) —, nella prima metà del volume vengono partitamente descritti, a grandi linee, Il monachesimo cristiano (pp. 20- 39) e La farmacia nei conventi (pp. 40-60), cioè i tratti e la storia di un capitolo dell’arte sanitaria, la pratica farmaceutica realizzata anzitutto dai monaci di san Benedetto, poi dai frati minori di san Francesco d’Assisi e dai frati predicatori di san Domenico di Guzmán; e nella seconda sezione si fa stato anche di singoli protagonisti della vita del settore nonché di realizzazioni di famiglie religiose nate successivamente, anche all’epoca della Contro-Riforma o Riforma cattolica. Ne Il monachesimo cristiano gli argomenti trattati sono La scuola salernitana (pp. 21-23), I pellegrini e gli ospizi di sanità (pp. 23-26), «Scriptoria» e biblioteche (pp. 26-29), Gli «scriptoria» e la riscoperta dei testi antichi (pp. 29- 33), Gli orti dei semplici (pp. 33- 36) e Il monaco «pigmentarius» (pp. 36-39); ne La farmacia dei conventi gli argomenti sono Cultura medico-farmaceutica (pp. 45- 50) — con riferimento al monaco alchimista fra’ Donato d’Eremita, deceduto nel 1630 (pp. 45-46), al gesuita padre Paolo Pucciarini, vissuto dal 1600 al 1662 (pp. 46-47), e al naturalista e speziale fra’ Zaccaria Berta, vissuto dal 1722 al 1814 (pp. 47-50) —, Una biblioteca (pp. 51-54), quella della Badia di Monte Corona presso Umbertide, in provincia di Perugia, La coltivazione delle piante medicinali (pp. 54-57) e L’ attività di una spezieria conventuale (pp. 57- 60). Quindi, prima di una breve Conclusione (p. 111), la seconda metà del volume è dedicata a Spezierie e farmacie nelle regioni italiane (pp. 61-109), e ne vengono descritte ventisette dal Piemonte alla Campania. Insomma — come afferma Tangheroni nella presentazione — La farmacia monastica e conventuale «[…] costituisce una buona, agile, sintetica introduzione alle tradizioni e alle realtà delle farmacie dei monasteri e dei conventi, con particolare attenzione alle più importanti realtà italiane» (p. 7), «[…] con la raccolta delle notizie relative alla loro storia, non di rado bruscamente interrotta da provvedimenti governativi (napoleonici, postnapoleonici, del Regno d’Italia) di soppressione degli ordini religiosi e di laicizzazione delle farmacie» (pp. 8-9). Per intendere e ad abundantiam, lo Stato sostituisce in modo proto-totalitario — anche se non sempre manu militari — la «copertura» religiosa — cioè operata da religiosi o, comunque, da iniziative sociali confessionali anche se laicali — di un’area dell’arte sanitaria, quella farmaceutica, allo stesso modo di come sostituisce la copertura dell’istruzione pubblica da parte delle medesime frazioni confessionalmente qualificate del corpo sociale, con ogni evidenza non per coprire settori scoperti, ma per sostituire in essi il tipo di cultura con cui sono alimentati.
Infine, tornando al volume, non può essere assolutamente passata sotto silenzio o segnalata con una semplice formula di genere la presenza di «un apparato fotografico non pensato come aggiunta decorativa all’opera — sono sempre parole di Tangheroni —, bensì strettamente connesso al testo» (p. 8). Infatti, si tratta di un complemento che non solo illustra a colori e in bianco e nero, ma illumina la lettura e costituisce un invito, nello stesso tempo discreto e forte, al «pellegrinaggio» — cioè alla visita «contemplativa» e non aggressiva — a luoghi che si sottraggono oggettivamente all’interesse archeologico in quanto talora ancora operativi. Si tratta di luoghi nei quali la modernità non ha avuto completamente la meglio: infatti, se — al dire di Georges Bernanos — «non si capisce assolutamente niente della civiltà moderna se non si ammette per prima cosa che essa è una congiura universale contro qualsiasi specie di vita interiore» (5), tali luoghi si oppongono radicalmente alla modernità, la contraddicono e ne contrastano l’opera in quanto luoghi di vita spirituale, di contemplazione; cioè sono permanenti «giardini od orti dei semplici», nei quali non vengono coltivate soltanto piante medicinali del corpo, ma anche curative dell’anima.
I numerosi vasi farmaceutici fotografati mi hanno ricordato una tesi di un maestro, Gonzague de Reynold, che per parte sua dice di «rubarla» a François-René de Chateuabriand: «Non si deve mai disperare della storia, e tutto quanto è esistito può rinascere. Basta […] che un seme con un po’ di terra rimanga in un vaso spezzato, perché si produca una nuova fioritura» (6). E ho pensato che, se per conservare una specie vegetale bastano un coccio e un pugno di terra, e se addirittura non tutti i vasi sono spezzati, è lecito sperare che vasi nei quali si conserva anche una «specie umana», una civiltà, possano essere occasioni di una sua nuova fioritura.
Note:
(1) Cfr. ERIC J. HOBSBAWM, Il Secolo breve, trad. it., Rizzoli, Milano 1995.
(2) Cfr. ANTONIO CORVI ed ERNESTO RIVA, La farmacia monastica e conventuale, con una presentazione di Marco Tangheroni, Pacini, Ospedaletto (Pisa) 1996. Tutte le citazioni senza rimando sono tratte da quest’opera, la cui paginazione è stata lasciata nel testo, fra parentesi.
(3) Cfr., per esempio, A. CORVI, Origine delle farmacopee ed evoluzione storica del modello e della funzione della farmacia, raccolta di scritti pubblicati in Atti e Memorie dell’Accademia Italiana di Storia Farmacia, Conselve (Padova) 1993.
(4) Cfr., fra altri, E. RIVA, Magia e scienza nella medicina bellunese. Aspetti del pensiero medico-scientifico bellunese dal 1500 al 1700, Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali, Belluno 1986; IDEM, Le piante medicinali dei nomadi dell’Africa Orientale, Istituto Culturale Rotariano, Milano s.d. (ma 1994); e IDEM, L’universo delle piante medicinali. Trattato storico, botanico e farmacologico di 400 piante di tutto il mondo, Ghedina & Tassotti, Bassano del Grappa (Vicenza) 1995.
(5) GEORGES BERNANOS, Andar in fretta, d’accordo, ma dove?, in La Bataille, 31-1- 1946, in IDEM, Ultimi scritti politici, trad. it., con una premessa di Gabriele De Rosa, Morcelliana, Brescia 1964, pp. 127-139 (p. 129).
(6) GONZAGUE DE REYNOLD, La formation de l’Europe, vol. III, L’hellénisme et le génie européen, Eglof. Librairie de l’Université, Friburgo 1944, p. 408.